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L’antica cultura contadina isolana. Le colture tradizionali e i cambiamenti successivi. (4)di Mimma Califano Per l’articolo precedente, leggi qui Per tutti gi articoli precedenti sul tema, digita in CERCA NEL SITO: colture tradizionali
In altri tempi, nella conduzione tradizionale del proprio campo, non solo bisognava saper scegliere e conservare i semi ma anche il tempo per la semina. L’elemento più importante tra tutti gli aspetti che andiamo a considerare, che potrebbe non essere percepibile nel corso dalla semplice elencazione ma che invece accompagna e fa parte integrante di tutto il ciclo agricolo, è la specificità del luogo. Ne risultano condizionati: Il calendario delle semine era perciò specifico dell’isola. Occasionalmente questi tempi possono essere di poco variati, o comunque condizionati, da annate particolarmente piovose e/o fredde, o secche. Da quel che mi è stato riferito, per la semina dei legumi non si teneva conto del calendario lunare, cosa che invece avveniva per la semina dei prodotti orticoli. L’influsso della luna sulla crescita delle piante era e resta un argomento piuttosto controverso. Consideriamo le teorie e i fatti in campo e poi torniamo ad esaminare qualche comportamento ponzese. In passato si credeva che fosse soprattutto l’effetto gravitazionale della Luna sulla Terra a produrre effetti sui liquidi delle piante. Questa teoria è quella attualmente meno accreditata, poiché gli studi hanno dimostrato che la gravità è rilevante solo in presenza di grosse masse, come infatti succede per le maree; ma al diminuire della massa si riduce anche l’effetto di attrazione. La teoria che invece attualmente trova i maggiori consensi, sebbene non ancora con unanimità di vedute, riguarda la luce lunare. Vediamo come. La luce lunare non è altro che la luce solare assorbita e riflessa sulla terra, quindi si potrebbe immaginare molto debole. In realtà studi di laboratorio hanno dimostrato che la luce lunare penetra nel terreno per parecchi centimetri favorendo la germinazione dei semi. Inoltre, sempre secondo questi studi, la luce notturna è facilmente assimilata dai vegetali e va a sollecitare i ricambi nutritivi che presiedono alla crescita, in buona misura inibiti dall’eccessiva intensità dalla luce solare. Resta comunque indubbio che generazioni di contadini di ogni parte del mondo per secoli hanno fatto largo uso del calendario lunare per la gestione di quasi tutte le loro attività, allevamenti degli animali compresi, pur non adottando tutti i medesimi criteri. Una regola generale per le piante da orto può essere così sintetizzata: “…tutto ciò che deve crescere in altezza va fatto con luna crescente, tutto ciò che deve crescere moderatamente o fermarsi va fatto con luna calante” (2). Ripensando a quanto si faceva e in parte si fa ancora a Ponza, sembra che fosse proprio questo il criterio utilizzato. Poiché si dice che pomodori, peperoni, melanzane si piantano con luna crescente, particolarmente quella di febbraio se l’annata non è fredda, altrimenti in quella successiva. Altre specie come cappucce, aglio, cipolle, con la luna decrescente, se no ‘spigano’. Per quanto riguarda la potatura, la tradizione consiglia di potare in luna calante; in questo periodo infatti la circolazione della linfa è ridotta, quindi la vite ‘piange’ di meno. L’emissione di linfa (il pianto) è legata all’incapacità della vite di cicatrizzare le ferite. I semi venivano posti in grossi vasi o cassette, ’i ’pécie – riparate dal freddo e/o con una base di letame (che sviluppa calore); spesso bisognava avere l’attenzione di scoprirle nelle ore calde e soleggiate, e di proteggerle nei giorni di freddo. Un discorso a parte per le zucchine e le carote (le ‘carote’ ponzesi!): secondo la nostra tradizione queste vanno seminate con la luna piena di marzo. Altrimenti, si dice… se scàutene. Vuol dire che un’alta percentuale dei frutti non ha uno sviluppo regolare e diventa inutilizzabile. Questo elenco è per lo più indicativo di alcuni comportamenti che in parte ancora oggi vengano adottati, anche se i dettagli sono andati persi, essendo venuta a mancare proprio l’attività contadina, tradizionale o meno. Ma anche gli alberi e i vitigni erano “figli” di piante già esistenti sull’isola. Ottenere nuove piante era più laborioso e il processo più lungo ed incerto di quanto non sia oggi. Se adesso si vuol impiantare una nuova vigna, piccola o grande che sia, basta comprare le barbatelle. In commercio si trovano nuove piante ottenute da innesto su un porta-innesto – di solito la vite americana (resistente alla temibile filossera) – di marze, i schiuopp’ – del tipo di vitigno che si preferisce. Fattore tipico nell’impianto di un nuovo vitigno era ‘u scass’. Con questo termine ci si riferiva ad un solco profondo anche più di un metro e largo abbastanza a che un uomo ci potesse lavorare dentro. U’ scass’ serviva a rendere morbido il terreno dove poi si andavano ad impiantare le nuove viti, per facilitare l’estensione delle radici. Non più semplice era la riproduzione degli alberi da frutta. Per qualche specie, come le amarene, bastava prendere i polloni radicali. Per alcuni, come il nespolo, i semi. Per altre specie, come il fico, si procedeva per ‘talea’. Le viti si potevano riprodurre anche per ‘propaggine’, interrando un tralcio più lungo a breve distanza dalla pianta madre. Anche qui, buona parte dei saperi, non più tramandati e applicati, sono andati definitivamente persi. Fondamentale era la battaglia con i vari insetti che attaccano le piante. Nelle stagioni di infestazione era un continuo rimandarsi la voce da un podere all’altro su cosa aveva attaccato le piante stavolta, e su come fronteggiare la minaccia. ‘I pimmece d’i pummadore (le cimici) diventavano l’argomento del giorno. Problemi di lumache non esistevano; anzi esistevano, ma venivano risolti con l’applicazione della massima di “prendere due piccioni con una fava”: erano attivamente ricercate e diventavano un pranzo succulento… Chi non è mai andato da bambino a truva’ ‘i mmaruzze, dopo la prima pioggia che faceva? Le avversità ambientali ovviamente rendevano incerti i risultati del proprio lavoro e in alcuni casi condizionavano la scelta di ciò che era opportuno produrre, con minor fatica e risultati migliori. Come è il caso degli alberi di pesche, non troppo diffusi poiché questa pianta è particolarmente soggetta agli attacchi di diversi insetti nocivi e altre avversità (specie ‘la bolla del pesco’).
Ma ritorniamo alla domanda formulata all’inizio.
Note (1) – Il gran libro dell’orto con calendario lunare di Margherita Solari. Ed. Libritalia (2) www.informatoreagrario.it/ita/Riviste/Vitincam/08Vc03/12047.pdf
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