Cinema - Filmati

Rappresentare l’orrore, in musica e in altre forme d’arte (seconda parte)

di Sandro Russo

per la prima parte, leggi e ascolta qui
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Abbiamo affrontato con la mente sgombra da pregiudizi, l’impegnativo ascolto dell’opera di Arnold Schönberg “Un sopravvissuto di Varsavia”, l’oratorio musicale di 7 minuti che il compositore Arnold Schönberg ha dedicato alla strage nel ghetto; un tema fortemente drammatico. Anche per me era la prima volta. Ho ripetuto l’ascolto più volte e delle riflessioni sono affiorate.

So bene che un’opera d’arte è un tutt’uno e va affrontata nella sua interezza, ma questo è un caso molto particolare le cui componenti sono estreme: il contesto tragico, le parole dette dalla voce recitante, l’accompagnamento sonoro.
Ho avvertito, in un ambito così tragico e coinvolgente, la necessità di separare il racconto dell’evento da parte del sopravvissuto all’eccidio, dal commento musicale. Ho quindi affrontato i due aspetti separatamente, nell’idea di poi ricongiungerli.

In generale, da un punto di vista letterario si può apprezzare la maestria dell’autore a creare l’empatia con l’esperienza di angoscia.
Si può apprezzare. Ma conoscendone le insidie.
Le ho trovato ben esplicitate in Elisabeth Costello (1) di John Maxwell Coetzee (premio Nobel per la Letteratura 2003). La descrizione del male, dell’angoscia, della morte possono generare una sorta di contiguità, quasi di connivenza con essi che ci può ‘sporcare’, invece di renderci migliori.

Il Cinema si è molte volte cimentato con la rappresentazione dell’orrore assoluto rappresentato dalla Shoah (2).
Il dilemma è nel come mettere in scena l’angoscia, il dolore, la morte.
Si danno modalità ricorrenti per rappresentare questi forti sentimenti…
In Film Blu (Trois couleurs: Bleu) di Kieślowski (1993) (3), Julie (Juliette Binoche) è sopravvissuta a un incidente stradale in cui ha perso il marito e la figlia piccola. Al risveglio a sua volta dal coma, sul suo volto angosciato e smarrito, il regista inserisce una dissolvenza al nero. Il nero è visivamente l’unico mezzo per rendere l’emozione e il rifiuto di continuare a vivere.

Lo schermo nero è quasi il protagonista di uno degli episodi del film incentrato sull’attentato alla Twin Towers – undici episodi diretti da altrettanti registi provenienti da 11 paesi (e culture) diversi -: il segmento #07: “Messico” del film 11’09″01 (2002) per la regia di Alejandro González Iñárritu. Lo spettatore è colpito – a schermo buio – da tonfi sordi, che solo lentamente comincia ad immaginare da cosa possono essere provocati… (4).

Oltre allo schermo nero, qualche volta davanti all’inesprimibile si assiste alla dissociazione tra le immagini e il sonoro. A volte il regista si trattiene dal far sentire le grida e i pianti che seguono ad un grande dolore; penso alla Susanne Bier (5) di Noi due sconosciuti – Things We Lost in the Fire) (2007) e anche a Rabbit hole (del 2010, diretto da John Cameron Mitchell, basato sulla omonima pièce teatrale grazie alla quale David Lindsay-Abaire ha vinto il Premio Pulitzer). Altri registi invece, se ne servono a piene mani; Iñárritu è uno di questi (come in Babel; (2006). In questo senso non vanno sottovalutate le emozioni che lo spettatore immette di suo nella storia; il fascino dell’opera sarà anche nella capacità del regista di incanalare e/o lasciare lo spazio per tali intrusioni.

Abbiamo parlato per sommi capi di come “maneggia” il cinema queste emozioni forti, in cui il rispetto per la maestà del dolore e della morte è d’obbligo.
Provo ora ad affrontare – da incolto ma desideroso di capire e di imparare – l’aspetto musicale, con particolare riferimento alla musica dodecafonica.

Note

(1) – Elizabeth Costello è il titolo di un libro e un personaggio (una scrittrice australiana) di John Maxwell Coetzee (premio Nobel per la letteratura, 2003 – Ndr), che entra nel merito della rappresentazione del Male prendendo la parola in una delle sue conferenze. Elisabeth, ad ogni apparizione pubblica, affronta argomenti inquietanti; racconta storie che raramente i presenti vogliono ascoltare e le attirano addosso l’ira (e a volte gli insulti) degli ascoltatori. Per esempio, una volta Elizabeth cita lo scritto di uno storico che per rendere più pregnante la cronaca dell’eccidio seguito al (fallito) attentato a Hitler del 20 luglio 1944, descrive minuziosamente i fatti – che in nessun modo egli avrebbe potuto conoscere – avvenuti nella ‘camera della morte’, dove i dodici responsabili dell’attentato furono torturati, e infine strangolati, con particolare sadismo.
Sfidando un auditorio ostile, Elizabeth si dice fieramente in disaccordo con quella rappresentazione del Male:
“…nel rappresentare le azioni del male, lo scrittore non potrebbe involontariamente averlo reso attraente, ottenendo con questo l’effetto opposto a quello voluto?”
“Ci sono molte cose cui assomiglia il raccontare. Una di queste è la bottiglia che contiene il genio. Quando il narratore apre la bottiglia, il genio esce nel mondo, e rimandarlo indietro non è uno scherzo (…).
(Elizabeth) Non è più così convinta che la gente venga sempre migliorata da quello che legge. Inoltre non è convinta che gli scrittori che si avventurano nei più oscuri territori dell’anima ne escano sempre incolumi”
(…)
Questa è la posizione (di Elizabeth) al crepuscolo della vita: tutto considerato, meglio che il genio rimanga nella bottiglia”.
[Da: “Elizabeth Costello” di J. M. Coetzee (2003)]

(2) – Nuit et brouillard (Notte e nebbia) è il titolo di un impressionante documentario di 32 min. del regista francese Alain Resnais del 1955, sui campi di sterminio nazisti (assistente alla regia: Chris Marker, non uno qualunque). Sul sito leggi e guarda qui.
Il titolo a sua volta riprende le parole in lingua tedesca Nacht und nebel (appunto ‘Notte e nebbia’) che contrassegnarono l’operazione di annientamento.
Shoah è un monumentale documentario (dura 566 min., circa 9 ore e mezza; uscito nel 1985, la lavorazione era iniziata nel 1974) realizzato da Claude Lanzmann (1925-2018) sullo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Solo due altre citazioni di film tra gli innumerevoli usciti (e visti) sul tema:
The Schindler’s list di Steven Spielberg, del 1993; Il figlio di Saul, dell’ungherese László Nemes, del 2015).
“Ci sono tanti modi di vedere la Shoah. Di raccontarla, con ciò rivivendola. È impossibile non ricordare due grandi sopravvissuti allo sterminio. Uno scrittore e un poeta. Primo Levi e Paul Celan. Due opposti sguardi. Levi fa un racconto razionale dell’esperienza personale. Celan scrive versi ermetici, avvolti in una tragica nebbia da cui affiora il senso di colpa per non avere subito la sorte dei suoi. Entrambi si sono suicidati” [Di Bernardo Valli in la Repubblica del 5 novembre 2015].

(3) – Tre colori – Film blu (Trois couleurs : Bleu) è un film del 1993 diretto da Krzysztof Kieślowski; il primo della trilogia che il regista polacco ha dedicato ai tre colori della bandiera francese e, di conseguenza, al motto della rivoluzione francese, “Liberté, Égalité, Fraternité”. Nel primo film “liberté” simboleggia la liberazione dal dolore. 

(4) – 11 settembre 2001 (11’09″01 – September 11), uscito l’11 sett. 2002, a un anno esatto dalla tragedia delle Torri; una co-produzione internazionale per un’opera composta da undici episodi (della durata di 11 minuti ciascuno) diretti da altrettanti registi provenienti da 11 Paesi (e culture) diversi. Essi sono: Yusuf Shahin, Amos Gitai, Claude Lelouch, Sean Penn, Mira Nair, Ken Loach, Danis Tanovic, Alejandro González Iñárritu, Shohei Imamura, Idrissa Ouédraogo e Samira Makhmalbaf. Meraviglioso l’episodio diretto da Sean Penn (segmento USA): sul sito dall’11 settembre 2014.
Episodio #07: “Messico” Regia: Alejandro González Iñárritu
Schermo nero. Rumori di fondo e voci di vita quotidiana, interrotti all’improvviso dalle urla dei testimoni dello schianto del volo AA11 contro la Torre Nord del World Trade Center. Mentre lo schermo nero viene ogni tanto interrotto dalle immagini di repertorio degli attentati, si sovrappongono le voci degli annunci in televisione, delle urla delle vittime, delle esplosioni degli aerei, delle chiamate fatte dalle vittime e dai loro parenti. I tonfi sordi che si ascoltano, nero su nero, sono i corpi precipitati nel vuoto per centinaia di metri che si sfracellano sul cemento sottostante. Poi il sonoro si interrompe e si vedono le due Torri crollare senza sonoro. Le voci di fondo ricominciano su un fondo di violini, mentre lo schermo dopo un po’ passa gradualmente dal nero al bianco. Appaiono due scritte, una in caratteri arabi e una in caratteri latini, del medesimo significato: “La luce di Dio ci illumina o ci acceca?”. Le frasi infine scompaiono in una luce accecante.

(5) – Susanne Bier (1960), regista e sceneggiatrice danese. Nei suoi film ha esplorato il dolore in molte delle sue declinazioni. Alcuni titoli: Non desiderare la donna d’altri (Brødre) (2004), Things We Lost in the Fire) (2007, citato sopra), In un mondo migliore (Hævnen) (2010), Una folle passione (Serena), film del 2014, ispirato al romanzo Serena dello scrittore Ron Rash, Bird box (2018, dal romanzo del 2014 La morte avrà i tuoi occhi, di Josh Malerman, ambientato in un futuro post-apocalittico. Dal 2016 al 2022 Susanne Bier ha curato da regista almeno tre serie televisive, tra cui Undoing, Le verità non dette, del 2020. Susanne Bier è stata una dei partecipanti  (e firmataria) del progetto Dogma 95, un movimento per il rinnovamento del cinema creato da Lars van Trier e Thomas Vinterberg (Copenhagen 1995)

Immagine di copertina: Edvard Much: L’urloThe Scream (Skrik) 1893. Galleria Nazionale di Oslo

[Rappresentare l’orrore, in musica e in altre forme d’arte (seconda parte) – Continua qui]

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