Iodice Emilio

Giovannina (3)

di Emilio Iodice

Le esigenze dell’isola sembravano incolmabili. Come un piccolo ruscello che diventa un fiume, la numerosa famiglia di Giovannina e i tanti amici di Ponza cercarono il suo aiuto e quello di suo marito per ricevere le loro pensioni a Roma, sistemare complessi problemi legali e ricevere cure mediche nella capitale. Giovannina dimostrò un interesse personale per ognuno di questi casi. Divenne sostenitrice e intermediaria dei bisognosi; medico e psicologo per gli infermi e i deboli; avvocato e difensore dei diritti di coloro che avevano meno combattività e coraggio per difendersi da soli.

Per anni una processione di persone arrivava al suo piccolo appartamento a Roma. Alcuni portavano pesce, un sacchetto di fichi o frutta dall’isola, ma pochi avevano il denaro per sfamarsi o prendersi cura di se stessi nei giorni in cui venivano accompagnati per Ministeri o per uffici per presentare documenti, chiedere una pensione, cercare un buon collegio per i figli o farsi visitare da un buon dottore. Vite furono salvate, bambini ricevettero un’educazione e dei redditi furono garantiti grazie alla disponibilità di Giovannina, del marito e dei figli.

Negli anni successivi Giovannina riuscì ad acquisire e a ristrutturare l’antica costruzione che si trovava ai piedi del cammino che portava a Contrada Sandolo e si affacciava sul Mediterraneo con la magica isola di Palmarola a vista. Lei amava quella casa e amava il panorama.

Posso ancora vederla guardare il mare in basso e il tramonto su Palmarola attraverso la finestra e il balcone. Giovannina era orgogliosa di quello che aveva costruito e portato a termine.

Aveva dato in affitto l’appartamento al piano terra alle buone suore della parrocchia, dove hanno poi istituito un asilo nido; invece l’appartamento di sopra fu destinato a sede locale dell’azienda che gestiva la Miniera di bentonite delle Forna.

Giovannina credeva nel destino, nella Provvidenza, e in quella che lei chiamava la “legge di attrazione”. Disse una volta che le persone di successo sono quelle che credono in se stesse e “attraggono” cio’ che desiderano. Riescono a vederlo e a provarlo – lei aveva spiegato – e se riescono a mantenere questa visione, tutto quello che vorranno cadrà nelle loro mani come la frutta matura da un albero. Giovannina credeva in quella “attrazione” e l’aveva fatta diventare realtà, da vera ottimista e seguace del ‘pensiero positivo’. Convinzione che lei ha trasmesso agli altri come incoraggiamento e saggi consigli.

Finalmente, aveva la sua casa vicino quella dei genitori in Contrada Sandolo con un panorama magnifico del sole che pian piano spariva dietro Palmarola.

Alcuni ricordi non svaniscono mai e i miei ricordi di lei sono limpidi come il giorno stesso in cui sono accaduti. Ricordo ancora quanto era affettuosa e gentile con me durante i miei viaggi tra Roma, Venezia e Washington DC nel 1987, durante il mio primo incarico in Italia. Lei mi aveva trattato come una madre può fare con un figlio. Dopo uno dei tanti viaggi difficili a Venezia, sono ritornato al suo appartamento a Roma del tutto esausto, sia nella mente che nel fisico. Il mio lavoro a quel tempo consisteva nel progettare la visita del Presidente Reagan al Summit del G-8 a Venezia e dovevo affrontare gli infiniti problemi relativi a questa incombenza, mentre mi preparavo al mio nuovo impiego presso l’Ambasciata degli Stati Uniti. Quando arrivai all’appartamento di Roma, lei aveva preparato il mio pasto preferito, come solo lei sapeva farlo: fette di melanzane fritte dorate farcite con la mozzarella affumicata. Ogni boccone emanava l’amore con cui l’aveva preparato. Dopo cena mi sono fatto una doccia e sono andato a dormire; ricordo ancora la sensazione di calore e conforto di quel letto. Mi trovavo in uno stato di trance quando si è messo a squillare il telefono. Erano le tre del mattino. Giovannina aveva sollevato la cornetta del telefono e aveva sentito una voce che parlava in inglese all’altro capo. Aveva gridato “Lui è stanco e sta dormendo, lascialo in pace!”. Un assistente del Presidente, molto confuso, aveva ritelefonato poche ore dopo dalla Casa Bianca. Da splendida madre che era, mi aveva protetto come se fossi suo figlio.

Dio aveva benedetto lei e la sua famiglia con buona salute,  ricchezza ed una vita nel complesso confortevole. Lei era soddisfatta di quel che era riuscita a realizzare e voleva rendersi utile fino alla fine. Tuttavia, anche le donne che hanno fatto tanto, visto e sofferto tanto dolore, non sono immuni da altro dolore. E per un genitore non esiste dolore più forte che quello di vedere il proprio figlio morire.

Di solito i genitori dedicano tutte le loro energie al figlio più delicato e bisognoso di attenzioni. Quando questo succede, si crea tra il genitore e quel figlio un legame speciale che solitamente aumenta con il tempo. Era questo il caso di Giovannina con suo figlio.

Quando lui si ammalò lavorava in Germania. Era una giornata d’inverno e l’aria fredda dell’Europa del Nord sembrava tagliargli il petto; ma riuscì ad arrivare fino a Roma per vedere di nuovo sua madre prima che il suo cuore si fermasse per sempre.

Il suo figlio adorato era andato via per sempre all’età di sessantuno anni. Giovannina non si riprese mai dalla morte del suo figlio adorato, proprio come mai aveva dimenticato la perdita del suo fratellino.

***

Con il passare degli anni il suo cuore stava diventando sempre più stanco. Nonostante ciò, era ancora curiosa, saggia e interessata alla vita. La sua domanda costante era: “Sono ancora una persona utile? Posso ancora fare qualcosa?” Vedeva con orgoglio i suoi nipoti crescere e diventare adulti, forti e buoni. Due di loro, in particolare, furono molto legati a lei fino ai suoi ultimi giorni. Le mie figlie, Cristina e Francesca, vivevano e studiavano a Roma e ogni domenica erano a pranzo con lei e rimanevano a lungo a parlare e a farsi raccontare. Furono vicine a lei quando la sua salute cominciò a declinare. Francesca, sua nipote medico, le assicurò la la migliore assistenza medica, mentre Cristina le dava amore e conforto.

Molto legata alla madre, mia moglie viaggiava continuamente per starle vicino a Roma. La portava a Ponza ogni estate, per farle godere il luogo che amava più di ogni altro al mondo. Quando eravamo in giro per il mondo, il suo pensiero di figlia non si staccava da lei. Dalla Spagna impacchettava per lei il migliore dei pesci per portarlo alla madre a Roma. Ci accertavamo che avesse sempre il caffè dal Brasile e le vitamine e l’aspirina dagli Stati Uniti; anche se non ne aveva bisogno. Erano piccoli gesti per mostrare il nostro amore per lei.

Giovannina non poteva desiderare figlie migliori di mia moglie e delle sue sorelle; tutte si rivolgevano a lei per l’aiuto spirituale e morale che solo una madre può offrire. Non poteva desiderare una famiglia migliore perchè era lei che l’aveva costruita. La sua intelligenza e il suo coraggio ci sono stati di incoraggiamento fino al giorno del suo ultimo battito di cuore. E ancora oltre.

Come sappiamo, l’essenza dell’umanità può assumere molti aspetti e forme; a volte si può trovare in una persona tanto eccezionale in grado di proteggerci e confortarci. Questi angeli sono un dono mandato da Dio per guidarci e asciugare le nostre lacrime; far scomparire le nostre paure e mostrarci la strada per il Paradiso.

A volte un angelo custode ha un nome. A volte si chiama “Giovannina”.

(Giovannina. 3 – Fine)

Emilio Iodice

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