Mare

La protesta

di Gigi Tagliamonte

 

La gran parte dei lettori conosce bene le dimensioni dell’isola, la conformazione del porto con le abitazioni che lo circondano, affacciate direttamente sull’acqua, nessuna barriera le protegge. Molti vi hanno abitato, alcuni vi abitano. Chi non vi ha mai abitato può solo immaginare come è cadenzato il ritmo di vita del porto. Ogni luogo ha i suoi suoni, i suoi ritmi, le sue prospettive gli angoli di visuale; al porto vedi quasi sempre il mare quasi mai il continente.

Così chi vi abita sa bene quali sono i rumori che caratterizzano ogni ora…
La notte i generatori di una nave stanno là di sottofondo, imperterriti sottolineano ogni secondo, salvo in qualche notte ventosa le drizze di una o più vele frustano l’albero; se è d’alluminio fanno un suono di campana.


Poi, intorno alle cinque, finalmente, i motori dei camion ed i cicalini della retromarcia annunciano la partenza del traghetto. L’ancora è salpata, ogni anello batte ritmicamente sul metallo della cubia, il tonfo del corpo morto che piomba in acqua… E vai! Vai! …i motori accelerano per portar via ogni rumore.

Un’ora di tranquillità, d’inverno due, poi lentamente i motori dell’aliscafo accelerano per riscaldarsi abbastanza da avere la forza di sollevarne il peso. Qualche trolley consuma le ruote sul basolato, affannati gli ultimi, un breve fischio, qualche borbottio nelle manovre e quindi il rombo della potenza accuratamente preparata porta ancora una volta in volo gli “assonnati viaggiatori”.

Ora ci aspetta un bel prezzo di tranquillità, salvo un furgoncino smarmittato – ne basta uno! – che gironzola sulle banchine ed un peschereccio che parte. In mattinata i rumori aumentano lentamente, il brusio cresce costante, fino a cambiare nome diventa un clamore, si trasforma in un rombo indistinto e, al culmine, il frastuono e tale che non riconosci più il fragore della catena della nave che dà fondo.

Rumore che, invece, è molto caratteristico, il tonfo in acqua dell’ancora e il rapido martellare del metallo della catena, più cadenzato è lungo quando è salpata. Nel primo pomeriggio i rumori sono più distinguibili, il ronzio di un fuoribordo che si affievolisce lentamente allontanandosi, il ruggito di un motoscafo che parte oppure un motore che al massimo dei giri con i portelloni scoperchiati attende la diagnosi del meccanico. Voci di una lista in continuo aggiornamento, punteggiano le ore di tutto il pomeriggio, riconoscibili e costanti.

La sera rompono di più, cioè rompono il silenzio che è ritornato appena finito un altro rumore. Fino a quando una zaccalèna incarama e allora giù la lampara con quei generatori nudi che vogliono imitare una mitragliatrice. Qualche volta, la cosa, è lunga e complicata.

Chiude la giornata l’ultima nave che arriva da Terracina, il rituale delle manovre, poi, un grido: “Finito!” sancisce il termine. Sta per iniziare un nuovo giro.

No! Non potete chiederci di più.

 

5 Comments

5 Comments

  1. Biagio Vitiello

    21 Settembre 2017 at 05:52

    Ci siamo dimenticato il ‘gradevole’ suono delle due campanelle dell’orologio municipale, che non scandivano le ore e i quarti da tempo immemore (orologio fatto accomodare da Vigorelli)

  2. vincenzo

    21 Settembre 2017 at 10:15

    Bella e poetica la descrizione dei rumori-frastuoni del porto fatta da Gigi, nella sua discrezione si è tenuto lontano dal chiassoso parlottare della moltitudine dei villeggianti che camminano, si assiepano, si rincorrono ridendo e cantando spesso da ubriachi. Si è tenuto lontano dalla musica dei locali notturni che quest’anno si è tentato di far diventare ‘diurni’.
    Il porto è il centro storico. Molti operatori turistici di Le Forna vorrebbero questo rumore di fondo del porto e di conseguenza il resto del rumore vitale che riempie i portafogli.

    Molti operatori di Le Forna vorrebbero tanto questi rumori, tanto da sognare almeno da quarant’anni un porto che invidiano “ai saraghi di porto”.

    Mi hanno insegnato che “non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca”, ma questo è il sogno degli incontentabili.

  3. Gigi Tagliamonte

    22 Settembre 2017 at 08:53

    A Vincenzo. Il titolo a volte ha la funzione di svelare o nascondere le intenzioni di chi scrive; questo l’ho cambiato prima di cliccare sull’invio. Quello che tu dici è tutto nell’ultimo rigo. Nel testo uso il “noi” perché faccio parte di un gruppo di persone ormai “sul piede di guerra” per un’aggressione divenuta insostenibile. Lo scritto è un ambasciatore in cerca di soluzioni o alleanze, vuole raccontare ciò ch’è necessario senza puntare il dito. Il titolo era “ciò che non dico” ma mi è sembrato troppo esplicito.

  4. vincenzo

    22 Settembre 2017 at 11:01

    A Gigi.
    Anche io ho parlato rappresentando addirittura il 70% della popolazione ponzese, quella che va da Giancos a Calacaparra, ma non sono contro il tuo desiderio, che è rispettabile: silenzio, educazione, armonia.
    Dico però che la nostra cultura individualista, è riuscita solo a produrre una offerta turistica nautico-balneare che è legata alla portualità. Il Porto è il centro economico- commerciale, organizzativo per cui i caos nel centro storico una conseguenza logica.

    Tra l’altro per esempio, non tutti i commercianti del centro storico la pensano come te, alcuni vogliono il raddoppio del Porto di Ponza. Quindi non chiedono: armonia ma solo maggiori profitti.

    Qualcun altro mi ha detto che “non vuole i pescatori nel porto borbonico, meglio tanti panfili e nel frattempo trovare soluzione per far attraccare i tender dei motoscafi in rada”. Pensa all’arroganza di tale desiderio!

    Ancora: sempre qualcuno del centro storico chiede di avere attracchi per le navi crociere, così da intercettare nuovi flussi turistici. Sicuri ricconi che comprano nei negozi del Centro Storico.

    Vedi caro Gigi, cambiare a Ponza è difficile ma se si analizzano bene i problemi rispettando però le priorità, si possono apportare progressivamente delle modifiche coerenti, ma bisogna essere d’accordo sugli obiettivi da raggiungere in linea con un Fine.

    Il Fine è la salvaguardia della Residenza per cui la salvaguardia della integrità culturale-sociale e ambientale dell’isola?

    Oppure come avviene oggi il Fine è “Prendere il Malloppo e scappare?”

    Nel primo caso anche le tue ragioni troverebbero una soluzione, almeno nel tempo; nel secondo caso non ci possono essere soluzioni pensate ma solo indotte da emergenze e imposizioni individuali.

  5. Gigi Tagliamonte

    23 Settembre 2017 at 09:27

    Caro Vincenzo, è giusto sulle priorità che sosteniamo le nostre richieste, a ciò debbo riesumare il vecchio dilemma “lavorare per vivere o vivere per lavorare”. Ti chiedo: io come individuo ho diritto ad otto ore di sonno e di riposo oppure non ho diritto? Io credo di averne diritto. E come è il mio è il diritto di tanti altri che abitano nella zona del porto. Torno a precisare non sono i naturali rumori del movimento delle imbarcazioni che hanno origine necessariamente nel porto e che ho descritto anche con affetto, ma è il sopruso e la prevaricazione che non posso e non devo accettare. Io credo che è tempo di un coraggioso cambio rotta mettendo la prua a quelle priorità che tu vedi lontane ma certamente comuni a chi vuol vivere a Ponza.

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