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L’appriezzo. (3). La ‘dote’ delle figlie femminedi Rita Bosso . Si coglie, nella cerimonia dell’appriezzo descritta da Irma Zecca (leggi qui), il clima intimo e piacevole da vigilia della festa, lo sforzo di consolidare le relazioni con la famiglia dello sposo coinvolgendo tutto il clan di zii, cugini e parentado più o meno stretto; la madre, descrivendo il corredo, decanta le qualità della figlia, sicché l’oggetto mostrato assume valenza metaforica. Scrive il Tricoli [Monografia per le isole del gruppo Ponziano, pag 384]: “Per costume feudale adottato col regolamento della colonia, è rimasto radicale l’uso che la donna ritira dalla sua famiglia il solo corredo, ed in questo modo. In un fissato giorno praticasi l’apprezzo dalle madri dei rispettivi sposi e due apprezzatrici scelte di consenso, ed un amico nota gli oggetti di biancherie ed oro lavorato, e si autentica il tutto con complimenti di frittelle, zeppole e vino. Nell’atto stesso il giovane conduce nella sua dimora questo dotato, e dopo anni ne stipula la ricezione per notaro”. Il costume feudale è finalizzato al mantenimento del patrimonio familiare, la cui quota più consistente sarà ereditata dal maschio primogenito; la femmina riceve il solo corredo, e più nulla dovrà pretendere; vige tra i nobili il diritto di ‘maggiorasco’, secondo cui beni e titolo passano in successione al primogenito, che non può alienarli ma è obbligato a conservarne l’integrità e trasmetterli, a sua volta, al proprio erede maschio (fedecommesso). Nel romanzo “I Vicerè” di De Roberto la zia Ferdinanda, che di questo sistema successorio è stata vittima, difende a spada tratta l’istituto del maggiorasco e rivendica l’applicazione alle sole famiglie di antico blasone: Il maggiorasco, essendo in contrasto con l’esigenza di libera circolazione delle ricchezze, viene abolito quasi ovunque dopo la Rivoluzione Francese, ripristinato con l’abolizione del Codice Napoleonico e definitivamente soppresso con l’Unità d’Italia; l’istituto a cui fa riferimento il Tricoli non è, evidentemente, il maggiorasco in vigore tra i nobili, ma ha le stessa finalità: il mantenimento e la trasmissione integrale del patrimonio familiare al maschio primogenito; dote e corredo costituiscono una sorta di liquidazione per le femmine, che nulla potranno rivendicare in sede di successione; da ciò, l’importanza di un documento che attesti quantità e valore dei beni dotali. I passaggi fondamentali dell’Appriezzo ottocentesco sono chiaramente elencati dal Tricoli: la stima dei beni, eseguita da due esperte super partes, la compilazione di una lista, la successiva registrazione notarile. Maria Scarpati, novantanovenne, degli ‘appriezzi’ a cui ha partecipato da bambina e da signorinella ricorda, prima di tutto, il momento in cui “si autentica il tutto con complimenti di frittelle, zeppole e vino”. L’appriezzo aveva luogo in casa della sposa: si liberava una stanza dai mobili e, lungo le pareti, si disponevano le sedie, se necessario in più file; in prima fila prendevano posto i protagonisti della cerimonia: l’apprezzatrice, donna esperta di ricami e dalla buona favella, che doveva decantare i pezzi, via via che venivano esposti; un segretario, che redigeva la lista dei beni; un parente dello sposo, che avrebbe apposto la propria firma in calce alla lista. Maria e la sorella Filomena, di qualche anno più giovane, raccontano una cerimonia ancora piuttosto formale, in cui assumono rilievo le figure dell’apprezzatrice e del segretario-parente dello sposo, figure quasi super partes, citabili in caso di necessità come testimoni.
N.B. – Cliccare sulle foto per ingrandirle [Appriezzo (3) – Continua]
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