Poesia

Migranti, una poesia

di Carlo Secondino

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A ideale seguito di uno scritto sull’Africa (leggi qui) proposto da Carlo Secondino che per anni ci ha vissuto, e di stretta attualità dopo i recenti naufragi nel nostro mare, una poesia sui migranti.

 

Migranti (Mare Nostrum)

Dalla fatale melodia delle Sirene
si difese Ulisse
con gli esecrati lacci, ché follia teme’
da sovrumana bellezza.

Ma nel silenzio di queste notti grevi
chi ascolti, dalle sponde del mare
che vide errare lunghi anni l’eroe,
ode levarsi dai celebrati scogli,
scorato e amaro,
di quelle incantatrici il pianto.
Nell’orrore del frangersi, senza fine,
di poveri corpi
che più non cercano appigli.

Il profeta ammonì lontano nel tempo,
sì come il poeta sublime:
alcun canto l’uomo non levi quando
angoscia l’opprime;
non si conviene ad anima in duolo
calzare di Calliope le ali.
Pure, s’impone in quest’aria di morte
non obbedire
all’antico profeta, non all’inclito vate.

Della Musa, di nero velata, si effonda
il funereo lamento
finché l’ultima mano, implorante,
indegna fossa troverà in quelle onde.

 

[Di Carlo Antonio Secondino
(da L’occasione di esistere, Pasquale D’Arco Editore, Formia 2023)]

2 Comments

2 Comments

  1. Sandro Russo

    17 Marzo 2023 at 08:24

    Mi sono chiesto, e poi ho avuto conferma alla fonte, a chi si riferisce il poeta, quando contesta la necessità di tacere davanti al dolore:

    Pure, s’impone in quest’aria di morte
    non obbedire
    all’antico profeta, non all’inclito vate.

    Il riferimento è alla poesia di Quasimodo: Alle fronde dei salici, del 1946, scritta durante l’occupazione nazista di Milano dopo l’armistizio con le truppe anglo-americane. Quasimodo trae ispirazione dal Salmo 137 (numerazione greca: salmo 136) della Bibbia (il lamento dell’esiliato a Babilonia dopo la caduta di Gerusalemme nel 587 a.C.) che inizia con le famose parole:
    Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.
    Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre…


    Alle fronde dei salici

    «E come potevamo noi cantare
    con il piede straniero sopra il cuore,
    fra i morti abbandonati nelle piazze
    sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
    d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
    della madre che andava incontro al figlio
    crocifisso sul palo del telegrafo?
    Alle fronde dei salici, per voto,
    anche le nostre cetre erano appese,
    oscillavano lievi al triste vento».

    (S. Quasimodo, da Giorno dopo giorno)

    E sulla possibilità di fare poesia sul dolore e sulla morte si è scritto tanto (anche sul sito: leggi qui)

    Così Theodor W. Adorno (1903 –1969). “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie”. Ma non aveva ancora fatto i conti con la poetica di Paul Celan (1920- 1970), con quel “ciò che è stato”, che segna la lacerazione della storia nel suo “prima” e nel suo “dopo” Auschwitz. […] (qui sul web).

    D’altra parte qualcuno ha anche scritto (e cantato):
    “E i cavalli a Salò sono morti di noia: / a giocare col nero perdi sempre. / Mussolini ha scritto anche poesie. / I poeti, che brutte creature: / ogni volta che parlano è una truffa”. Francesco De Gregori (cantautore italiano, 1951) da Le storie di ieri, n. 6 Rimmel

    Tutti interrogativi importanti – riproposti e mai definitivamente risolti – che ogni poesia impegnata e coinvolgente sul tema della morte e del dolore, riapre.

  2. Carlo Secondino

    18 Marzo 2023 at 19:04

    Rispondo in ritardo, è vero, ma in compenso ho potuto leggere un po’ di più.
    Sandro, di come nella tua nota hai “trattato” la mia poesiola ispirata ai migranti che dire? La breve introduzione, il bel commento, lo sviluppo del tema, diciamo così, “se la poesia possa cantare anche il dolore”; hai allargato il campo. Con il confronto tra Adorno e Celan, il riferimento al giudizio di Mittner su Celan.
    Mittner per Celan scrive che si ispira ai lager nazisti: “un grandissimo requiem […]”. La mia citazione (di poeta dilettante anche se anziano) della Bibbia e di Salvatore Quasimodo, tenta di affermare che il canto poetico può farsi anche “lamento doloroso”.
    Un commento seminale, il tuo, aperto ad ulteriori approfondimenti.

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