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Il dialetto, dove meno te l’aspetti
Nel suo ultimo libro “Dimmi che credi al destino” Luca Bianchini, giovane scrittore di Torino, trae spunto da una vicenda reale, la paventata chiusura della libreria Italian Bookshop gestita a Londra da Ornella Tarantola, per realizzare un nuovo romanzo, dopo “Io che amo solo te” che è diventato un successo anche al cinema, e il suo seguito, “La cena di Natale”. Così colgo l’occasione per offrire un ulteriore contributo alla discussione in atto sulle pagine del nostro sito. A dire il vero la prima parola in cui mi sono imbattuta mi ha fatto sobbalzare: “l’appucuntria”: ho sempre saputo, i ‘puristi’ mi correggano se sbaglio, che il termine esatto e’ “’a pecundria”, dove ’a e’ l’articolo e pecundria la parola (derivata dall’italiano ‘ipocondria’). Perfetta però mi sembra la definizione che l’autore mette in bocca al suo personaggio, “un misto di noia, mal d’amore, nostalgia, insoddisfazione e solitudine”: qui mi sembra che ci siamo. Nel prosieguo del romanzo, Bianchini fa pronunciare altre brevi espressioni in dialetto napoletano al suo personaggio. Ed ecco allora in ordine sparso “Aggio capit’ – che figur’ e merd’ – fa abbastanza schif’ – a facc’ ro cazz’… ”. Ma prendo atto della scelta di Bianchini, che in questo modo tra l’altro mostra di condividere la posizione della rubrica settimanale del nostro sito, quella di Sang’ ’i Retunne.
Luisa ha fatto anche un altro accenno in passato, ad uno dei libri citati di Luca Bianchini: leggi qui (NdR) Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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