di Giuseppe Mazzella di Rurillo
C’è un proverbio a Ponza, la più grande con i suoi 7,22 Kmq e l’unica abitata del gruppo delle Ponziane – attenzione si chiamano “ponziane” e non “pontine” come sottolinea il decano degli storici locali, Ernesto Prudente – che comprende anche Palmarola (1,36 Kmq), Zannone (1 Kmq), e l’isolotto di Gavi (14,06 ettari) – che dice che “in ogni casa ponzese c’è un Silverio, una causa ed un emigrato”. Il detto popolare racchiude bene la tradizione, il costume o la mentalità ed infine la situazione economica e sociale di Ponza, l’altra Ischia situata a 44 miglia dall’“Isola Madre” colonizzata da 52 famiglie di poveri contadini ischitani che partirono nel 1734 dai villaggi di Campagnano, del Borgo di Celsa, di Barano, di Fontana con il miraggio di possedere finalmente un pezzo di terra.
San Silverio è il santo patrono. Papa e martire giustiziato a Ponza nel 538. Quando l’isola fu ripopolata nel XVIII secolo, con l’editto del 1734 di Carlo III di Borbone che concedeva gratuitamente per la coltivazione la terra “a migliorare” a 52 famiglie dell’isola d’Ischia guidate dal contadino del villaggio di Campagnano Mattia Mazzella, la Chiesa “impose” San Silverio come protettore ed assegnò gli isolani alla Diocesi di Gaeta e da allora Silverio è diventato il nome più comune, la devozione verso San Silverio attecchì subito e si rafforzò e continua fortemente ancora oggi. La festa di San Silverio del 20 giugno è il più importante evento religioso e spettacolare di Ponza. Per quel giorno tutta l’isola è in festa. Si apre l’estate il cui solstizio per pura casualità avviene un giorno dopo.
Ritorno a Ponza dopo due anni, dal mio primo viaggio con Gianni Vuoso dal quale è nato il reportage su “Ponza, l’altra Ischia” apparso sul numero dell’ottobre 2009 de “La Rassegna d’Ischia” ed il video “Il viaggio di Mattia” che si può consultare e scaricare su www.ischianews. com con il quale abbiamo voluto non solo “scoprire” ed approfondire la colonizzazione ischitana di Ponza avviata nel 1734 ma riallacciare dopo decenni di abbandono i legami umani e culturali con i nostri “cugini” isolani- ponzesi che hanno tenacemente mantenuto e che mantengono tutte le tradizioni, a cominciare dal dialetto che è una lingua, gli usi ed i costumi trasferiti 277 anni fa dal gruppo dei 120 colonizzatori ischitani, poverissimi contadini e pescatori che lasciavano la loro isola-madre, la più grande e più popolata del Golfo di Napoli già allora da circa 20 mila anime affidate alla cura di 420 preti per un’altra disabitata e lontana col miraggio di possedere un pezzo di terra.
Parto dal porto di Casamicciola alle 9 con l’aliscafo e sarò a Ponza in poco meno di due ore con lo scalo a Ventotene che è sulla stessa rotta annunciando il mio arrivo con una telefonata ai miei due “cugini-ponzesi”, il mio omonimo Giuseppe che ha 61 anni, dottore in legge, giornalista e cultore di storia patria come me e Silverio, 60 anni, cartografo, scrittore, fotografo, l’unico librario di Ponza con la sua libreria “Il Brigantino” e come me cultore di storia patria. Arrivo a Ponza e vado immediatamente da Silverio al Brigantino dove con la inseparabile moglie, Pina Di Meglio, ponzese anche lei ma anche lei di origini ischitane perché i suoi avi venivano da Barano chiamata dagli ischitani “Mar’e’coppe”; Silverio è intento a servire i suoi clienti e dopo il primo abbraccio immediatamente mi fa dono della sua ultima opera che ha realizzato con il figlio Gennaro, un bellissimo volume fotografico, storico, antropologico su Ponza, Palmarola e Zannone intitolato “Isole nella corrente” come il libro di Ernest Hemingway con il programma di realizzare altri 9 volumi per presentare compiutamente “i ponzesi nella storia, nelle tradizioni, nel folclore, nella leggenda”.
Giuseppe arriva puntuale alle 11 e dopo l’abbraccio senza perdere un minuto mi porta con la sua vecchia Ford a vedere da terra tutta Ponza affinché io possa avere un’idea più precisa della bellezza, delle potenzialità, delle criticità, dell’isola. “I Mazzella qui a Ponza sono oltre 900 e siamo superati solo dai Vitiello che sono oltre 1000” mi dice Giuseppe. I Vitiello sono i discendenti della seconda colonizzazione, quella dei torresi di Torre del Greco.
Nel 1772, 38 anni dopo la prima colonizzazione. Re Ferdinando di Borbone succeduto a Carlo III concedette terreni a 27 famiglie di pescatori provenienti da Torre del Greco che si insediarono in località Le Forna a circa 7 chilometri dalla cittadella del porto e dalla Baia di Santa Maria dove si erano insediati gli ischitani.
Fra le due comunità di origine – “gli ischitani” che vivono soprattutto a Ponza-Centro ed i “torresi” di Le Forna – non corre buon sangue. È una rivalità caratteriale come quella che abbiamo ad Ischia tra “foriani” e “panzesi” ed anche qui i “lafornesi” si lamentano di essere trascurati dai “ponzesi-centrali”.
L’isola di Ponza ha tre chiese e due preti. La Parrocchia di San Silverio, la chiesa di San Giuseppe a Santa Maria e quella della Madonna dell’Assunta a Le Forna. La prima del Santo Patrono risale al XVIII secolo ma le due altre risalgono al XIX secolo. C’è perfino una pubblicazione sui canti e le preghiere per le liturgie nelle chiese di Ponza che si chiama “Ponza è tua”. Sono preghiere e canti che affondano le loro radici nella tradizione cattolica napoletana. L’origine contadina dei “ponzesi- ischitani” e quella peschereccia dei “ponzesi- torresi” è rimarcata anche dal modo di onorare San Silverio. Anche nella Chiesa dell’Assunta c’è una statua di San Silverio che si festeggia in febbraio cioè quando i pescatori ponzesi restavano a casa, mi spiega Giuseppe.
Ho voluto vedere con Giuseppe in sei ore i panorami più belli di Ponza. Sono rimasto incantato alla vista di Palmarola da Le Forna, di Cala Feola, del Frontone, delle piscine, di un mare azzurro che tanto più azzurro non si può. Qual è l’isola più bella? Mi chiedeva la mia amica. Ma ho voluto vedere anche il brutto. Nel territorio di Le Forna insisteva la miniera di bentonite funzionante dal 1935 al 1976. La miniera dava lavoro a circa 800 ponzesi ma distruggeva il territorio. Era gestita dalla società “SAMIP” di proprietà di industriali romagnoli ed è stata chiusa nel 1976. L’area di circa 40 mila mq. con i ruderi è stata acquisita al patrimonio del Comune di Ponza. L’ho voluta vedere quest’area abbandonata quasi per convincermi sempre di più che ogni isola napoletana ha un “problema perpetuo” che ferisce o addirittura incancrenisce il sistema economico e sociale impedendone l’ulteriore espansione. Con la visita alla ex miniera ho potuto avvertire quanto ancora si può e si vede fare per dare una matura economia turistica ed una vivibilità adeguata ai tempi a Ponza utilizzando tutte le opportunità di legge con una progettualità entusiasmante e rivoluzionaria che comunque è imprescindibile da una nuova classe dirigente – politica ed economica- che sappia cogliere la sfida del presente.
Al ritorno Giuseppe mi ha fatto conoscere la sua anziana madre e le sue tre sorelle di cui una che vive negli Stati Uniti d’America e mi fatto vedere la sua antica casa paterna tanto simile alla casa di mio nonno con la grotta con il palmento per la lavorazione del vino ed il recinto per l’allevamento dei conigli. Gli ischitani hanno portato il loro modo di vivere qui circa tre secoli fa e tutte le tradizioni sono continuate per secoli. Ho voluto vedere anche il cimitero. Come vengono ricordati nella pietra i precursori.
Nel racconto della storia di Ponza ci si imbatte contro il vuoto del Medio Evo. C’è una storia antica della grandiosa colonizzazione romana e dopo l’abbandono. Tutto riprende dal 1734. Dico a Giuseppe che voglio conoscere prima di andar via questi quattro gatti sognatori che scrivono della loro piccola isola come se stesse al centro del mondo.
Voglio conoscere Ernesto Prudente, Franco De Luca, Sandro Russo. Li trovo infatti un’ora prima di partire, seduti al bar Welcome sul porto. Ernesto Prudente è stato maestro elementare alla scuola di Ponza. Ha scritto molti libri su Ponza. Oggi ha 82 anni. Mi regala i suoi ultimi tre libri “Scorribande”, “Costumanze antiche” e “Le avventure di Pinocchio in dialetto ponzese” che è molto simile al dialetto che ancor oggi di parla ad Ischia Ponte al Borgo di Celsa.
Franco De Luca ha 65 anni. È stato direttore didattico anche a Ponza. Ha scritto libri e poesie ed è sempre Ponza al centro della sua opera. Sandro Russo ha 64 anni ed è medico in pensione, ma appassionato della terra dei suoi nonni materni.
Espongo loro il progetto del Distretto Turistico delle 5 isole abitate “comunque napoletane” Capri, Procida, Ischia, Ventotene e Ponza perché se non si ripristina il collegamento – che c’è stato per 119 anni e cioè dal 1857 al 1976 – con Napoli, la nostra Grande Capitale con le sue luci e le sue ombre ma dalla quale noi attingiamo le tradizioni ed i dibattiti, tutto il patrimonio antropologico di Ponza scomparirà poiché la Storia è fatta dagli uomini e non dalle rocce. Ponza diventerà poco meno o poco più di un costoso “villaggio turistico” nel mezzo del Mediterraneo per poco più o poco meno di 60 caldi giorni dell’anno. Scomparirà anche il dialetto o la “parlata” ed i libri di Ernesto Prudente e di Franco De Luca resteranno testimonianze di una lingua morta.
“Senza Storia non c’è avvenire!” – grida Ernesto Prudente nella presentazione del suo libro “Costumanze Antiche”. Silverio Mazzella chiude il suo meraviglioso volume, atto di attaccamento completo alla sua isola per tutti i giorni dell’anno e la durata della vita il cui testo è stampato con la sua stessa grafia quasi per rimarcare il valore di una dichiarazione di amore, così:
“La prima parte finisce qui. Si è voluto presentare le isole di Ponza, Palmarola e Zannone nel loro aspetto ambientale e naturalistico. Si direbbe oggi la location dove si sono svolte le vicissitudini che hanno interessato quello sparuto gruppo di pescatori provenienti da Ischia e da Torre del Greco a partire dal 1734. Arrivarono su questa isola ancora deserta e in preda a saccheggi saraceni determinati a realizzare il sogno della loro vita. Alcuni rinunciarono subito altri non contenti cercarono altri lidi. Quelli che rimasero acquisirono una propria natura, un proprio modo di vivere, un proprio dialetto, diventarono ponzesi”.
Ponza è l’isola a forma di Luna. È detta l’isola “lunata”. Sta apparendo la luna mentre lascio Ponza ed i ponzesi, i miei cugini arrivati qui nel XVIII secolo. Alla mente mi viene la poesia di un anonimo poeta giapponese: “Dicesti che non mi avresti dimenticato. Ma queste non erano che parole. L’unica cosa certa è la Luna che brilla stanotte e che tornerà ancora”.
Scarica qui il file dell’articolo “Ponza, l’isola della Luna” su IschiaNews eventi, numero di Agosto 2012, completo di foto e di english version
IschiaNews. Agosto 2012. pp. 30-35
Giuseppe Mazzella di Rurillo
Copertina del numero di Agosto 2012 di Ischianews Eventi