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Stracquo d’antan. Quand’ iévem’ marina marina… scoglie scoglie..! (1). La parola stracquo non è nel vocabolario della lingua italiana, eppure sembra quasi una traduzione della nostra espressione dialettale più verace: robba stracquata, termine utilizzato dai nostri predecessori, per indicare tutto ciò che il mare ci portava a terra. Sarà forse la ‘o’ finale a dare l’impressione – almeno a me – non più di un termine dialettale ma in lingua, o forse perché associare il termine stracquo a quello di arte lo ha fatto diventare, per così dire, aggiustato nella forma e modificato nel significato. Fino a tutti gli anni ’50 del secolo scorso, ‘u stracqu’ era un’opportunità. L’elemento principe d’i stracqu’ antichi era la legna in ogni sua forma, dimensione e lavorazione: tronchi, tronchetti, tavole, fasciame o altro. Zannone e Palmarola erano le principali fonti di approvvigionamento di legna. Dopo una tempesta, a qualsiasi ora del giorno e della notte, appena il mare si andava calmando, gente di ogni età si aggirava per spiagge e scogli o si avventurava con le barche nei punti più impervi per impadronirsi di qualsiasi cosa il mare avesse lasciato (leggi qui e qui). Il mare portava a terra, seppure in minor misura, anche pezzi di corda, di spago, bottiglie e bottiglioni, o qualsiasi oggetto che fosse riuscito a resistere alla forza del mare e della salsedine. Di questo stracqu’ antico voglio raccontare un paio di episodi simpatici, capitati all’incirca un secolo fa – e di cui mio padre si divertiva a farmi partecipe – che nel contempo esprimono anche bene l’atmosfera dell’epoca. In attesa di vedere in mostra i lavori dello “Stracquo, l’arte che viene dal mare”, guardiamo alcuni disegni realizzati da Silverio Mazzella ‘Al Brigantino’ su pezzi di legno stracquati dalle nostre parti. . [Quand’ iévem’ marina marina… scoglie scoglie..! (1) – Continua qui] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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