Attualità

Dalla mia tesi sul dialetto

di Barbara Musella
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Barbara, 24 anni, si è brillantemente laureata in interpretariato e traduzione presso la Unint di Roma, discutendo un’interessante tesi di laurea in sociolinguistica: “Osservazioni linguistiche sul dialetto dell’isola di Ponza”. Relatore il professor Giancarlo Schirru, correlatrice la professoressa Lucilla Pizzoli (leggi qui)
Come ad altri giovani laureati di Ponza, le abbiamo chiesto di mandarci la tesi o parte di essa da pubblicare sul sito.
Ci ha mandato un assaggio…
Grazie Barbara e auguri per la tua vita professionale.
La Redazione

 

Gentile Redazione,
allego un estratto della mia tesi: ho incluso l’introduzione e un estratto di una trascrizione in alfabeto fonetico con relativa traduzione.
Un saluto,
Barbara


Introduzione

Il presente elaborato è volto a documentare la presenza, nella comunità abitante l’isola di Ponza, di un codice linguistico dialettale autonomo rispetto all’italiano e consolidato all’interno della comunità dei parlanti, nonché ad analizzarne le caratteristiche salienti per la sua classificazione tra i dialetti italiani centro-meridionali.

La ricerca è stata effettuata tramite un’inchiesta sul terreno: si è basata sulla registrazione, trascrizione, traduzione e analisi del parlato spontaneo di alcuni informatori locali al fine di osservare fenomeni linguisticamente rilevanti.

L’elaborato consta di quattro capitoli: dopo una panoramica sul contesto d’indagine, sugli informatori e sul metodo d’indagine, a cui sono stati dedicati i primi due capitoli, l’analisi si è concentrata soprattutto sull’osservazione, analisi e classificazione della fonologia del codice dialettale preso in esame, di cui hanno trattato gli ultimi due capitoli. Sono stati, infatti, presentati e analizzati il sistema vocalico e il sistema consonantico con relativi fenomeni frequenti e peculiari, nonché la metafonia, un fenomeno fonologico dagli esiti morfologici.

Per ogni fenomeno proposto sono stati forniti degli esempi emersi dalle trascrizioni, la parola dialettale è stata riportata tra parentesi quadre ([ ]) in Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA) e tra apici (‘ ’) è stata riportata la traduzione in italiano.

Dopo la conclusione, in appendice, è stato fornito il corpus delle trascrizioni delle interviste riportate in IPA, corredate di traduzione in italiano.

La presente analisi non pretende di essere una grammatica esaustiva del codice dialettale dell’isola di Ponza ma mira quantomeno a mettere in luce gli aspetti salienti di questo dialetto.

Questo studio nasce dal forte interesse di chi scrive nei confronti della linguistica e dei suoi fenomeni, dal legame profondo con la propria isola d’origine e dall’interesse verso la sua storia e le sue tradizioni, e dal desiderio di redigere un documento su un argomento tanto interessante quanto non trattato, affinché sia uno spunto per mostrare quanto un dialetto sia non solo espressione del patrimonio culturale della comunità che lo parla ma anche un codice linguistico che sul piano della struttura linguistica non differisce assolutamente da una lingua considerata ufficiale (Avolio, 2009: 23-24).

Trascrizione 1:

ANNA: ˈkwan:ə ˈɛrə pit:ʃəˈrel:a ˈmam:a ˈmijə ˈtut:ə i s:et:iˈmanə ˈtut:ə i d:umˈ:enikə tʃi purˈtavə i ˈf:ornə pəkˈ:e l:a tʃə ˈstevə a faˈmiλ:ə i paˈpa ˈmijə ka paˈpa mijə a ˈ faˈmiλ:ə ˈεrə ˈgrɔs:ə ˈɔt:o ˈfiλ:i. ˈmam:a mia ˈɛra ˈsola a ˈp:ɔntsa nu t:eˈnivə n:iˈʃ:unə e alˈ:orə ˈjevənə i ˈf:ornə. ˈkwan:ə ˈjevənə i ˈf:ornə l:a ˈɛrənə libˈ:eri pəkˈ:e teˈnevənə na ˈb:ɛl:a ˈlɔd:ʒa ˈgrɔs:ə e alˈ:ora l:a ˈf:ɔrə patˈ:sjavənə ˈtu:tə ˈkwantə, ˈtut:ə i kudˈ:ʒinə veˈnivənə ˈtut:ə l:a e ˈstevənə tut:ə asˈ:jemə. na ˈvɔta ˈmam:a ˈmia teˈneva nu ˈfiλ:ə maˈlatə alˈ:orə ˈɛrə a maˈdon:a i ˈmjedz:ə aˈustə alˈ:orə piˈjajə e tʃi manˈ:ajə i ˈf:ornə ˈkwan:ə ˈam:ə manˈʤatə tut:ə ˈkwantə sikˈ:omə ˈstevənə ˈtut:ə l:a ˈtut:ə i kudˈ:ʒinə so venutə ˈŋgɔp:ə ˈdop:ə manˈʤatə tʃə ˈsim:ə ˈmisə a d:urˈmi ˈkwat:ə ˈtʃinkwə i ˈnujə ˈtut:ə ˈkwantə ˈdintə a nu ˈljet:ə peˈro sa kum:ə ɛ ˈstes: ə kə ˈstevənə ˈkwat:ə ˈtʃinkwə i ˈnujə faˈʃevənə muˈinə pəkˈ:e ki durˈmevə? e alˈ:orə a ˈnɔn:a vəˈnɛt:ə ku ˈimbərə, u ˈimbərə ˈɛrə na ˈfrustə kə faˈʃevənə i ˈn:as:ə, a piˈλ:ajə e tʃə meˈnajə alˈ:ora ijə diˈʃɛt:ə “ijə staˈserə me ne ˈvakə”. ˈkalə u ‘jwornə a ˈnɔn:ə tʃə piˈjajə, tʃə purˈtajə a: proʃesˈ:jonə, ‘jɛt:əmə a: proʃesˈ:jonə e ˈstevə d:ʒen:aˈrinə u ˈfratə mijə ˈdujə ˈan:ə manˈkantə i me ijə seˈkondə me teˈnevə ˈɔt:ə ˈnɔvə ˈan:ə na ˈkɔsə i ˈkestə ˈɛvə ˈtɛnə ˈkwan:ə sim:ə ˈjutə a: proʃes:jˈonə ˈkwan:ə sim:ə turˈnatə a ˈnɔn:ə ˈstevə parˈlan:ə ki kud:ˈʒinə ˈsɔjə kə ˈsɛrənə truˈwatə ˈfɔrə a ˈk:jesə ijə ˈtirə a ˈmanə i d:ʒen:aˈrinə, d:ʒen:aˈrinə teˈnevə a ˈmanə ka ˈnɔn:ə tiˈrajə e mə nə ˈjɛt:ə ˈb:aʃ:ə ˈkalə iɱˈvjɛrnə. ˈjɛt:ə ˈb:aʃ:ə ˈkalə iɱˈvjɛrnə truˈvajə na ˈvarkə i ˈkel:ə kə mbarˈkavənə i ˈd:ʒɛntə ˈjevənə ˈb:aʃ:ə kalə iɱˈvjɛrnə e p:urˈtavənə u ˈpuortə piˈjajə na ˈvarkə i ˈkel:ə mə metˈ:εt:ə a ˈb:wordə e diˈʃɛt:ə k:usˈ:i “pɔ paˈpa mijə və ˈpakə” e ijə mə nə ˈjɛt:ə.

ANNA: Quando ero piccola mia mamma tutte le settimane, tutte le domeniche ci portava a Le Forna, perché lì c’era la famiglia di mio padre. La famiglia di mio padre era grande: otto figli. Mia mamma era sola, a Ponza non aveva nessuno e allora andavamo a Le Forna. Quando andavamo lì eravamo liberi, perché c’era una loggia bella grande e allora giocavamo lì fuori insieme a tutti i cugini. Una volta, mia mamma aveva un figlio malato, era Ferragosto e allora ci mandò a Le Forna. Visto che eravamo lì, vennero tutti i cugini e dopo mangiato ci mettemmo a dormire in quattro cinque in un letto, però sai com’è, appunto perché eravamo in quattro cinque, facevamo baccano, perché chi dormiva? E allora la nonna venne il fusto della pianta del mirto con il quale si facevano le nasse, lo prese e ci picchiò, allora dissi: “io stasera me ne vado”. Venne la sera, la nonna ci portò alla processione, andammo alla processione e c’era Gennarino mio fratello minore, che aveva due anni meno di me, io secondo me avevo otto, nove anni, una cosa del genere dovevo avere. Quando siamo tornati dalla processione, la nonna stava parlando con le sue cugine che aveva incontrato fuori la chiesa, io lasciai la mano a Gennarino che teneva la mano a nonna e andai giù a Cala Inferno. Lì trovai una barca che portava da Cala Inferno al Porto, la presi, mi misi a bordo e dissi così: “Poi mio padre vi paga” e me ne andai.

 

Allegato il file .pdf inviato da Barbara: tesi-di-barbara-musella-estratto

 

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3 Comments

3 Comments

  1. vincenzo

    8 Dicembre 2016 at 12:17

    Quello di Barbara mi sembra che sia un lavoro scientifico: mi piacerebbe conoscere il parere degli esperti e cultori, del dialetto ponzese scritto e parlato che sicuramente sono numerosi tra gli amici e i redattori di Ponzaracconta.

  2. silverio lamonica1

    8 Dicembre 2016 at 16:00

    Complimenti alla neo dottoressa per il suo prezioso lavoro sul nostro dialetto. E’ un lavoro scientifico, per cui la trascrizione del dialogo in vernacolo è per addetti ai lavori; non è destinata – come ovvio – ad un elaborato in prosa o poesia.
    Però, lasciatemelo dire, sono contentissimo sapere che alcuni nostri giovani provano interesse per le nostre espressioni culturali e ci tengono a farle perdurare nel tempo. Grazie ancora, carissima Barbara.

  3. Barbara Musella

    9 Dicembre 2016 at 08:42

    Volevo riproporre un mio commento del 27 ottobre scorso, ad un articolo sul dialetto di Franco De Luca, che forse non tutti i Lettori hanno avuto modo di leggere:

    “Scusate se mi intrometto nella conversazione ma volevo segnalarvi che per ovviare a questo problema si potrebbe ricorrere al sistema di scrittura ideato dal professor Francesco Avolio, figura molto importante nel campo della dialettologia e linguistica italiana.

    Il sistema si avvale di lettere facilmente reperibili nella sezione “simboli” di Word.
    Vi segnalo di seguito i simboli con trascrizione fonetica (che ne indica la giusta pronuncia) e degli esempi per farne un uso corretto:

    ë [ə] vocale “indistinta”, “neutra” o “centrale” (nirë «nero»);
    č, ǧ [tʃ], [ʤ] la c e la g palatale dell’italiano cera e gelo (čerasë «ciliegia»);
    š [ʃ] la sibilante palatale sorda dell’italiano sciare in posizione iniziale (šulià «scivolare»).

    Per segnalare l’apertura e la chiusura delle vocali, invece, si può ricorrere alle convenzioni ortografiche dell’italiano: accento grave per suoni vocalici aperti (tèrra) e accento acuto per quelli chiusi (céna).

    Per chi volesse approfondire l’argomento mi permetto di segnalare il libro “Lingue e dialetti d’Italia” di Francesco Avolio (2009), Carocci.

    Statëvë buonë!

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