Esteri

Compendio di geopolitica globale, secondo Federico Rampini

segnalato dalla Redazione

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Condividiamo, nell’intento di dare uno sguardo d’insieme alla situazione internazionale, questo scritto di Federico Rampini…noto esperto di fatti internazionali, prima corrispondente estero di Repubblica; dal 2012 per il Corriere della Sera.

“Benvenuti alla newsletter che è il nostro appuntamento settimanale, ogni sabato mattina. Vi prometto una lettura molto personale di alcuni eventi globali che selezionerò come “la chiave” per dare un senso alla settimana. Con una particolare attenzione alle mie due sedi di lavoro, attuale e recente: New York e Pechino. “The place to be, and the place to look at…” (F. R.)

Ecco un assaggio di ciò che viene dopo la Pax Americana
di Federico Rampini

“Dottrina Hemingway”… la bancarotta graduale e poi brutale
In due settimane il mondo è cambiato molto, a nostro sfavore, se per “noi” intendiamo l’Occidente. O per lo meno è peggiorata drasticamente la nostra percezione del mondo, dei suoi equilibri e rapporti di forze geopolitici. Il feroce attacco di Hamas contro la popolazione civile israeliana è stato il detonatore di una serie di reazioni a cascata: controffensiva delle forze armate israeliane; manifestazioni pro-Hamas dalle piazze d’Europa ai campus americani a tutte le nazioni islamiche; atti di terrorismo in Francia e Belgio. Una conseguenza è il repentino indebolimento delle leadership arabe o islamiche più pro-occidentali o meno anti-israeliane (Egitto, Giordania, Arabia saudita, Emirati). All’interno dell’Occidente stesso le divisioni politiche più pericolose si manifestano proprio nella potenza leader, l’America. Sullo sfondo, un altro evento accaduto in questi giorni è significativo: il vertice di Pechino dove Xi Jinping ha celebrato il decennale della sua Belt and Road Initiative (l’Iniziativa Cintura e Strada, chiamata anche le Nuove Vie della Seta).
Oltre all’ennesimo abbraccio fra Xi e Vladimir Putin quel summit ha radunato una folta schiera di leader del Grande Sud globale, sottolineando così la nuova divisione del mondo in blocchi: l’atteggiamento verso Hamas contribuisce a rafforzare il collante ideologico nello schieramento anti-occidentale.

Uno storico americano, e autorevole teorico di geopolitica, Walter Russell Mead, a proposito delle ultime due settimane evoca un passaggio del romanzo di Ernest Hemingway “Fiesta” (1926). E’ lo scambio tra due personaggi del romanzo, in cui Bill Gorton chiede a Mike Campbell: “Come sei finito in bancarotta?” La risposta: “In due modi. Gradualmente e poi tutto d’un colpo”.

Così la capacità dissuasiva degli Usa è diminuita
È la metafora di quel che secondo Russell Mead sta accadendo all’impero americano, o alla Pax Americana, o comunque al potere di deterrenza degli Stati Uniti. Prima e per molti anni si è deteriorato un po’ alla volta. Poi la sua debolezza viene rivelata in modo brutale, attraverso una concatenazione di eventi molto ravvicinati. I nemici dell’America si sentono incoraggiati, si spalleggiano l’un l’altro, si emulano.

Le ripetute offensive di Putin rimaste senza una risposta efficace (dalla guerra di Georgia nel 2008 all’annessione della Crimea nel 2014) sono sfociate nell’aggressione all’Ucraina del 2022; i prezzi che Putin ha pagato sono sostanziali ma finora non fatali grazie all’appoggio della Cina; questo a sua volta ha dato ad altri l’idea che l’Occidente possa essere sfidato impunemente.

In Medio Oriente i segni di ritirata dell’America sono stati vari: la famosa “linea rossa” preannunciata da Barack Obama al dittatore siriano Assad (l’ultimatum contro l’uso di armi chimiche per fare stragi di civili) violata senza conseguenze; lo scivolamento dell’Iraq nell’orbita iraniana; l’abbandono dell’Afghanistan ai talebani. Secondo alcuni (i repubblicani Usa) in questa serie di cedimenti e debolezze va incluso il patto nucleare con l’Iran voluto da Obama: ha dato al regime degli ayatollah la prova di poter gabbare l’Occidente con un ambiguo rallentamento del programma nucleare in cambio di grossi vantaggi economici; un errore ancora ripetuto da Biden con il recente accordo da 6 miliardi di dollari in cambio della liberazione di ostaggi americani. Nell’elenco di sbagli di tutto l’Occidente – Israele incluso – va aggiunto che dal 2005 si è pensato di convogliare aiuti umanitari al popolo palestinese consegnandoli alla gestione di Hamas che puntualmente li trasformava in missili lasciando nella miseria i suoi sudditi.

In Estremo Oriente, la Cina ha incassato la sua dose di arrendevolezza occidentale: per esempio, sul piano strettamente militare, quando ha violato senza pagare conseguenze gli accordi internazionali e le leggi con l’occupazione e la militarizzazione di varie isole contese con i suoi vicini. L’escalation di minacce militari contro Taiwan, gli incidenti di frontiera con India, Vietnam, Filippine sono tanti altri segnali che l’aggressività non ha incontrato robuste contro-reazioni né ha comportato degli svantaggi significativi. Tra gli ultimi accadimenti si può aggiungere la rinascita di un armonioso accordo tra Pechino Mosca e Pyongyang – come agli albori della guerra fredda nel 1950 – in violazione di risoluzioni Onu contro la Corea del Nord che imponevano sanzioni, votate dalla stessa Cina e Russia.

Cosa unisce Ucraina e Israele
Joe Biden nel chiedere nuovi fondi al Congresso per aiutare sia l’Ucraina sia Israele (nell’immediato altri 74 miliardi di dollari, destinati a crescere) ha unito questi due conflitti dentro un tema comune che è la difesa della libertà e democrazia. In effetti, se l’Ucraina è uno Stato democratico e sovrano la cui caduta sarebbe un colpo per i valori dell’Occidente, d’altro lato Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente (che ci piaccia o no il suo premier attuale).

L’America può permettersi di combattere su due fronti, ha detto Biden, e questa affermazione è ineccepibile. Tanto più visto che stiamo parlando di conflitti nei quali gli Stati Uniti non sono coinvolti direttamente, non mandano truppe né impegnano aerei o navi in combattimento (almeno per ora). L’onere economico è assai modesto rispetto a guerre del passato come Vietnam, Afghanistan, Iraq. La vulnerabilità americana e dell’Occidente è di tutt’altro tipo: riguarda la tenuta delle sue alleanze; e la tenuta del fronte interno.

Che errore sottovalutare l’Iran
Sulle alleanze, restando al Medio Oriente, colpisce che né gli Stati Uniti né Israele né i loro amici arabo-africani abbiano capito quanto l’Iran avesse “giurato morte” al processo di disgelo e distensione che stava cambiando le mappe geopolitiche di quell’area. Dopo gli accordi di Abramo (2020) che avevano avvicinato a Israele gli Emirati, Bahrein, Marocco e Sudan, il gran finale doveva coinvolgere l’Arabia saudita del principe Mohammed bin Salman. Si sarebbe chiusa un’era che durava dal 1947. Un’epoca segnata dalla volontà di tante leadership mediorientali di distruggere Israele, e parallelamente di usare Israele (e l’America sua protettrice) come alibi e capro espiatorio verso cui indirizzare la rabbia di popoli a cui le stesse classi dirigenti avevano rovinato il futuro. Se il nuovo corso saudita di Mbs fosse andato in porto l’Iran si sarebbe visto circondato e accerchiato da un cordone israelo-arabo … come Putin dal cordone di paesi aderenti all’Unione europea e alla Nato. Né Biden né Netanyahu né MbS hanno capito che l’Iran era disposto a versare fiumi di sangue in quell’area per impedire lo scenario che avrebbe relegato gli ayatollah dal lato dei perdenti. Questo errore politico è almeno altrettanto grave della débacle dell’intelligence israeliana riguardo ai preparativi militari di Hamas.

Ora tutti i nemici dell’Occidente esultano in modo aperto. La Cina si unisce alla Russia nell’evitare ogni condanna di Hamas, pur di cementare i legami con un mondo islamico che chiude gli occhi sul trattamento inflitto da Pechino ai suoi musulmani (gli uiguri dello Xinjiang: un milione di detenuti in campi di “rieducazione” dove l’Islam viene sradicato dalle loro teste).

Xi, Putin e il Grande Sud abbracciati
Il summit di Pechino dedicato al decennale delle Nuove Vie della Seta, per coincidenza si celebrava proprio negli stessi giorni della tragedia in Medio Oriente. Quel vertice ha avuto molti significati. E’ stato disertato per la prima volta dagli europei, con la solitaria eccezione dell’ungherese Orban, a conferma che il clima della nuova guerra fredda impone scelte di campo chiare. E’ stato un summit dove si è parlato poco di economia, investimenti, infrastrutture, anche perché su quel terreno il bilancio dei mille miliardi investiti o più spesso prestati dalla Cina è meno esaltante di quel che si vorrebbe. Si è parlato molto più di politica estera, sempre con i toni di un processo all’Occidente, alla sua nazione leader che sono gli Stati Uniti, all’ordine globale ancora troppo americano-centrico che la Repubblica Popolare si propone di smantellare e sostituire. L’adunata del Grande Sud globale a Pechino è stata una sorta di “conta” dei governi che condividono l’ostilità all’Occidente, alla sua storia, ai suoi valori.

Le nostre piazze ci contestano, le loro… pure
Durante la prima guerra fredda in una conferenza internazionale del 1955 a Bandung (Indonesia) fu tenuto a battesimo il movimento dei non allineati detto anche “Terzo mondo” perché ufficialmente non voleva schierarsi né con il primo (l’Occidente) né col secondo (il blocco comunista comandato dall’Unione sovietica). Nella realtà però i leader più influenti di quel Terzo Mondo erano come l’indiano Nehru: guardavano con più simpatia il socialismo sovietico. Il vertice di Pechino del 2023 potrebbe essere ricordato come un evento simile: con tanti leader africani, sudamericani, che professano il non allineamento ma abbondano nella propaganda antioccidentale.

A conferma della difficoltà in cui naviga l’Occidente c’è un’asimmetria nel confronto. Le piazze di Londra e Berlino, più qualche piazza italiana, nonché molte città Usa e la maggioranza dei campus universitari americani, sono stati dominati da manifestazioni filo-palestinesi che spesso sono diventate apertamente pro-Hamas. In quelle manifestazioni la condanna d’Israele si è mescolata con la condanna dell’America e di tutto l’Occidente. Nell’altro campo? Nelle capitali arabe, in Africa, in Russia e in Cina, non ci sono state manifestazioni di solidarietà verso i bambini israeliani uccisi; nessuna protesta contro le carneficine di Hamas. A Bruxelles o a Parigi non si sono viste le comunità islamiche locali invadere le piazze per esprimere cordoglio con le vittime francesi e svedesi del terrorismo jihadista. Questa asimmetrìa, come ricordo nel segmento successivo, è uno dei (tanti) problemi di Biden.

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