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La nostra storia di ieri. ’U casecavallo (prima parte)di Francesco De Luca . I coloni arrivavano alla spicciolata. Dapprima il capofamiglia coi figli maschi grandi. Visionavano il terreno loro assegnato dal castellano, ne valutavano le dimensioni, la possibilità di resa, la facilità di assoggettarlo ai loro progetti. Poi, se si firmava l’atto di colonìa, ci si dedicava anima e corpo a rendere abitabili le grotte insistenti nel podere. Più tardi sarebbero venute le donne e i piccoli. Iniziata con atto regale nell’ottobre del 1734 la colonizzazione ebbe un decorso stentato, da insuccesso. E ciò perché lo spirito di libertà che mosse interi nuclei familiari ad abbandonare i paesi d’origine e la soddisfazione di vedersi finalmente padroni di terre, dovettero faticare ad imporsi sulle condizioni dure in cui andarono a cacciarsi nell’intraprendere quell’avventura esistenziale. Cosa trovarono? L’isola non vedeva una popolazione stabile dal lontano secolo quattordicesimo sicché da quattrocento anni era stata lasciata al dominio della natura. La macchia selvatica aveva coperto ogni segno di civiltà, dominava sull’intero territorio, rendendolo ostile all’uomo e alla sua opera. In verità la reale casa Borbone, grazie all’interessamento del ministro Tanucci, vi spese fior di capitali; la popolazione dei coloni aumentò e le condizioni di vita resero progressivamente gradevoli taluni aspetti del vivere sull’isola. Di essi si dispiegò in modo evidente quello di godere di condizioni materiali invidiabili. Fu come se la natura si fosse addolcita, quasi ammansita sotto la mano dell’uomo. La lotta per il sostentamento cedette il passo ad un mutuo scambio. Gli uomini godevano della natura la generosità, la plasmabilità, la ruvida propensione all’accoglienza; la natura inviava, con le stagioni, inviti ad intrattenere con essa rapporti di puro godimento. Fu così che i nuovi isolani cominciarono a portarsi nelle calette, a frequentare quegli specchi d’acqua in cui con pochi metri di rete pescavano l’occorrente per nutrire la famiglia. Ciò agevolò una crescente familiarità con gli scogli, con i faraglioni, con le piane di tufo bianco che si inoltrano nell’acqua, con i massi di nera riolite ricoperti di patelle, con le grotte gialle per il colore della volta, verde smeraldo per le alghe sui sassi. Intanto la vita sociale s’andava organizzando nelle forme, nelle strutture. La resa del lavoro nei campi consolidava gli scambi interpersonali fra gli isolani e rendeva prodiga l’Amministrazione reale verso la colonia, che fruttava in tasse e merci. [La nostra storia di ieri. ‘U casecavallo – Continua qui] . Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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