Ambiente e Natura

L’antica cultura contadina isolana. Le colture tradizionali e i cambiamenti successivi. (5)

di Mimma Califano

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Quando mio zio – insieme alla maggior parte dei contadini isolani – ha pensato di far meglio comprando i semi e le piante invece di riprodurli ‘in proprio’, all’inizio sembrava andare tutto bene.

Piantine già pronte per il trapianto, semi selezionati e trattati a prova di insetti… Quanta fatica e tempo risparmiati!
Non solo: quando le nuove piantine hanno cominciato ad essere vendute nei comodi contenitori a pianta singola, l’altissima percentuale di attecchimento ha ulteriormente alleggerito il lavoro.

Tutto bene allora?
Non proprio, ma è stato necessario un bel po’ di tempo prima di capire cosa c’era, dietro quel gesto di comprare il “prodotto già confezionato”.
Vediamo meglio…

Nella capitolo precedente abbiamo raccontato di come i nostri contadini, generazione dopo generazione, hanno selezionato, riprodotto e scambiato le ‘varietà’ (1) di piante che risultando le più adatte alla condizione climatica isolana venivano a costituire la produzione agricola locale. In termini più propriamente botanici dovremmo parlare di ecotipi (2).
Nel caso nostro non so se sia corretto dire che esistevano delle ‘varietà’ (o ecotipi) ponzesi, e con la perdita dell’agricoltura isolana non lo sapremo più.

Fatto sta che per decenni la riproduzione è avvenuta  sempre dalle stesse piante e la coltivazione sempre negli stessi luoghi, quindi si era ottenuto il massimo adattamento possibile alle specifiche condizioni ambientali e del terreno. In effetti è questa la principale  caratteristica delle ‘varietà locali’ (ecotipi), che aveva come risultato piante e frutti dal gusto unico, con carattere e aspetto particolari, diversità genetica, spesso resistenza a specifiche avversità.

Aspetti che sono l’esatto opposto di quanto avviene nelle moderne varietà commerciali che sono invece caratterizzate da: uniformità, stabilità, purezza e distinguibilità. Questi  fattori sono indispensabili, affinché un “cultivar” – la ‘varietà commerciale’ – possa  essere iscritto nei registri per la vendita e riproduzione della moderna agricoltura di tipo industriale. Piante standardizzate da utilizzare in ogni situazione e condizione.

Il primo effetto della vendita su scala industriale di semi e piante è stata una forte contrazione della “diversità”, ma il tempo avrebbe messo in evidenza  ben altre conseguenze della cosiddetta ‘rivoluzione verde (3).

A partire dall’inizio del ’900, per risolvere o limitare il problema della fame nel mondo, si è iniziato a studiare come ottenere raccolti più abbondanti, concentrando l’attenzione sulla tecnologia degli ‘ibridi’.
Cos’è un ‘ibrido’?
Letteralmente l’ibrido è un individuo generato dall’incrocio di due organismi. Si utilizzano i processi di ibridazione al fine di modificare alcuni caratteri e farne emergere di nuovi per costituire nuove varietà. In sostanza i fiori femminili vengono impollinati esclusivamente col polline della varietà selezionata, impedendo l’impollinazione dalla stessa specie. Attraverso incroci successivi si rendono poi stabili i caratteri [definizione da Wikipedia].

Lo scopo è quello di dar vita ad una pianta figlia che ha maggior vigore e caratteristiche vantaggiose per molti aspetti, rispetto ai suoi genitori. Purtroppo tale capacità permane per una sola generazione.
In sigla i semi ibridi di prima generazione vengono indicati con F1. I vantaggi non si mantengono nelle generazioni successive (F2, ecc.), dove si avrà un progressivo attenuamento del carattere, mentre per contro potranno emergere fattori negativi.

È già evidente qui il primo e fondamentale svantaggio per i nostri contadini…
Ma di altri aspetti della ‘rivoluzione verde’ nell’impatto con l’ecosistema isolano – che nello specifico ci interessa – si continuerà nelle prossime puntate…

Note dell’Autrice (NdA)

(1) – Vanno tenuti distinti i concetti di ‘specie’ e di ‘varietà’. Ad esempio la patata, il mais, i pomodori, il riso, sono ‘specie’, spesso sono originarie di luoghi lontani, come il continente americano o l’Asia. Mentre quando parliamo di ‘patata rossa’ e  di ‘patata di Avezzano’, parliamo di ‘varietà’. Così per i pomodori, ad esempio: Pachino, S. Marzano, etc… Nei secoli ogniqualvolta una specie, pur originaria di un altro luogo, ha trovato dalle nostre parti un clima e più in generale un ambiente ottimale è iniziato il processo di produzione e riproduzione in loco, creando nel tempo le ‘varietà locali’ o ‘ecotipi’.

(2) – Esiste un certo grado di confusione tra i termini ‘varietà’, ‘cultivar’ e ‘ecotipo’: varietà va riservato esclusivamente all’accezione botanica del termine e fa quindi riferimento ad un particolare tipo genetico che, nell’ambito di una specie, si è selezionato e propagato spontaneamente costituendo una popolazione (specie selvatica). Per cultivar si intende una varietà di pianta coltivata, ottenuta con il miglioramento genetico, che riassume un insieme di specifici caratteri morfologici, fisiologici, agronomici e merceologici di particolare interesse e trasmissibili con la propagazione, sia per seme sia per parti di pianta. L’ecotipo è una popolazione di piante geneticamente omogenea, ottenuta con la selezione massale in un contesto territoriale circoscritto. L’identità degli ecotipi è perciò associata al territorio ed è l’espressione dell’interazione fra il germoplasma di una specie con le specifiche condizioni ambientali di una regione con l’influenza dell’uomo [Definizioni da Wikipedia, semplificate].

(3) – Un processo di innovazione delle tecniche agrarie, chiamato successivamente ‘Rivoluzione verde’, fu intrapreso nel 1944, all’epilogo della Seconda Guerra Mondiale, su iniziativa della Rockefeller Foundation. Attraverso un Istituto impiantato in alcune fattorie messicane furono messe a punto teorie e pratiche per incrementare la produttività agricola, con l’obbiettivo di contrastare la carestia nel mondo. Il gruppo era coordinato dallo scienziato statunitense Norman Borlaug, successivamente ‘Premio Nobel’ per la pace (nel 1970). Le tecniche sviluppate, che utilizzavano varietà vegetali geneticamente selezionate insieme a sufficienti dosi di fertilizzanti, acqua ed altri prodotti agro-chimici, ha consentito un incremento significativo delle produzioni agricole ed è attualmente diffuso in tutto il mondo. Nel tempo comunque se ne sono evidenziate le problematiche e i danni inerenti, ‘ambientali’ in senso lato. Negli ultimi anni è in corso una revisione che ne utilizzi gli innegabili vantaggi, al contempo riducendone le ricadute negative.

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[L’antica cultura contadina isolana. (5). Continua qui]

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