Ambiente e Natura

Abbascio a marina, di Louis Stevenson

proposta da Silverio Lamonica
At the sea-side

.

Nel corso della mia ormai costante ricerca in internet di liriche composte da autori anglo-americani riguardanti il mare, mi sono imbattuto in una simpatica poesia scritta da Robert Louis Stevenson (1850 – 1894) noto a tutti per il romanzo “L’Isola del Tesoro”. La poesia si intitola:

At the Sea-Side


by Robert Louis Stevenson

When I was down beside the sea

A wooden spade they gave to me

To dig the sandy shore.

My holes were empty like a cup.

In every hole the sea came up

Till it could come no more.

Leggendola, mi sono subito venuti alla mente i ricordi dell’infanzia, quando “abbascio a marina i Sant’Antuono”, assieme ai compagni di allora, scavavamo buche nella sabbia, trasformando l’arenile in una enorme groviera. Lo facevamo perché eravamo affascinati dall’acqua che improvvisamente appariva in quelle buche. La medesima sensazione la provò, un secolo prima, il grande Stevenson e la descrisse in versi.

S_-Antonio-anni-60

Forse non ci crederete: ho tentato di tradurla in italiano, ma non ci sono riuscito; ne sortiva un qualcosa senza senso. Poi ho provato ad usare il nostro ponzese – napoletano e tutto è risultato più facile; pensate, appena un quarto d’ora per completare il tutto! Probabilmente il componimento di Stevenson che riguarda un gioco d’infanzia, ha riportato alla mia mente, oltre al ricordo, anche il linguaggio in cui allora ero solito esprimermi: il dialetto. Così, con un personale “arrangiamento” è sortita:

Abbascio a marina

Me ne jette nu juorno abbascio a marina

cu na bbella paletta i lignamme

a scavà tanta fuosse ‘ndà rena.

Erano tanta buche vacante

comm’ e tazze senz’ u ccafé.

Ma ll’acqua e mare sperciaie sotta sotta

e all’intrasatte tutt’e pertòse jnghètte.

.

Logicamente ho approfittato di tale occasione anche per tener vivo il dibattito sul nostro dialetto.

Come si può notare, ho cercato di limitare le parole tronche a quelle seguite da vocale: senz’ u , tutt’ e, poi ho usato la j per jette (andai) juorno (giorno), jnghette (riempì) che si riscontra, se non erro, in alcuni autori classici napoletani.

A questo punto qualsiasi commento è gradito.

5 Comments

5 Comments

  1. Sandro Russo

    2 Dicembre 2015 at 07:35

    Infatti sarebbe un vero peccato passare sotto silenzio un’idea geniale come questa tua, Silverio! Tradurre dall’inglese direttamente in dialetto, senza passare per l’italiano! E con l’ottima motivazione di entrare senza intermediazioni linguistiche nella sensibilità del bambino, inglese o ponzese che sia.
    Ma fatti i complimenti, fammi esprimere pure qualche critica; senza averne nessun titolo se non quello, auto-referenziale, di aver curato per quasi cinque anni tutti gli scritti in dialetto (ma non solo) arrivati al sito e pubblicati. Con nessuna lamentela da parte degli autori, mi è sembrato.
    L’assunto base per il dialetto è stato quello di riprodurre nello scritto la forma più vicina a quel che si pronuncia.
    Perciò nel tuo titolo e nel testo invece di “abbascio a marina” avrei scritto abbasci’a marina e avrei anche tenuto conto delle altre indicazioni fin qui date:
    – a marina: l’articolo che sta per ‘la’ dovrebbe mostrare l’elisione della elle; quindi ’a marina;
    – scavà sta per scavare, quindi anche qui si dovrebbe scrivere scava’;
    – i lignamme: la “e” per dire de o “i” per di andrebbero rese con ’e e ’i, rispettivamente (’a paletta ’i lignammell’acqua ’e mare);
    – sulla “j” al posto della “i” bisognerebbe mettersi d’accordo una volta per tutte: secondo me la “i” basta e avanza per rendere quel suono, senza introdurre inutili preziosismi.

    Per queste indicazioni, tante volte ripetute e sempre disattese, lamentavo in un altro mio articolo sul tema (leggi qui) quanto sia defatigante per me, e senza speranza, questa battaglia sul dialetto.

  2. silverio lamonica1

    2 Dicembre 2015 at 09:54

    Carissimo Sandro, il tuo commento è preziosissimo. Io credo che siamo sulla buona strada per tracciare una vera e propria “grammatica” del “ponzese”. I vari commenti, iniziando da questo e da altri precedenti (Carmine Pagano, Sandro Romano, F. Schiano ecc.) dovrebbero essere raccolti via via per codificarli in un lavoro finale.
    Mi trovi molto d’accordo nelle osservazioni che hai fatto; per quanto riguarda la j, la suggerivo per tener vive le nostre antiche origini napoletane, tuttavia anche a me suona un po’ come un arcaismo. E adesso la parola ad altri.

  3. franco schiano

    2 Dicembre 2015 at 19:57

    Caro Silverio, ho sempre pensato che in dialetto si riescono a esprimere meglio certe sensazioni, certi moti dell’anima.
    Questa tua bella “traduzione” me lo conferma una volta di più. In italiano era moscia in dialetto è viva e palpitante. Di sicuro siamo di fronte al primo esempio di traduzione di una poesia dall’inglese al ponzese.

    Per quanto riguarda il nostro dibattito sul ponzese scritto, è nota la mia posizione avversa all’abuso della traslitterazione fonetica (vedi http://www.ponzacalafelci.com/labuso-della-translitterazione-fonetica-nel-dialetto-scritto/) Quindi non posso non lodare ed apprezzare il limitato – e per me corretto – uso che fai delle parole tronche. Per il resto concordo con le osservazioni di Sandro: abbasci’a marina, ecc. Per quanto riguarda l’uso della J al posto della i, è vero che molti autori classici usano la j, ma è anche vero che a volte è stata usata ad libitum.

    Personalmente penso che la J vada usata solo in alcuni casi (E.Prudente ne elenca una ventina) in particolare quando il suono della i ricorda la g, per esempio: juorne (giorno), juste (giusto), jurnata (giornat), janesta (ginestra) ecc.

    Spero che la “battaglia” sul dialetto continui; sarà un motivo di arricchimento per tutti.

  4. vincenzo

    3 Dicembre 2015 at 10:02

    Ora può essere anche simpatico tradurre liberamente i poeti ma come si fa a tradurre emozioni, sentimenti: in definitiva poesie?
    Per questo leggendo l’espressione di Franco, “la poesia tradotta in Italiano mi sembrava “moscia” meglio in dialetto: per farci due risate?
    In dialetto è stata interpretata, dal bravo Silverio, in italiano era stata tradotta è diverso per questo dicevo che è acrobatico interpretare sentimenti soprattutto se a esprimerli è un poeta.
    E tutto questo mi ha ricordato una nozione di S.Agostino relativa alle buche sulle spiagge e la presunzione

    “A che gioco stai giocando a quest’ora?” gli chiesi. Il bambino mi rispose che non era affatto un gioco, e che voleva solo riversare tutto il mare in quella buca. Sorridendo per la sua impresa cercai di farlo ragionare, dicendogli che non ci sarebbe mai riuscito, perché il mare è troppo grande per essere contenuto in una piccola buca nella sabbia. Anche lui mi sorrise, ma continuò nel suo gioco. Così proseguii il mio cammino. Non avevo fatto nemmeno dieci passi che il bambino alle mie spalle rispose. “Forse hai ragione Agostino, ma sappi che è più facile per me travasare qui le acque dell’intero Oceano che alla tua mente scorgere i confini dell’amore di Dio”.

  5. franco schiano

    3 Dicembre 2015 at 11:58

    Forse mi sono espesso male. Non sono io che ho detto che la traduzione in italiano era moscia, ma Silverio che invece di “moscia” ha usato l’espressione “senza senso”. Sempre Silverio afferma che invece usando il dialetto invece che l’italiano la traduzione(che nel caso di una poesia è sempre una interpretazione del traduttore) gli è riuscita talmente facile da risolvere il tutto in un quarto d’ora! Io non ho fatto altro che confermare come a volte in dialetto si esprimano meglio certi moti dell’anima.

    Detto questo credo che la citazione di S. Agostino possa riferirsi solo alle buche sulla sabbia…

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