Cinema - Filmati

Manodopera – Interdit aux chiens et aux italiens

di Sandro Vitiello

In questi giorni le sale cinematografiche fanno il pieno con i film della Mostra di Venezia, con Barbie e Oppenheimer, e questo non può che fare che bene all’industria del cinema.
Intesa non solo come mondo della produzione ma anche e soprattutto come distribuzione.
Un po’ dappertutto le sale chiudono e al loro posto arrivano gli ennesimi supermercati o negozi del lusso, quando le ultime sale sono nel centro storico delle città.


C’è però un cinema “minore” – si fa per dire – che resiste e che propone film di grande valore, spesso prodotti con budget limitatissimi. Film che passano ovviamente in sale più periferiche, spesso parrocchiali o appartenenti a circuiti di qualità come quelli associati a Euro Cinemas.
Andando a cercare nel cartellone di questi cinema ieri sera abbiamo – io e mia moglie- scoperto che dalle mie parti era in programmazione “Manodopera”, un film animato prodotto da un regista francese con cognome italiano, Alain Ughetto.
Ne avevamo visto la pubblicità sui social e la curiosità c’era.
Risultato: in una sala dove alle 17,30 del pomeriggio c’erano venti persone abbiamo assistito alla proiezione di un piccolo capolavoro.
Un film “povero” negli strumenti di produzione ma ricchissimo di contenuti, di tempi di narrazione, di passione. Racconta le vicende di una famiglia di montanari piemontesi, gli Ughetto, che abitavano nel paesino di Ughettera, sul confine con la Francia.

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Il paese esiste per davvero ormai abbandonato, poco distante da Torino, è una frazione di Giaveno sotto al Monviso.
Una storia che inizia alla fine dell’800 e che va avanti fino agli anni settanta, quando la terza generazione di quella famiglia è ormai naturalizzata francese e dove ha raggiunto un discreto tenore di vita.
Il regista dialoga in maniera immaginaria con i suoi avi, con nonna Cesira in particolare, e vuole sapere di quel mondo fatto di povertà e miseria, di sofferenza e speranza che portava intere famiglie ad attraversare le Alpi perchè, diversamente, non avrebbero avuto abbastanza cibo per superare l’inverno. E intanto il mondo esterno, che non dedicava loro nessuna attenzione, li va a cercare se c’è bisogno di mandare uomini in guerra.

A morire in luoghi neanche lontanamente immaginati, la Libia nel 1912, o nelle trincee della prima guerra mondiale. O a subire le angherie dei fascisti, gente buona a nulla che con una divisa addosso si sentivano i padroni di tutto, capaci di rubare il poco che le famiglie avevano. Alla stessa maniera del prete del paese che, pur non usando le armi, lanciava anatemi contro chi non partecipava adeguatamente ai suoi bisogni.
E allora non restava che tentare la fortuna oltre le montagne, armati della propria determinazione e delle proprie capacità.
Uomini pronti a fare tutto: gallerie, ponti, dighe, spazzacamini e tanto altro.
E mentre la storia scorre, accompagnata dalle musiche di Nicola Piovani, non viene dimenticata la gentilezza di quella gente, l’amore per la propria famiglia, l’educazione e la protezione dei figli e il tempo che passa e che porta via, insieme alla gioventù, anche i figli che vanno altrove a costruire il loro destino.
Un film che tocca le corde più intime di ognuno di noi perché narrato con grande maestria, profondamente vero.
Il regista è il nipote di quella Cesira – figura centrale del film – e le ragioni per fare questo film le ha trovate nel suo cuore e nella storia della sua gente.


Una storia che non è soltanto sua ma è quella di quel mondo dei vinti, sapientemente narrato da Nuto Revelli. Citato nei titoli di coda.

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Appendice del 19 sett. 2023 (cfr. recensione di Sandro Russo)

Recensione di Giancarlo Zappoli da MyMovies del 1° febbraio 2023:
Un film da far vedere nelle scuole per la dolcezza e la precisione con cui si racconta l’Italia di coloro che vennero definiti come gli ultimi.pdf

1 Comment

1 Comment

  1. Sandro Russo

    19 Settembre 2023 at 18:25

    Dopo aver visto per la seconda volta il film Manodopera proposto qualche settimana fa su queste pagine da Sandro Vitiello, posso parlarne con maggior competenza.
    Un vero capolavoro, ma anche un’opera di grande poesia. Un nipote che raccoglie dalla nonna Cesira le testimonianze di una vita dura, che lui – nato e naturalizzato francese – riesce a mala pena a immaginare, tra Francia e Italia e rincorrere il lavoro dove c’è, cercando di scampare alle guerre che si susseguono (ma la famiglia paga il suo tributo), cercando di sfuggire ai fascisti che si sono presa l’Italia.
    Una storia dolce-amara raccontata – proprio come certe nonne sanno fare – con grande poesia, senza una lacrima e con nessuna recriminazione.
    Da un punto di vista tecnico ho notato una grande originalità, nelle immagini, un travaso dal mondo reale a quello dell’animazione, come quando la manona del nipote porge un picconcino (o altri oggetti in scala) alla figura in plastilina e quella lo prende e si anima.

    Propongo (annessa in file .pdf all’articolo di base) la bella recensione di Giancarlo Zappoli da MyMovies da cui riprendo questa frase di Max Frisch: “Cercavamo braccia, arrivarono persone”.

    Recensione: “Un film da far vedere nelle scuole per la dolcezza e la precisione con cui si racconta l’Italia di coloro che vennero definiti come gli ultimi”

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