Ambiente e Natura

Al Cimitero

di Francesco De Luca

 

Cos’è questo ticchettare di vetri? Questo battere metallico? E’ l’inesausto levante che qui, sul Cimitero, anima gli angusti accessi alle cappelle, in questo intestino solitario e triste di spazietti, viottoli, finestre sul mare. Sul crespo mare, con lo scoglio Rosso che rosica bianco alle bordate, insieme ai faraglioni della Madonna.

Il levante, dominante e incessante.

Il Cimitero è deserto, forse per il fastidio che reca il vento. Desolato e mesto. Senza il trambusto delle donne con fiori e lumini, a prendere acqua alle fontane, coi capelli scomposti, le gonne svolazzanti, coi bimbi mai sazi di sorrisi.

Stride, oggi, il Cimitero, coi cigolii delle porte, aperte al desiderio d’essere varcate e arrugginite, coi rumori dei vetri agitati dagli spifferi, dai tremolii delle lucette.
Sembra soffrire i lavori di sistemazione. Specie, giù alla Batteria, sventrata quasi, mostra gli aborti dei loculi aperti.

Compare frettolosa una donna, agitata anche lei da questo vento, padrone delle cappelle, dei loculi, dei luoghi arieggiati, dove sono state poste, a ricordo, immagini ilari e gioiose. Oggi anch’esse spente e torve.
Com’è?

Dove altre volte mi sembrava di intravedere sagome care, bearsi al sole col viso rivolto a Zannone, oggi nessuno mi appare a lamentare la dipartita da questo scoglio odiato e tanto amato. E quelle donne in nero, sedute nell’esiguo spazio, bisognose che qualcuno chiedesse loro: – Chi è questo giovane… vostro figlio? E il Cappellone? Maleodorante di cera bruciata… il pavimento cigolante; e quegli avelli con le scritte sbiadite, protese verso una eternità già vanificata.

Maledetto questo levante che amplifica la solitudine, nemmeno la campanella della chiesetta suona a frangere la mestizia. Dier irae, dies illa, solvet seculum in favilla; teste David cum Sibylla… Nessuna Sibilla incombe, a meno che così non voglia giudicare Anna Maria, che intravvedo… ma no… lei è familiare e ci scambiamo saluti. Di Davide poi nemmeno l’ombra… il guardiano chi sa dov’ è. Di rosso… soltanto una sparuta cudressella (codirosso), come una saetta.

Il vento, insinuante e infido. Lo assecondo un po’ e implodo in me a sentire quel che il vento ruba ai loculi: parole sommesse… preghiere… maledizioni.

Mi pare mi sfiori il ruvido soffio di un fraterno amico, da poco volato nel nulla… a rimproverarmi di non essergli stato vicino nella malattia. Con voce rodata mi chiede perché … perché l’avessi ignorato…
Nella mente imbastisco ragioni a difesa ma tutte sono vane… perché la vita tende ad ignorare la morte. Ed era in vita che avrei dovuto tessere l’amicizia.

Il flusso delle evocazioni mi accompagna fino al cancello d’uscita. Una voce forte: “Fra’… qua stai? Meno male che t’ho trovato”.
Si avvicina. “Vieni – dice – dobbiamo andare…”. Faccio parte di un gruppo musicale e stiamo preparando un incontro conviviale.

Tu siente ancora dulore
Pienze e ce tuorne a penza’
Basta arrefonnere core
Chisto è ‘u mumento ‘i cagna’. Canto.

(E’ una canzone dalla raccolta ‘Ho sognato di cantare’ di Roberto Murolo ).

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