Zoologia

Il cambiamento climatico è anche questo. Le rondini di Rumiz

proposto da Sandro Russo

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L’uomo è stato fin dalla notte dei tempi uno spietato cacciatore di animali. Per motivi diversi: per alimentarsi, perché costituivano un pericolo, per ancestrale antipatia (come per topi, scarafaggi, serpenti). Ma ci sono state delle eccezioni…
Si è trattato spesso di piccoli animali, di nessun valore alimentare che per qualche motivo ispiravano simpatia, tenerezza, senso di protezione. Alcuni hanno avuto anche una dimensione mitica, simbolica. Mi vengono in mente le lucciole, i ricci (ma qualcuno li mangia), i cavallucci marini, le cicogne, le rondini.
Ecco, le rondini!
Annunciano la primavera – si è imparato una volta per tutte dal sussidiario della III elementare – San Benedetto (21 marzo), una rondine al tetto. Anche se “Una rondine non fa primavera”.
Ci sono le rondini anche in  questo racconto di Paolo Rumiz, che sensibile com’è, le identifica come preannuncio di una catastrofe ancora più grande della perdita di una nidiata di piccoli.
In prima pagina de la Repubblica di ieri (segue all’interno).

LA STORIA
Le mie rondini uccise dal freddo in una notte di mezza estate
di Paolo Rumiz – Da la Repubblica del 7 agosto 2023

Da 170 anni vengono a nidificare a casa. Ma nei giorni scorsi la temperatura è scesa di colpo da 30 a 10 gradi provocando una strage

Giusto il giorno prima del grande freddo, i nipotini avevano finito di costruire le basi dei nuovi nidi, per propiziare il ritorno delle rondini la primavera successiva. Noi tutti volevamo averne tante, perché la casa fosse benedetta. Con la supervisione di Mitja, un vicino dalle mani d’oro che li accoglieva volentieri nel suo affascinante laboratorio, i piccoli avevano tagliato e piallato tavole di legno per assemblarle a triangolo e fissarle al soffitto della rimessa, dove le rondini tornavano da sempre. Da 170 anni almeno, quando la casa fu costruita e la rimessa era ancora una stalla.

Questa primavera erano tornate più numerose del solito. Considerata la loro vita media, si trattava almeno della quarantesima generazione che con stupefacente precisione topografica tornava sempre nello stesso posto, dopo un volo di duemila chilometri almeno dall’Africa del Nord. Avevano invaso ogni spazio utile per nidificare e di giorno avevano popolato la ragnatela di fili della luce che sovrastava il centro del paese. Ogni mattina salutavano l’inizio del giorno con concerti di trilli.

Il fienile di uno dei vicini ne era pieno. Almeno quindici famiglie, quindici nidi con un tappetino di escrementi bianco-neri alla base e un frenetico andirivieni attraverso l’unica finestra. Le tenevano volentieri, perché portavano fortuna, benedicevano la casa. Tutto il villaggio le aveva accolte bene, quasi con sollievo. Un anno prima, incendi apocalittici avevano sterminato le foreste delle vicinanze, ma loro si erano dimostrate più forti del disastro climatico. Il loro ritorno rappresentava la continuità della vita.

Da marzo a settembre, la porta della mia rimessa doveva restare aperta per loro. Sulla porta avevo fissato un cartello bilingue con la scritta “Attenzione rondini! Vietato chiudere!”. Mi svegliavano di buon’ora con un fitto chiacchiericcio davanti alla finestra. Mentre i nati di giugno erano fuori a scuola di volo, quelli della seconda nidiata stavano arroccati nel nido della rimessa. Resistevano a tutto, anche al traffico di operai che stavano sostituendo la caldaia e consolidando il soffitto. Trapani, colpi di martello: niente li stanava. Il gioco preferito di Mili, la gatta, era tentare di acchiapparle al volo sulla soglia mentre uscivano o rientravano per nutrire i piccoli, ma quelle non si facevano beccare e, anzi, la sfottevano con planate minatorie appena fuori portata dei suoi artigli.

La mattina dopo venne novembre, con tre mesi di anticipo. Piovve con violenza per quaranta ore, in un susseguirsi martellante di fulmini. Una tempesta elettromagnetica.

Immagine dall’articolo su la-Repubblica-online

La cisterna grande si riempì fino all’orlo e il suo perimetro si affollò di rane impazzite. Poi mezza Slovenia fu devastata, fiumi d’acqua invasero i paesi nelle vicinanze. Da 30 gradi, la temperatura scese a 10, e tale rimase per un pomeriggio, una notte e un altro giorno ancora. Gli insetti smisero di volare, sottraendo il cibo alle rondini. Fu una notte orrenda, interminabile. Gli adulti non potevano volare. Gli ultimi nati rimasero a digiuno e andarono in ipotermia. Una creatura di venti grammi si spegne in pochi minuti.

Già dopo poche ore trovammo uno dei cinque cuccioli stecchito sul cemento. Il mattino dopo, altri tre batuffoli stecchiti. Dopo poche ore anche gli adulti scomparvero. Sfortuna! Dopo 170 anni, la rimessa rimaneva vuota, perdeva gli inquilini di sempre. In molte altre case i nidi erano deserti. Altri nuovi nati giacevano per terra. Era scattata la grande fuga, e la legge della sopravvivenza imponeva di abbandonare i più deboli. Le amiche bianche e nere se n’erano andate, con più di un mese di anticipo, e in paese anche i contadini più duri erano tristi. Uomini abituati alla vicinanza di orsi, linci e cinghiali. Uomini per i quali la pioggia è una benedizione. Qualcosa si era rotto nel cielo.

È successo da poche ore, ma ho usato lo stesso il passato remoto. Si adatta meglio a rappresentare qualcosa di definitivo. Quei fili della luce vuoti, quel silenzio nelle stalle e sui cornicioni mettono tutti noi di fronte a qualcosa di epocale. Oggi piove ancora. Sotto la grondaia di casa, due rondini adulte rimaste aspettano che smetta. Poche altre, infreddolite, cercano di volare ancora. In città non se ne accorgerebbe nessuno, il dolore degli animali non affiora. Nei piccoli paesi è un’altra cosa. Le rondini fanno parte di una comunità e oggi gli abitanti guardano il cielo. In loro arde la speranza di un ritorno. Ma nel villaggio non si muove quasi nulla. Il silenzio, il vuoto.

***

Sul sito ci sono eccome, le rondini. Tante rondini… e articoli su di esse.
Tra i tanti, una piccola nota su un mio vicino di casa, meccanico di trattori, che le ospita ogni anno con sollecitudine quasi paterna.

Il meccanico dei trattori e le rondini
di Sandro Russo

Il meccanico da cui sono andato a prendere il trattore stamattina – siamo in zona Castelli romani – ha un nido di rondini nell’officina.
– Sì… uno! …Ce ne so’ quattro! Ce ne so’… – Lo dice con un certo orgoglio…
È un omone grande e grosso, con i capelli quasi bianchi e le mani sempre nere (come tutti i meccanici), e non ce lo vedi a parlare delle rondini quasi con amore.
Dice che sono quattro anni che fanno il nido nel sua officina; prima era uno solo; adesso sono diventati quattro. Entrano da un vetro rotto, su in alto… – che io nun ci’ho riparo apposta!
– E nun c’hanno paura de gnente! E sì che ne faccio de rumori, qua dentro! Certo sporcano un po’  – dice – ma basta spazza’ più spesso!
Dice che il nido che vedo l’hanno fatto in tre giorni, con fili di paglia raccolti in giro… Ritornano sempre allo stesso posto…  – Ma come faranno – ’ste bestiole, a ritrovallo – con tutta la strada che devono fa’, dall’Affrica a qua..!
Dice che adesso comincia la cova; poi si schiudono le uova con il nutrimento dei piccoli che hanno sempre fame… Poi racconta dei piccoli che si lasciano a volare… – So’ come ’e creature!
E quando se ne vanno, a settembre-ottobre, ne vengono a centinaia… Se vede che le vengono a prenne… pe’ parti’ tutte ’nzieme! …C’è un casino qui, che nun se riesce manco a parla’!
Poi mi racconta delle tecniche che hanno per riposarsi, aprendo le ali nelle correnti ascensionali in quota e di quando si posano in massa sui pennoni delle navi in mezzo al mare… Si vede che ha letto, che si è informato…
È strano uscire da un meccanico di trattori, in piena campagna romana, con questa visione di mare e sole negli occhi …e di migliaia di rondini!

[Giugno 2010 – leggi qui l’articolo completo]

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