Mare

‘U summariell’ e le barche (1)

 di Pasquale Scarpati

 

Imparo relativamente tardi a nuotare. E’ noto: a Ponza si deve saper nuotare già in tenera età e chi non lo sa fare è un po’ escluso; fa parte della vita come il leggere e lo scrivere, come dicevano i Romani. I miei  spesso dicono, quasi rimproverandomi: ”Tuo fratello all’età di cinque anni già sapeva nuotare e faceva le summuzzate dallo scoglio di Maria ‘Razia che si trovava vicino casa quando non c’era la banchina nuova ed il mare arrivava fin sotto casa”.

Ai più il nuoto viene insegnato con un metodo rude ma efficace: legati ad una corda e buttati a mare; vi restano fino a che non annaspano più e riescono  a mantenersi a galla. I miei non avevano avuto quel coraggio ed io mi trastullo perché vado  ’ncoppa u’ summariello e  non sento il bisogno di imparare: sono, per questo, un po’ pigro.

All’inizio del mese di luglio, poco prima che io potessi iniziare i bagni (così dice mamma: dopo la festa della Madonna delle Grazie, altrimenti si rischia di affogare!) ho la febbre. Mia zia Rosa mi porta da Napoli un bel salvagente, grande e colorato. Guarito, trionfante lo porto in spiaggia e lo faccio vedere agli amici. Tutti lo vogliono provare, alla fine il tappo  sparisce. Mortificato, ritorno a casa, ovviamente sempre dopo che la voce di mia madre si è estesa più e più volte dal balcone nel silenzio imperante! Trovo mio padre adirato perché non rispetto mai l’ora del pranzo; mia madre poi , dopo inutili tentativi per trovare una soluzione alla perdita del tappo, dice: “Bene, adesso io non ti compro nessun salvagente: impara a nuotare!”.
Non mi perdo d’animo: mi metto là dove l’acqua è profonda tanto da arrivarmi al mento e mi dirigo verso terra. Così, giorno dopo giorno, imparo la difficile arte e solo allora posso spingermi fino allo Scoglio ‘i fore nei pressi di Gennarino a Mare, da dove si possono fare le summuzzate. La panzata, però, mi fa paura.

Anche nell’acqua ci sfreniamo. Se, infatti, mi attardo sulla riva, arriva presto presto Salvatore che fa il sornione ma all’improvviso spruzza acqua con le mani e allora via in acqua a restituire la  violenta benedizione, anzi facciamo a gara a chi spruzza più forte fino a che uno dei due non si arrende. E’ però esaltante e raffinato spruzzare l’acqua sul bagnasciuga con la pianta dei piedi, o lanciare le crastule a pelo d’acqua e fare a gara a chi riesce a fare più rimbalzi e le lancia più lontano dalla riva. Anche in quel caso si litiga perché si pretende che la crastula debba essere di una certa forma e dimensione. Ma lo sfizio più avvincente è quello di avvicinarsi di soppiatto ad un amico, mostrando indifferenza o sporgendo dall’acqua solo la testa facendo bollicine con le labbra, a mo’ di foca, raccogliere un pugno di sabbia e scagliarlo con violenza sulla sua testa o sulla sua schiena. Immediatamente non solo si subisce la sua violenta reazione ma si formano anche squadre improvvisate, partigiane. Luigino, di qualche anno più grande di me, si avvicina minaccioso, in atto offensivo e cerca di fare la calata. E’ una lotta senza esclusioni di colpi: lottatori greco-romani, ci avvinghiamo, cerchiamo di afferrarci, ma l’acqua rende la pelle scivolosa ed è difficile la presa; non manca qualche graffio e il costume, qualche volta, scivola via. Spesso ci si mette a cavalcioni l’uno sull’altro e allora o si lascia all’improvviso quello in alto in modo che possa tuffarsi, all’indietro o in avanti, oppure ci si scontra con altri due che stanno lo stesso a cavalcioni. Non manca poi la gara di resistenza subacquea rigorosamente ad occhi aperti ed ovviamente senza maschera.

Anche se la spiaggia di Sant’ Antonio non è molto distante da casa mia, di norma mi accompagna zia Malvina, la quale tira la veste fino alle ginocchia affinché le gambe possano prendere il sole. Le signorine indossano il costume monopezzo, difendono i loro capelli dall’assalto della salsedine con cuffie colorate, dando così  anche un prezioso contributo al risparmio dell’acqua potabile……

A volte vedo qualche donna più matura entrare in acqua indossando uno strano costume corredato da una sorta di gonna che al contatto con l’acqua si espande; entrando in acqua prima si segna, poi si bagna le braccia ed infine dolcemente si stende nell’acqua; si allontana lentamente dalla riva nuotando esclusivamente a rana: mi sembra una gigantesca medusa. Dice che è disdicevole per una signora nuotare a stile libero.

Nei pomeriggi assolati il mare, come per incanto, si ritira lasciando che anche la rena sottile del summariello prenda il sole.

Sul far della sera Ninando si inoltra nel mare  fino alle ginocchia per poi lanciare una lenza e muovere nel contempo le gambe per scavare un fosso. Sembra un inutile sforzo; dopo un po’ la lenza si tende e un pesce guizzante, recalcitrante, che invano si dibatte viene tirato dal pescatore: di solito una marmola. Penso: strano modo di pescare! Quando Ninando si trattiene a parlare con i miei, anch’io mi fermo ad ascoltarlo perché mi incuriosisce il suono particolare della sua voce.

 

Pasquale Scarpati

[‘U summariell’ e le barche (1) – Continua]

2 Comments

2 Comments

  1. polina ambrosino

    8 Febbraio 2012 at 18:41

    Meravigliosi ricordi che, in un certo senso ho già ascoltato dalla voce dei miei genitori. Non ci conosciamo, Sig. Scarpati, ma quello che lei descrive è l’anima di un’isola, di un’epoca, di una generazione. Mi affascina moltissimo sapere come il tempo trascorresse a Ponza quando era un luogo abitato davvero, quando era un paese, una comunità. Molti dei personaggi che lei cita, mi sono familiari: mia madre mi parla molto della sua vita e, avendo abitato sempre a Ponza, conosce benissimo vicende e persone. Sarebbe molto bello se tutti i suoi scritti diventassero un unico testo, magari arricchito da immagini sue o della vita di ponzese di allora, di quando lei era bambino, cosi come avviene su questa pagina e che, se io fossi a Ponza, distribuirei soprattutto nelle scuole, da leggere come narrativa ai ragazzini di oggi. Grazie ancora per questi suoi scritti: tutti noi dovremmo aprire i bauli dei ricordi delle nostre famiglie e ripartire da ciò che vi è dentro che forse potrebbe darci l’input per riavviare un discorso di vita vera sull’isola!

  2. Pasquale

    12 Febbraio 2012 at 22:16

    Cara Polina
    In questo momento la Tv sta trasmettendo la bellissima canzone di Mia Martina ” la neve del ’56” (mi sembra s’intitoli così). Entra nell’anima. Quella nevicata la ricordo benissimo: la spiaggia di Ciancoss tutta bianca, una meraviglia! La neve e i ricordi volteggiano impalpabili nell’aria, scendono lentamente e permangono a lungo, specialmente quando si è vissuta una realtà meravigliosa e pregnante sia pur nelle difficoltà del tempo. Ma, mentre la prima, dopo un po’ di tempo si scioglie, i secondi rimangono per sempre e riscaldano il cuore. Ho fatto una “summuzzata” nel sito e ringrazio tanto la redazione che mette delle foto dell’epoca a corredo di ciò che scrivo. Io ne ho molte, tutte personali, perciò chi più ne ha, più ne metta. Così si eleva un “canto corale”, bellissimo che può far bene all’anima dei singoli e, perché no, all’intera comunità. Mi sono tuffato perché penso che tra le pieghe del passato possa essere attinto qualcosa che possa valere, sia pur modificato ed adattato ai tempi, per il presente e per il futuro. Lo spero tanto per l’Isola. Ti ringrazio per quello che hai scritto. Le radici rimangono là dove sono state piantate anche se la chioma può essere divelta dalla tempesta e portata lontano….
    Cordialmente, Pasquale

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