Ambiente e Natura

L’irreversibilità: un fattore sempre più evidente


di Franco De Luca

 

Vorrei provare ad utilizzare il concetto di “irreversibilità” in campo sociologico. Non per lo sterile desiderio di “provarci”, bensì per cercare di trarre qualche indicazione che illumini la realtà sociale di Ponza.

Per cui calerò il concetto nel pratico concreto quotidiano e qui mostrare le sue evidenze.

Orbene l’irreversibilità si raggiunge e scatta quando un fenomeno muta il suo stato iniziale e giunge all’estremo della sua evoluzione, per cui è impossibile che si ripristini lo stato di partenza.

Per spiegare il concetto, l’esempio più immediato che mi viene riguarda l’elastico. Il suo stato originale è modificabile con l’allungamento. Fino ad un punto, oltre il quale si rompe. In quello stato l’elastico cessa di funzionare irreversibilmente.

Come può questo concetto adeguarsi alla realtà  sociale ponzese? Presento un esempio.

L’isola regge economicamente la sua esistenza sul turismo. Oggi è così. Ieri su cosa si reggeva? Si reggeva sulla pesca o, più estesamente, sulla marineria. Ci si imbarcava (marinai, comandanti, ufficiali di macchina, pescatori).

All’estremo si espatriava.

Oggi la quasi totalità dei Ponzesi è impegnata nell’attività turistica, o come dipendenti o come imprenditori.

L’irreversibilità consiste nel fatto che non è più possibile dismettere l’attività turistica per ripristinare la marineria. Per il semplice fatto che la pesca si è ridotta notevolmente nel Mediterraneo, ancor più nel Tirreno. Fino ad incentivare da parte dello Stato (dietro suggerimento dell’ Europa ) la dismissione delle licenze di pesca.

In concomitanza la “vocazione turistica” ha smosso le energie dell’isola a conformarsi ad una industria che dai soggiorni vacanzieri vuole trarre benefici economici.

Questo comporta che i Ponzesi sono condannati a industriarsi a che dal turismo si tragga il sostentamento.

Il turismo non è da considerarsi più una vocazione bensì una necessità.

Cosa comporta questo? Comporta che la struttura produttiva del paese deve organizzarsi intorno a  questo dato. La politica amministrativa, quella economica, quella scolastica, direi anche i comportamenti privati devono essere improntati a quel fine.

È l’offerta turistica a suggerire e ad imporre le direttive del vivere sociale. Più saremo in grado di modificare la nostra vita, i costumi, le abitudini, le conoscenze, le pratiche sociali, le funzioni sociali, le istituzioni al dettato turistico, più la vita economica di Ponza si attesterà su parametri di sicurezza e benessere, e potrà immaginare una crescita.

Questo in un parlare serio, che volgarmente vuol dire che dobbiamo finirla di considerarci un paesino semisconosciuto, dove si può andare a caccia fuori tempo (perché tanto chi se ne accorge ), dove si possono tenere quanti cani liberi si vuole (tanto non fanno male a nessuno ), dove si possono utilizzare gli spazi isolati come discariche ( l’importante è che l’erba cresca e la neghi alla vista ), dove la mia contrada è a mia disposizione perché questa è robba nosta.

A tal proposito vorrei sottolineare che la prospettiva turistica modifica anche il concetto di proprietà.

Il fatto di inserire l’isola nel gioco visivo del mercato turistico (internazionale) rende nullo il concetto di proprietà, e dà risalto al concetto di custodia (non in termini di diritto, è chiaro).

Noi si diventa ‘custodi’ di un territorio che si invita a visitare, garantendo noi la sicurezza, il comfort, la serenità, le bellezze.

Oltre alle bellezze naturali, nel messaggio turistico della pubblicità che si espone nelle fiere, sono implicite l’onestà, l’affidabilità, la simpatia dei suoi ‘custodi’.

Se queste qualità umane sono sbeffeggiate dalle cronache giornalistiche, il richiamo si attenua, le presenze calano, gli introiti vacillano, il paese si spopola e si avvilisce. È una concatenazione di cause ed effetti non difficile da prevedersi.

Rimane fermo il principio: Ponza è ’a nosta e nesciuno ce ’a leva!

Ma cosa vale un luogo immiserito nel livore di quello che avrebbe potuto svilupparsi e che non è decollato?

Il turismo infatti non rigetta il luogo in sé ma le condizioni in cui il luogo è tenuto; rigetta il clima sociale che si respira e che è di arrivismo, quando non di ruberìa.

Alt! Il discorso si sta facendo greve. E lungo.

Mi fermo  qui.

Ponza, villaggio sereno e operoso di marinai e pescatori è definitivamente finito, irreversibilmente.

Il futuro darà i  frutti in relazione alla nostra capacità di fare turismo. Con intelligenza.

4 Comments

4 Comments

  1. polina ambrosino

    12 Gennaio 2013 at 17:59

    Quando sento l’affermazione “Ponza è robba nosta”, sinceramente, mi viene il voltastomaco. Questo malsano concetto di possesso ci ha portato alla rovina. Purtroppo, come nell’amore di coppia, il possesso porta agli omicidi perchè nell’altro non si vede la persona nella sua interezza, nella sua molteplicità, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità e la si ama proprio perchè è così, e la si ritiene invece una protesi del proprio corpo che se ci piace come funziona ed obbedisce ai nostri voleri senza mai contraddirci, allora la teniamo accanto, buona buona, la esibiamo come un trofeo quando ci fa comodo e quando invece non ci fa comodo la nascondiamo alla vista, facciamo in modo che la sua presenza non sia di disturbo al nostro mostruoso IO egocentrico. Purtroppo, da ciò che emerge dai tanti scritti e dalle tante voci di chi osa pronunciarsi fra i ponzesi (usi invece a nicchiare o a dire “sì ” a tutti), il quadro che viene fuori è quello di un’isola non amata per ciò che era ed è: un luogo fragile per la sua costituzione morfologica, un territorio aspro e duro, un mare invece forte e incredibile, spettacolare nei suoi colori, una storia difficile e articolata, un’infinita gammma di personaggi di grande personalità, di immensa fede, di gigantesca potenza intellettuale. L’isola è invece posseduta da gran parte dei suoi abitanti: d’estate la si mette a nuovo, la si imbianca, chi usa un po’ di più il cervello mette fiori e piante. Ma come? Come si fa come i trofei da esibire, merci da vendere, non certo per amore. L’amore non può durare tre mesi, anzi due. L’amore ipocrita di chi mette “mi piace” alle foto di Ponza di una volta che Giovanni Pacifico pubblica su Facebook, ma poi non ci vivrebbe nemmeno morto, quando la sabbia di sant’Antonio arrivava all’Onda Marina ed entrava fin nei letti delle case che a Sant’Antonio affacciavano, quando la nave arrivava una volta alla settimana, quando a scuola si andava nelle case senza bagno, quando per far studiare i figli i padri si spaccavano la schiena e la madri coltivavano orti per poi vendere pomodori, fave, lattughe e quant’altro e nessuno si trasferiva con i figli, ma li mandava dai parenti o in collegio… Provo ad immaginare come sarebbe oggi Ponza se fosse stata amata e non posseduta: intanto non la si sarebbe venduta al miglior offerente per poi dire “VENGONO DA FUORI E CI COMANDANO”, come se non li avessimo fatti venire noi e gli avessimo pure steso il tappeto rosso… Poi, immagino che, dagli anni ’50 in avanti, visto che a Ponza arrivavano persone come artisti, scrittori, persone di cultura, i ponzesi, invece di buttarsi solo ed esclusivamente sul mero bisogno primordiale cioè dar da mangiare, bere e dormire, abbiano avuto l’intelligenza di puntare su quel tipo di turismo , preservando i fortini, le necropoli, il mitreo, le cisterne e creato un itinerario culturale visitabile tutto l’anno. Poi, con giudizio, un popolo che ama il suo mare, non avrebbe mai invaso ogni angolo possibile e immaginabile di noleggi, con tutto il rispetto per i noleggiatori, ma avrebbe prima dovuto preservare quelle spiagge da sempre utilizzate dalla gente comune e, con oculatezza e sguardo al futuro, riservarsi lo spazio adeguato, cosi come gli approdi delle imbarcazioni andavano studiati a livello comunale (e non lasciati al libero arbitrio dei privati che, comuque sono stati autorizzati da cotante autorità) fin dai primi anni ’60, quando già tanti yacht arrivavano in rada, se non in banchina Molo Musco come quelli del conte Agusta. Il nuovo che avanza poteva essere una benedizione, se capito e affrontato con lungimiranza, come con lungimiranza si dà amore a chi si vuole bene. Un figlio lo si aiuta a crescere e gli si danno gli strumenti per essere autonomo, per mostrare le sue capacità quando sarà più grande, non si cova come un uovo o si schiaccia con la prepotenza. Invece Ponza ha avuto altro destino: solo guerra a chi arriva primo a occupare il suo quadratino, solo un “damme primme e damme uosse”. Oggi, appunto, sono rimasti gli ossi, gli avanzi miseri di banchetto luculliano che è stato preso d’assalto senza criterio e in cui molti hanno mangiato, moltissimi piluccato e la gran parte è stata a raccogliere le briciole. A questo punto quindi, guardiamoci in faccia: vogliamo che si mantenga lo status quo? Allora mettiamoci in mente, che, per come va il nostro turismo, con le attuali regole, abbiamo forse 5 anni ancora di autonomia. Dopodichè qualunque altro piccolo borgo turistico più lungimirante e attento alle cose serie e non al solo proprio orticello, ci toglierà quel poco pane che oggi ci è rimasto e che tutti chiedono a gran voce cercando di ottenere che nulla cambi. Se abbiamo il coraggio invece di guardarci tutti in faccia e cercare nuove strade, nuove possibilità poichè nulla è detto che debba restare com’è all’infinito, forse per Ponza c’è ancora speranza. – “L’amore” – come disse Filumena Marturano con le parole di un Eduardo, figlio della povertà che con lungimiranza e fatica divenne l’uomo che fu – “non si paga, si dimostra”. Smettiamola di venderci per un piatto di lenticchie, perchè poi, nemmeno quelle ci resteranno.

  2. vincenzo

    12 Gennaio 2013 at 20:43

    Bello Polina quello che hai scritto ma impariamo quando parliamo a sceglierci degli interlocutori diretti, al contrario rimangono belle parole e appelli mossi nel vuoto. L’irreversibilità del nostro destino quello di fare turismo? Dopotutto è successo sulla terra: si è passati da una economia primaria (contadina), a quella secondaria (industria) a quella terziaria (servizi). Non siamo capaci di fare il turismo? Ma questo è stato ampiamente spiegato da te Franco, trent’anni fa: “cultura Borbonica = individualismo familistico! Il sistema isola è in crisi perchè non ha una classe dirigente che può farsi promotore del reale cambiamento? – Già detto e allora? Io dico però finiamola di essere ipocriti non parliamo più di NOI come se si potesse parlare a tutti in senso ecumenico, parliamo in modo diretto a chi puo agire, a chi può pensare, a chi può incidere direttamente, a chi fa le campagne elettorali e promette cambiamenti e poi in realtà non ha nè una analisi nè un progetto reale per cui agire. Finiamola di voler piacere a tutti. Finiamola di vedere un passato tutto idilliaco e un presente che ci imbarazza. Finiamola, di nasconderci dietro ad un intellettualismo per esorcizzare un fallimento che devono portarsi come fardello non tutti i ponzesi ma solo quelli che hanno deciso, autonomamente di occupare Amministrazioni. Certo c’è la società civile, l’associazionismo; certo c’è la società imprenditoriale che fa impresa; ma è chi detiene il potere politico che deve mettere in moto e valorizzare queste tre leve dalla cui interazione convinta e partecipe nasce il reale progresso. Cominciamo a sceglierci degli interlocutori: oggi abbiamo un Sindaco Vigorelli, abbiamo degli assessori Coppa Silverio e Renato Grassuci, abbiamo delegati ai trasporti, allo sviluppo, al lavoro, alla scuola, alla assistenza sociale ecc. abbiamo un’opposizione, abbiamo dei presidenti di associazioni culturali e imprenditoriali. E con questi che dobbiamo interloquire è a questi che va elemosinato un impegno. Il mio compito, il tuo compito Polina, il compito di Franco è proprio questo, stimolare all’azione, all’interazione; incoraggiare e pressare, far riflettere, contrastare senza paura il cosiddetto POTERE di continuare a sbagliare.

  3. polina ambrosino

    13 Gennaio 2013 at 14:56

    Non ho mai avuto la pretesa di piacere a tutti e sicuramente non è cosi. Parlo di NOI non perchè sono ipocrita, ma perchè CREDO FERMAMENTE che i rappresentanti politici, per quanto delegati a compiere un dovere pubblico e popolare, non siano tutta la comunità. Se la volontà di CAMBIARE REGISTRO NON SI RADICA IN TUTTI NOI, DAL PRIMO ALL’ULTIMO CITTADINO, NESSUNA AMMINISTRAZIONE, CHE SIA ELETTA CON UN VOTO IN PIU’ O CON MILLE VOTI IN PIU’, POTRA’ MAI FARE NIENTE PER PONZA. Lo abbiamo visto negli anni 70-80 quando sembrava essere arrivato il vento del cambiamento, un vento che ben presto ha smesso di soffiare. Perchè? Perché non lo si è davvero VOLUTO. E finchè mancherà una coscienza collettiva di un popolo che AMI LA SUA TERRA, non aspettiamoci nulla da nessuno.

  4. vincenzo

    13 Gennaio 2013 at 20:19

    Polina non parlo a te di ipocrisia, tu non hai mai avuto velleità di scendere in campo, ma anche tu non parli mai agli uomini che hanno la responsabilità di cambiare le sorti dell’isola. Se i collegamenti non funzionano è certo colpa della Laziomar, ma in campagna elettorale sono stati promessi collegamenti migliori. Se la sanità va male certo sarà colpa dei tagli al servizio, ma il politico promette una sanità migliore. Se il bilancio comunale è in rosso, se la macchina amministrativa non funziona, se le risorse pubbliche regionali sono tagliate, se l’isola è isolata politicamente, ed io cittadino ti dico che non è il caso di disputare una campagna elettorale ma conviene a tutti che il commissario continui la sua opera di ristrutturazione e Tu al contrario, non segui il mio consiglio e decidi di fare la campagna elettorale, promettere ai cittadini mari e monti e alla fine vinci le elezioni: che faccio io, dico ecumenicamente che la colpa è della natura umana se le cose vanno male? Vedi so quello che intendi quando parli di corresponsabilità, ma credimi prima parliamo di responsabilità istituzionale. L’amministrazione ha problemi con la Laziomar ma non chiama in aiuto il suo popolo. La Priezza ha fatto una manifestazione contro la Laziomar autonomamente tra la gente ma non ha individuato come controparte l’amministrazione. Questi sono due modi di fare ma non di agire, due solitudini che non si incontrano e non si scontrano: da quì nasce la debolezza. Non c’è governo, non c’è volontà di far crescere una dialettica costruttiva che parta dal governo del paese e non c’è una opposizione per cui un’alternativa di governo. Bene se devo scegliere in questa fase chi ha sbagliato tra l’amministrazione e La Priezza io dico senza dubbio l’Amministrazione la quale ha la delega popolare di risolvere i problemi oppure di comunicarli al popolo e con esso organizzare una reazione. Io parlo senza ipocrisia come ho sempre parlato, prendendomi i miei rischi, agli amministratori, io parlo di questo, dell’importanza del ruolo dell’amministratore, della responsabilità dell’amministratore nell’essere promotore di iniziative per il reale cambiamento.

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