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Shackleton (5). Cosa dicono e lasciano scritto gli uomini, prima di morire
“Il ghiaccio nasconde, ma non ruba”, verrebbe da dire, parafrasando l’antico detto isolano che si riferisce alla casa. Si tratta di un taccuino appartenuto al chirurgo, fotografo ed esploratore inglese George Murray Levick, che faceva parte della spedizione, ma non del gruppo dei cinque esploratori periti nel viaggio di ritorno dal Polo sud (Robert Falcon Scott, Edward Evans, Lawrwnce Oates, Henry Robertson Bowers e Edward Wilson) (leggi qui). Il diario di Levick riporta il suo nome all’inizio e contiene all’interno appunti, soggetti, ritratti e dettagli tecnici delle foto; è stato preso in custodia dal New Zealand’s Antarctic Heritage Trust e si aggiunge ai negativi ritrovati proprio l’anno scorso, con le immagini scattate alla base della Spedizione. Per le immagini del taccuino in una galleria di foto su www.repubblica.it: guarda qui Il gruppo di Scott al Polo Sud. Da sinistra a destra: Oates, Bowers, Evans, Scott ed Wilson (la foto è ripresa dall’articolo precedente; la si ripropone perché è l’ultima immagine (ripresa con l’autoscatto) del gruppo che troverà la morte nel viaggio di ritorno
Ma il ritrovamento nel ghiaccio è solo l’innesco per ricordare un altro diario con altre testimonianze di quella triste e ormai quasi dimenticata vicenda. Riporta molte informazioni il taccuino di Scott ritrovato, a fianco del suo cadavere congelato, solo vari mesi più tardi. Per esempio le ultime parole di Lawrence Oates, il più malandato dei quattro superstiti (Wilson era stato il primo a morire prima di arrivare all’ultimo rifugio). I am just going outside and I may be some time – Vado a fare un giro, potrebbe volerci un po’ E sempre nelle ultime pagine del celebre taccuino, un’altra frase appuntata da Scott, che ancora colpisce: – Had we lived I should have had a tale to tell of the hardihood, endurance and courage of my companions which would have stirred the heart of every Briton. Mentre queste sono le sue ultime frasi scritte, datate 29 marzo 1912: – We shall stick it out to the end but we are getting weaker of course and the end cannot be far. It seems a pity but I do not think I can write more. – Combatteremo fino all’ultimo, ma ovviamente siamo sempre più deboli e la fine non può essere lontana. È un peccato, ma non penso di poter scrivere di più. I corpi di Scott, Wilson e Bowers furono sepolti nel punto dove furono trovati il 12 novembre del 1912; la stessa tenda fu coperta di ghiaccio e sul tumulo venne posta una croce.
In chiusura della serie di articoli mi sia consentito, come estensore di questa gran mole di informazioni, di sottolineare due aspetti che mi hanno personalmente colpito, malgrado conoscessi abbastanza bene la storia nelle sue linee generali (ma la raccolta e revisione del materiale non è mai priva di interesse per chi la compie; si spera anche per chi legge il risultato della fatica). Al di là delle vicende umane, di per sé coinvolgenti, è stridente per la sensibilità moderna l’importanza secondaria che si attribuiva a quel tempo – parliamo di un secolo fa – agli animali; la noncuranza con cui si sacrificavano, ovviamente per le esigenze e nell’interesse della spedizione, ma tale da pianificarne l’impiego per uso alimentare. Fossero i pony della Manciuria di Scott o i cani da slitta di Amundsen (dei 52 cani di partenza ne tornarono 16; 24 di essi furono soppressi in un campo intermedio denominato appunto ‘macelleria’ per nutrire gli uomini e gli altri cani). Certo si tratta di vicende e di avventure che possiamo solo immaginare, per la loro difficoltà e crudezza, ma la considerazione si impone. Lawrence Oates con i cavalli della spedizione Terranova (foto di Herbert Ponting) Amundsen al Polo sud con i cani da slitta L’altro aspetto è messo in evidenza dal ritrovamento del taccuino di cui si è riferito sopra, a causa dello scioglimento dei ghiacci polari, che sta avvenendo con una progressione inarrestabile. . [Shackleton (5) – Fine] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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