di Franco De Luca
In un articolo precedente apparso sul sito con titolo “ una dualità che logora ”, a firma di Stefano Lubrano, leggi qui, a mio parere, si sono tralasciati di mostrare i danni psicologici derivanti dalla frattura profonda fra i due periodi annuali ( quello estivo e quello invernale ).
Ora provo a presentarli.
Orbene uno di questi è che la mente dell’isolano si è dimensionata sulla “discontinuità” , sembrando questa la procedura “normale” delle cose e delle soluzioni.
In questo modo si rifugge dal perseguimento degli obiettivi attraverso la programmazione, la prosecuzione degli intenti, la persistenza.
Talché si rimanda ogni intervento risolutivo ad un periodo migliore ( talora l’estate , talora l’inverno ). Tralasciando di approfondire aspetti, di ipotizzare soluzioni divergenti, arricchire l’esistente. E’ sempre l’ urgenza a dettare le soluzioni e quelle assunte sono abborracciate, affrettate, d’occasione.
In parole diverse si struttura l’intelletto in modo “intermittente , mai portando a soluzione definitiva quello che si è intrapreso.
Dimodocché si inizia sempre un nuovo percorso e mai si completa quello iniziato.
Esempi ce ne sono: nascono i circoli culturali, ma per via disperdono l’entusiasmo iniziale; operano i comitati, ma sempre nell’immediatezza; le ordinanze comunali hanno validità stagionale e dunque non tendono a modificare abitudini ma spingono soltanto a escogitare sotterfugi per aggirare i divieti.
Un altro che io reputo “danno psicologico” consiste nell’esaltazione abnorme dell’aspetto economico nell’esistenza dell’isolano.
Le due fasi antitetiche che vive nell’anno lo portano alla difficoltà di bilanciare , nella propria vita, la condizione economica con quella della serenità, l’amicizia col vicino con la competitività, il risanamento ecologico con la produttività turistica.
Correggetemi se sbaglio ma non mi pare che nel corso dell’anno si sollecitino iniziative sociali col solo scopo di riunirsi, di vedersi, di stare insieme, in una parola di migliorare la convivenza sociale.
Sono le solite lamentazioni che ogni volta vengono espresse, perché la socialità dei ponzesi è naturalmente scarsa e in più non alimentata.
E tuttavia, se non si prende coscienza della matrice del problema, i rimedi ipotizzati valgono poco.
A costo di risultare noioso mi attardo su questo fronte dell’analisi, aspettando che la realtà quotidiana mostri novità.
Ringrazio Stefano Lubrano per avermi offerto il trampolino per queste considerazioni che spero ritenga conseguenti alle sue.