Ambiente e Natura

I miei viaggi. La Sierra Leone (1)

di Lino Catello Pagano

 

Una volta era terra di schiavi e di deportati, di filibustieri e di capitani coraggiosi.

Arrivai in quel paese dopo un viaggio aereo lunghissimo e snervante; Freetown, la capitale della Sierra Leone, era una città fatta di lamiere arrugginite e di muri di pietra dipinti di bianco. Pensavo ci fosse un posto dove avrei potuto bere qualcosa, seduto in un pub, ma non era così: arrivai in un capannone di alluminio, sporco e maleodorante, e questo era l’aeroporto di Freetown. Non c’era niente, il vuoto assoluto, meno di così si muore. Piante rigogliose, caldo afoso e sudore. Per fortuna c’era un autista con il mio nome scritto su un cartello, gli feci segno da lontano, capì e mi venne incontro, prese i miei bagagli, mi diede il benvenuto: – Welcome oibo “oibo” vuol dire uomo bianco.

La strada per Bumbuna era lunga e pericolosa; molto faticosa, fu tutta un’avventura; premetto che la distanza tra l’aeroporto e Bumbuna, mia destinazione finale, era di ‘soli’ 250 km. Ci vollero ben sei ore per arrivare, le strade non esistevano, vi erano delle piste di terra rossa che, in caso di pioggia, diventavano degli enormi fossati colmi d’acqua e fango, per aggirarli attraverso la foresta ci volevano ore.

Arrivai nel villaggio di Bumbuna a notte fonda, forse le quattro del mattino, era buio pesto: un nero più nero del normale; trovai delle capanne e tutto intorno centinaia di lumini, pensai fra me e me: – Ci siamo fermati vicino al cimitero – ma così non era; me ne sarei accorto  nei  giorni successivi.

Rimaneva l’ultimo tratto per arrivare sulla collina, dove era situato il nostro campo. Quando arrivai a destinazione ero vicino ad una crisi isterica, erano quarantotto ore che viaggiavo e non si vedeva mai la fine; ecco finalmente  un cancello, un signore che ci viene incontro. Lui viveva in quel campo da anni, era italiano ed era l’elettricista della società Salini di Roma, si chiama Giovanni; diventammo subito amici, fece portare i bagagli in camera mia.

Ero sconvolto dal lungo viaggio, mi girava la testa dalla stanchezza, volevo dormire ma il nuovo amico elettricista mi disse che era pronta la cena. Andai a mettere sotto i denti un tozzo di pane, un po’ di formaggio e una bistecca cotta sulla griglia all’aperto, con tutt’ intorno animali non domestici; mentre mangiavamo si parò davanti a me, come un fantasma, una gazzella bellissima; curiosa, voleva qualcosa, gli diedi un pezzo di pane. Non poteva esserci benvenuto migliore.

Mi dissero di stare tranquillo perché il giorno successivo erano tutti a riposo e si poteva dormire. Potei fare una doccia calda per togliere la stanchezza di dosso. Ormai il sole era alto.

Dormii molto, ma la domenica si doveva andare alla Messa ed io, come tutti gli altri, andai al villaggio; lì mi resi conto che “il cimitero” non era altro che il villaggio; erano senza elettricità e andavano avanti con lumini.

 

Lino Catello Pagano

 

Nota – La Repubblica della Sierra Leone è uno Stato dell’Africa Occidentale, sulla costa atlantica (la costa degli schiavi – the slave’s coast). La nazione confina con la Guinea a nord e a est, e con la Liberia a sud-est. La vicenda della liberazione degli schiavi rimasti nei territori della Sierra Leone è stata ricordata nel nome della capitale Freetown, “città libera” [NdR].

[Per la serie “Ponzesi che viaggiano”. I miei viaggi. La Sierra Leone (1) – Continua]

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top