Attualità

Il voto che danneggia i giovani

di Vincenzo (Enzo) Di Fazio

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Sono tra quelli che, come Sandro Russo, ritiene che il nostro sito non può interessarsi solo di storia, cultura, tradizioni e fatti locali per non correre il rischio di andare fuori tema.
Ci sono a volte argomenti che, varcando i confini dell’isola ed esulando dagli interessi del luogo, si impongono rispetto ad altri e non possono essere trascurati in quanto appartengono a tutti per la loro portata e per i cambiamenti che possono produrre. Uno di questi è il referendum che ieri ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue.
Analizzando la composizione di quel 51,9% che ha votato Brexit c’è un dato che merita l’attenzione di tutti, quello che a determinare la vittoria degli antieuropeisti è stata la parte dell’elettorato più anziano e provinciale, meno istruito, più spaventato, povero di speranze prima ancora che di reddito (come ricorda oggi su “Repubblica” Michele Serra nella sua rubrica “L’amaca”). L’Europa degli Erasmus e delle città cosmopolite è stata sconfitta da un’Europa periferica e di contado, invecchiata, sottoccupata, incattivita (ancora M.S.)

Un titolo dell’Indipendent alla vigilia del referendum inglese era stato profetico: “baby boomer (*) avete già rubato il futuro ai vostri figli, non peggiorate la situazione votando Brexit”. Non è andata così e il voto con cui la Gran Bretagna esce dall’Ue segna una frattura generazionale enorme. Riporta oggi il sole 24 ore che secondo l’analisi dell’istituto Yougov a votare per la permanenza della GB in Ue è stato il 73% dei votanti tra i 18 e 24 anni e il 54% dei votanti tra i 25 e i 49 anni. Nella fascia di età che va dai 50 ai 65 anni il “Remain” cala al 42% per precipitare al 36% tra gli over 65.

Brexit

Questi dati, su cui è bene che tutti facciano delle riflessioni, hanno portato Mario Calabresi, direttore di Repubblica, a scrivere  una bellissima lettera, che indirizzata ai giovani,  mi piace proporre ai lettori di Ponzaracconta.

Cari ragazzi, l’Europa è vostra: non lasciate vincere i venditori di paura

Cari ragazzi europei, siete nati in un continente di pace, non avete mai visto la guerra sotto casa, siete cresciuti senza frontiere, progettando di studiare in un altro Paese, fidanzandovi durante l’Erasmus, scambiando messaggi con gli amici sulle occasioni per trovare lavoro o sui voli meno costosi per vedere un concerto.
Non importa se siete nati a Cardiff, a Bologna, a Marsiglia a Barcellona o a Berlino, oggi le paure dei vostri genitori e dei vostri nonni hanno deciso che la Gran Bretagna tornasse ad essere un’isola, che voi diventaste stranieri dall’altra parte della Manica.

I vostri nonni, che sanno cosa è stata la guerra, dovrebbero avere a cuore un futuro di libertà per voi, ma insieme ai vostri genitori si stanno lasciando incantare da chi racconta che rimettere muri, frontiere, filo spinato servirà a farci vivere più tranquilli, sicuri e sereni. Che tornare ad avere ognuno la propria moneta riporterà lavoro, prosperità e futuro.

Vi stanno raccontando che la democrazia diretta e i sondaggi in tempo reale risolvono magicamente i problemi, che esistono sempre soluzioni semplici e a portata di mano, che non c’è più bisogno di esperti e competenze, che la fatica e la pazienza non sono più valori, che smontare vale più di costruire. Il continente è malato, ma la febbre di oggi è la semplificazione, l’idea che sia sufficiente distruggere la casa che ci sta stretta per vivere tutti comodamente. Peccato che poi restino solo macerie.

Aprite gli occhi, guardate lontano e pretendete un’eredità migliore dei debiti. Vogliamo avere pace, speranza e libertà, non rabbia, urla e paure.

Tappatevi le orecchie, non ascoltate gli imbonitori e pretendete politici umili, persone che provino a misurarsi con la complessità del mondo e siano muratori e non picconatori.

Segnatevi sul calendario la data di ieri, venerdì 24 giugno 2016, e cominciate a camminare in un’altra direzione, a seminare i colori e le speranze.

Una ragazza inglese che ha votato sì ma non è riuscita a convincere suo padre e suo zio a fare lo stesso, ieri ha promesso ai suoi amici europei, con una voce tremante che mescolava imbarazzo e rabbia: “Verrà il nostro turno della nostra generazione e allora torneremo”. Ci contiamo.

i giovani e l'europa

 

(*) Un baby boomer è una persona nata tra il 1945 ed il 1964 in Nordamerica, contribuendo a quello che fu un sensibile aumento demografico avvenuto negli Stati Uniti  in quegli anni conosciuto come baby boom.
Superata da poco la seconda guerra mondiale la generazione del baby-boom contribuì notevolmente all’aumento di domanda per beni di consumo, stimolando la crescita economica registrata in quel periodo (da Wikipedia)

 

Appendice del 27 giugno 2016
Per un approfondimento delle questioni emerse in “Commenti”, si riportano i tre articoli variamente citati:

8 Comments

8 Comments

  1. silverio lamonica1

    25 Giugno 2016 at 15:28

    Brexit
    Carissimo Enzo anche io come te e la gran parte della nuova generazione inglese, sono rimasto deluso da quel voto referendario.
    Però, parliamoci chiaro. Questa Europa è governata da vecchi “teutonici” la cui unica mira è quella di favorire, non l’economia (il cui meccanismo è molto complesso, come tu mi insegni) ma le banche le quali più che favorire, a loro volta, affossano l’economia. L’Europa dei padri fondatori prevedeva il libero mercato e il libero scambio delle merci; l’Europa “teutonica” prevede invece l’uniformità delle merci: guai se uno zucchino oltrepassi un certo peso o un’acciuga una certa dimensione in tutti i paesi dell’Unione (come vedi non siamo fuori tema, il discorso interessa anche i nostri pescatori ponzesi sempre più in crisi e sempre di meno). L’Europa ”teutonica” prevede l’uniformità dei bilanci dei vari stati aderenti e in tal modo la Grecia è stata ridotta letteralmente alla fame. Mi chiedo: che fine ha fatto il Fondo Sociale Europeo, grazie al quale si dovevano aiutare le regioni europee più deboli, aderenti all’Unione, se la Grecia è stata ridotta in quel modo?
    Non era questa l’Europa che sognava Altiero Spinelli, il cui manifesto, grazie a questi miopi “governanti” è diventato carta straccia, se non qualcosa di peggio … adibito magari alle loro miserrime necessità. Ma proprio guidati da quel “Manifesto” il 25 marzo 1957 i capi di governo dei sei paesi aderenti firmarono il “Trattato di Roma”.
    Si pensava anche ad una unione politica nel senso più stretto, simile agli Stati Uniti d’America. Ma lì il discorso è diverso: gli stati più ricchi aiutano quelli più “poveri”, come mi spiegava il Prof. Pagano. In questa Europa teutonica, invece, non esiste tale solidarietà e così gli antieuropeisti e gli euroscettici vincono “facile”.
    L’Unione Europea in cui credo fermamente, quella di Altiero Spinelli, si può ancora salvare purché avvenga un cambio di rotta radicale, con un profondo rinnovamento della classe politica che la dirige, ma soprattutto nella mentalità dei cittadini dei vari stati che la compongono, superando i vari egoismi nazionali. Però sotto questo profilo la vedo molto dura.

  2. Biagio Vitiello

    26 Giugno 2016 at 09:18

    Non essendo economista né politico, esprimo un mio modestissimo parere da “uomo libero”.
    Se la Gran Bretagna ha deciso di uscire dall’Europa, è inutile fare “dietrologia”; sappiamo tutti che il popolo è sovrano (e lo consente l’art. 50 della Comunità Europea).
    Poi a che cosa serve all’Europa una Gran Bretagna che conserva la sua valuta? Il suo Commonwealth?
    Questo lo dovrebbe spiegare qualcuno!

  3. vincenzo

    26 Giugno 2016 at 17:55

    Brexit, Onfray: «L’Europa viene spazzata via? È tutta colpa delle élite»
    Il filosofo francese: «Questa macchina distrugge tutte le conquiste sociali ottenute da due secoli. Avrei votato per l’uscita»
    di Stefano Montefiori – Corriere della Sera 25.26 06 2016

    Il celebre e controverso filosofo francese Michel Onfray, critico feroce — da sinistra — del governo socialista e delle élite europee, ha risposto per email ad alcune domande del Corriere.

    Se fosse stato un cittadino britannico, lei avrebbe votato Remain o Leave?
    «Avrei votato per l’uscita da questa macchina liberale che distrugge tutte le conquiste sociali ottenute da due secoli di lotte sindacali e di progresso sociale. Una macchina che chiamiamo falsamente l’Europa, quando è in effetti un club capitalista che si presenta travestito da grande idea generosa, umanista e progressista. Quel che il capitalismo non è riuscito a fare finché il socialismo totalitario esisteva all’Est, ha potuto farlo grazie alla burocrazia e all’amministrazione di questa Europa del denaro. Il liberalismo si trova paradossalmente imposto in modo autoritario da questa macchina che ha dalla sua parte le élite politiche, mediatiche, industriali, finanziarie, bancarie, mercantili, ma non il popolo che fa le spese di questa dittatura liberale».

    Nel campo euro-scettico molte voci, in primis Marine Le Pen, chiedono un referendum anche in Francia e in ogni Paese dell’Ue. Lei è favorevole?
    «Fare riferimento a Marine Le Pen mostra che ci si rifiuta di pensare e che si vuole intimidire. Marine Le Pen non è la pietra di paragone rispetto alla quale prendere posizione. Me ne infischio di Marine Le Pen che è la Tsipras francese, stessa cosa con Jean-Luc Mélenchon (leader del Parti de gauche, ndr). Sono a favore di questo referendum, ma vorrei ricordare che in Francia l’abbiamo già avuto, chiesto da Chirac nel 2005: ha avuto esito negativo e Sarkozy dell’Ump e Hollande del Ps hanno disprezzato la scelta del popolo imponendo poi tramite le camere riunite quel che il popolo aveva rifiutato».

    Dopo il No del 2005, la Francia torna il Paese chiave?
    «La Francia oggi è Hollande e Hollande è un elettrocardiogramma politico piatto. Per ora non ha che un’unica preoccupazione, essere rieletto. Si serve della Francia, non la serve. Se lo riterrà utile da un punto di vista di tattica politica, prenderà delle iniziative. Ma non ha lo stesso peso di Merkel che è l’uomo forte di questa Europa liberale».

    Il tema dominante della campagna è stata l’immigrazione. È stato forse un voto soprattutto contro la globalizzazione e l’immigrazione?
    «Questa domanda coinvolta e militante assimila il voto contro il liberalismo a un voto contro gli stranieri. L’Europa di cui abbiamo vantato i meriti all’epoca di Maastricht ha fallito: doveva portare la piena occupazione, la fine delle guerre, l’amicizia tra i popoli, il progresso della civiltà; ha prodotto il contrario: messa in concorrenza dei lavoratori, disoccupazione di massa, quattro anni di assedio a Sarajevo, esacerbazione dei nazionalismi, regressioni culturali».

    I giovani hanno votato per lo più Remain, mentre gli anziani Leave. Si può parlare di una vittoria della paura contro la speranza?
    «Anche questa domanda è militante, partigiana e orientata. Lascia credere che votare contro il liberalismo sia votare contro l’Europa, e anche per la xenofobia, dunque per il razzismo, e quindi significa essere vecchi, dunque antiquati, fuori dal tempo. Si potrebbe aggiungere, perché anche questo fa parte della panoplia che gli euro-beati e gli euro-ladri usano contro gli euro-lucidi da loro chiamati euro-scettici, che i pro-Brexit sono anche sotto-istruiti, rurali, ritardati mentali, alcolizzati quando non — è stato detto in Francia — assassini di deputati pro-Ue (riferimento all’uccisione della laburista britannica Jo Cox, ndr). Da parte mia parlerei di una vittoria di quanti hanno esperienza e memoria contro coloro che, fabbricati da questa Europa che ha gettato la cultura e la storia alle ortiche, si bevono la propaganda che cola dai media di massa».

    Qual è stato il peso del populismo in questo risultato?
    «Rifiuto questa terminologia. È populista oggi chiunque abbia deciso di dare la parola al popolo, di rendergli il potere che gli appartiene, di ascoltare quel che dice quando gli si chiede in un referendum quel che pensa. Coloro che ricorrono alle parole populisti e populismo sono di solito dei populicidi, in altre parole degli assassini di popoli. Il termine è del rivoluzionario Gracchus Babeuf… Se non volete ascoltare quel che il popolo vuole dirvi, non chiedetegli quel che pensa. Oppure fate come in Francia, chiedeteglielo e poi non tenetene conto. La democrazia è il governo del popolo, attraverso il popolo, per il popolo. E l’Europa liberale è una oligarchia di burocrati al servizio del capitale, non una democrazia: è quel che dicono i popoli quando li si sollecita».

    Qual è la portata complessiva di questo voto? Quali conseguenze prevede per l’Occidente?
    «Ho appena finito di scrivere un libro di mille pagine che si intitola “La Decadenza. Vita e morte della civiltà giudaico-cristiana”. L’Europa è morta, ecco perché gli uomini vogliono farla, ma non hanno capito che l’Europa era finita dall’apertura delle porte di Auschwitz. Quel che sta accadendo in Gran Bretagna, sono le prime pietre dell’edificio che cadono. Preparate il requiem».

    Da “Il Corriere della Sera” del 25 giugno 2016 (modifica il 26 giugno 2016 | 00:25)

  4. Sandro Russo

    27 Giugno 2016 at 07:18

    Non so se le idee di Biagio (e di noi tutti) sono più chiare dopo aver letto l’articolo che gli /ci ha propinato Vincenzo.
    Riportare le posizioni di un filosofo ipercritico e iconoclasta come Onfray, equivale, riguardo all’Europa, ad accettare di “buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”.

    Per rispondere a Biagio, è vero che “Londra non ha mai voluto che l’Unione si affermasse come soggetto politico sovranazionale. Agli inglesi stava bene che si tenesse in piedi una semplice unione doganale che aiutasse i loro commerci.
    Se anche avesse vinto il “Remain” “il sistema comunitario avrebbe continuato a fare i conti con la zavorra di un socio che ha sempre boicottato ogni tentativo di fare scelte di pur vago sapore federale e non faceva mistero di voler continuare la sua opera di sabotaggio”.
    [stralciato da Massimo Riva su “La Repubblica” del 21.06.2016]

    Ha vinto “Brexit” e se rappresenterà un punto di svolta (anche per la Scozia e l’Irlanda del Nord) ma soprattutto per una re-impostazione delle politiche comunitarie e dell’idea stessa di Europa, gli svantaggi e la delusione attuali avranno un senso.
    Questo sempre dal punto di vista di chi nell’idea di una Europa ci ha creduto e vorrebbe continuare a crederci, malgrado le tante evidenza contrarie.

    Quanto al diritto “sovrano” del popolo di fare le sue scelte in senso pro o contro l’Europa, è vero solo in parte, e in questo è consistito l’errore di Cameron:
    “Sembra il massimo dell’espressione democratica, la parola al popolo, come la scelta tra Gesù e Barabba. E invece è l’espressione basica e universale della democrazia che cerca se stessa, quando i rappresentanti non sono in grado di elaborare una proposta politica convincente, si spogliano della loro responsabilità e delegano la scelta ai cittadini, saltando i parlamenti e i governi per raggiungere una vox populi dove fatalmente si mescola la ragione e l’istinto, l’emozione e la frustrazione, l’individuale e il collettivo. In questo senso, il pronunciamento popolare è il più ricco di contenuto e di ingredienti soggettivi. In un senso più generale, è un’altra prova di abdicazione della politica organizzata nella sua forma storica tradizionale, che oggi rinuncia ad assumersi i suoi rischi e ricorre al popolo per rincorrere in realtà il populismo che la sta mangiando a morsi e bocconi.”
    [stralciato da Ezio Mauro, su “La Repubblica del 25.06.2016]

    I tre articoli a confronto – di Michel Onfray, Massimo Riva e Ezio Mauro – sono riportati in formato .pdf in fondo all’articolo di base

  5. Vincenzo Ambrosino

    27 Giugno 2016 at 18:44

    Voglio rispondere in modo indiretto – utilizzando le notizie della Rassegna Stampa (NdR) – a Sandro Russo sulla Brexit e cerco di essere sintetico.
    In Italia abbiamo svolto un Referendum per l’acqua pubblica che cosa hanno fatto il PD e Forza Italia? Hanno cambiato le carte in tavola e hanno “industrializzato il servizio” di fatto mettendolo nelle mani dei partiti e dei privati. Un’operazione di alchimia politica che non fa gli interessi dei cittadini, anzi è contro la volontà dei cittadini.
    Libera concorrenza: ci ha portato per esempio a Ponza la Laziomar che insieme alla Regione e ai Sindaci non fanno gli interessi dei cittadini.
    E i discorsi sulle “quote latte” e sulla regolamentazione della pesca oppure dei prodotti agricoli ecc. come nascono, con quali logiche? Si distruggono ambienti naturali per costruire TAV, centri storici, interi abitati rurali, culturali per spostare una mela spagnola e portarla in Italia e viceversa: per una sola logica imposta dal liberismo economico.
    Le politiche di Bilancio imposte dal liberismo ai paesi europei sono insostenibili. Si deve risparmiare sugli ospedali, scuole, servizi pubblici… perché? E i soldi degli Stati passano alle banche che ci fanno la cresta.
    Privatizzazione: ci consigliano questo, anzi ci obbligano a fare le privatizzazione per avere uno Stato sempre più debole e immettere nel mercato le grandi multinazionali.
    Chi ha bombardato Gheddafi, con quali decisioni, per quali fini? Per avere un territorio senza governo e creare caos e guerra.
    Al contrario: se Acqualatina viene messa in discussione di chi è il merito, dei fantocci del liberismo o della società civile? Se si parla con speranza del sindaco di Latina, chi l’ha portato a vincere quelle elezioni?
    Questa Europa e gestita dai liberisti e tutti i politici al potere sono funzionari di questo sistema.
    Che cosa faranno questi funzionari? Cercheranno di prendere tempo, cercheranno di far passare il carico di emotività dell’uscita della Gran Bretagna ma non penseranno mai agli Stati Uniti d’Europa per esempio, perché la vogliono divisa, facile da controllare, burocratica: un grosso serbatoio di consumatori alla mercé dei loro interessi.
    Ma questo non può funzionare a lungo, perché nel mondo che questi liberisti hanno costruito, c’è anche l’altra informazione che sfugge dal controllo e che costruisce il dissenso.
    Non comprendo la responsabilità di alcuni intellettuali di fronte all’immensa, strabordante irresponsabilità verso l’umanità del potere liberista.

  6. Sandro Russo

    28 Giugno 2016 at 08:48

    Giustamente Vincenzo nel suo ultimo commento vuole abbandonare i discorsi teorici o troppo distanti dalla realtà (come la Brexit?) e tornare con i piedi a terra, alle storie di casa nostra.
    Cita come campi in cui “il liberismo” ha dato il peggio di sé Acqualatina, la Laziomar, privatizzazioni e assurdità varie.
    Sfonda una porta aperta (con me e credo con l’impostazione di tutto il gruppo di Ponzaracconta). Una delle mie ultime uscite (del 14 giugno u.s.) è stata per stigmatizzare l’assenza delle opposizioni e di altre voci critiche (ad eccezione di due rappresentanti del Movimento 5 Stelle) alla Conferenza dei Servizi per il Porto di Cala dell’acqua: leggi qui il commento).

    Ma bisogna uscire dall’equivoco: se si intende sottrarsi dal giogo del libero mercato con la rivoluzione o con una maggior partecipazione. La prima via era stata percorsa con esiti più che nefasti, tragici, dalle Brigate rosse negli anni ’70 che sono appunto ricordati come “gli anni di piombo”; l’altra è la maggior consapevolezza e partecipazione di una gran massa di cittadini a contrastare una gestione fallimentare (nell’amministrazione di una città come nell’edificazione di una unità sovranazionale (Vincenzo fa l’esempio della elezione del sindaco di Latina). Quindi non èlite ‘illuminate’ ma vera democrazia dal basso.

    Questa seconda strada è l’unica percorribile ma, al di là degli entusiasmi di facciata, è lunga e difficile, implica un cambiamento profondo (o proprio la costruzione, qualora inesistente prima) di una coscienza civica; la fine delle deleghe e l’assunzione diretta di responsabilità.

    Dal particolare al generale: se la stessa idea di Europa non permea le coscienze, le persone, questa stessa flebile voce porteranno i loro rappresentanti in ambito interazionale!

  7. Enzo Di Fazio

    28 Giugno 2016 at 10:40

    Parto da una considerazione: dalle posizioni degli euroscettici e degli antieuropeisti c’è molto da imparare; c’è da imparare quando sottolineano le promesse non mantenute o quando parlano di burocrazia e di tecnocrati al servizio della finanza, questioni, peraltro, condivise anche dagli europeisti.

    Discorso diverso è la propaganda del nazionalismo puro (come quello di Marine Le Pen) che fa leva sulle nuove paure (l’immigrazione, il terrorismo, la perdita dei posti di lavoro…) per ritornare all’antico che, in quanto già noto, è molto rassicurante. 
Non a caso tre delle cinque ragioni poste alla base della propaganda a favore della Brexit sono state il controllo dell’immigrazione, la tutela della sicurezza e la riconquista della sovranità nazionale.

    Sfugge a molti che il mondo va inesorabilmente sempre più verso la globalizzazione la quale non è una scelta ma un cambiamento della storia.
    
Detto ciò è ovvio che un cambio di passo della politica europea non è più procrastinabile con una rivisitazione delle istituzioni nel loro insieme e l’adozione di strumenti di riequilibrio come ad esempio gli eurobond.

    Non dimentichiamoci, intanto, i vantaggi di appartenere ad una grande mercato.
 Il mercato unico, nel quale quasi inconsapevolmente viviamo, ha permesso durante la seconda metà del ’900 una crescita enorme che ha portato l’economia europea dalla disastrosa situazione post-bellica a diventare la seconda economia mondiale.

    Non facciamo più caso alla libera circolazione delle persone…
    L’apprezzano gli studenti, i lavoratori ma soprattutto chi viaggia al di fuori dei confini dell’Europa. Il muro di Berlino ci sembra lontano ma era qui in Europa fino a poco più di 25 anni fa.
 Sottovalutiamo l’importanza della libera circolazione delle merci, dei capitali e dei servizi e dell’assenza di barriere e di dazi doganali.
    Certo, con il libero mercato si dà spazio alla competizione che il protezionismo, invece, tiene a bada.
    Ma la competizione migliora l’offerta, migliora i servizi, viaggia con il progresso.
    
Non dimentichiamoci cosa ha fatto la Corte di Giustizia europea a partire dagli anni ’60 in materia di diritti umani. Esistono oggi tantissime norme che tutelano i lavoratori europei indipendentemente dalla loro nazionalità. La gran parte delle leggi che difendono l’uguaglianza sul posto di lavoro, il diritto a un giusto processo, il rispetto dell’ambiente, la tutela della salute sono europee, e nemmeno lo sappiamo perché sono diventate leggi nazionali. 

    Nel 2012 all’Europa venne assegnato il premio Nobel per la pace per aver contribuito alla pace, alla riconciliazione, alla democrazia e ai diritti umani in Europa. 
Sono circa sessant’anni che quella pace è garantita dopo che si era perso il conto di quante volte un paese europeo aveva invaso o attaccato un suo confinante.
    Il Regno Unito ha deciso di abbandonare tutto questo e ne sta pagando già oggi le conseguenze con gli strappi politici interni, con l’ira della Scozia e dell’Irlanda del Nord che vogliono l’indipendenza dall’Inghilterra e con il malessere di tanta gente che si pente di aver votato Brexit perché non aveva immaginato minimamente i risvolti negativi.
    Invece che imboccare la strada del referendum come scorciatoia, è forse giunta l’ora, sull’onda della delusione per quello che è accaduto e sta accadendo nel Regno Unito, di rimboccarci le maniche e fare tutti responsabilmente di più. Come nazione, come gruppi sociali, come singole persone.

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