Ricorrenze

Tradizione napoletane (2). Tombolaaa!

di Renato Ribaud

.

Soffermiamoci adesso su questo padre Rocco che, per la sua instancabile laboriosità a favore del prossimo, merita senz’altro la nostra attenzione. Appartenente dunque, all’ordine dei Frati Domenicani, padre Gregorio Maria Rocco era un uomo come suol dirsi, franco di cerimonie.
Di carattere duro non ammetteva trasgressioni alla fede. A chi osava contraddirlo nelle sue teorie, senza pensarci su, estraeva dal cordone che gli faceva da cintola al saio, la pesante croce in legno usata a mo’ di randello verso colui che invano tentava di fuggire. Sin dai primi di dicembre bussava con le nocche alle porte delle case chiedendo a chi gli apriva se stava o meno preparando il presepe. E se questo era già pronto, quasi fosse un inquisitore, voleva subito vederlo per controllare che ogni scena fosse stata ispirata ai crismi della Natività. Il Presepe – diceva – come avviene per la Sacra Famiglia nella nascita del Redentore, deve essere preso a simbolo di ogni unione familiare.
Ricevuto a corte da re Carlo III di Borbone, che nutriva per lui una profonda stima, volle innanzitutto visitare il presepe allestito dal sovrano e dalla consorte Maria Amalia. E si congratulò anche con quest’ultima per aver confezionato con le dame di corte gli abiti dei pastorelli, intessuti di seta e di broccati.
Padre Rocco non operava solo tra chiese e confessionali, ma si occupava anche della vita della città partenopea: per evitare il perpetuarsi di aggressioni notturne ai viandanti nei vicoli bui, ebbe l’idea di far sistemare ad ogni angolo di strada edicole votive, illuminate da una fonte di luce e ciò grazie alle offerte dei devoti.
Ecco allora che in omaggio a quel piccolo stratagemma, nacque un detto popolare molto amato da chi era ottenebrato da pensieri e difficoltà: – Padre Rocco datece ’e lume, ovvero rischiarate i nostri pensieri, il nostro ragionare, per superare ogni difficoltà.

Caratteristico Presepio napoletano (dalla Mostra di Arte presepiale a San Severo al Pendino) (1)

Sempre padre Rocco, nelle sue conversazioni con Carlo III, s’era scontrato più d’una volta per idee decisamente divergenti, ma poi con un pizzico di buona volontà dall’una e dall’altra parte, si trovava sempre una felice soluzione.
Così era avvenuto a proposito del gioco del lotto, praticato dalla gente con l’illusione di arricchirsi con quella che qualche secolo dopo la scrittrice giornalista Matilde Serao avrebbe definito “l’acquavite dei poveri”. Pertanto, dal momento che la gente dei quartieri più popolari continuava a dissanguarsi col gioco, il frate riuscì a convincere il sovrano a sospendere per qualche mese le puntate dal Regno.
Ebbene, successe l’imprevisto: i napoletani, senza pensarci su, se ne andarono a puntare i loro scarsi risparmi nel vicino Stato Pontificio, dove il lotto prosperava più che mai attivo, col beneplacito del Papa-Re, con puntate minime di gran lunga maggiorate. Insomma fu proprio il caso di dire che l’acqua santa invece di spegnere, accese ancor più la passione dei napoletani per il popolare gioco.
Carlo III, che si vedeva sfuggire in tal modo altri tributi per le già disastrate casse dello Stato, alla fine riuscì ad addivenire ad un compromesso con padre Rocco: il gioco sarebbe stato sospeso solo nella settimana del Santo Natale. Nei giorni cioè in cui non poteva venire concessa alcuna distrazione alle fervide preghiere dei credenti.
Si fa per dire! Perché vi fu subito chi pensò di organizzarsi per proprio conto.
I novanta numeri vennero imbussolati in casalinghi panarielli di vimini a forma di tombolo, e per trastullarsi dopo cena, in attesa della Messa di mezzanotte, ciascuno provvide a disegnare ed a trascrivere i novanta numeri – che mantengono
la stessa simbologia della Smorfia (1) – sulle cartelle. Ecco spuntare quindi al posto del lotto di Stato, altri mille, centomila piccoli lotti privati, che presero il nome di tombola.
E la tombola, in ricordo della promessa fatta appunto dal re al religioso, la si gioca in particolar modo alla vigilia di Natale, con grande godimento e devozione.
Se chi è addetto all’estrazione dei numeri, non tira fuori quello che interessa a qualcuno per completare la propria cartella, si sentirà dire, per inconsapevole retaggio, l’invocazione di: Pate Rocco, datece ‘e lume e facite asci’ ’o nummero mio!

Note

(1) – Una Mostra di Arte Presepiale si tiene ogni anno nel Complesso Monumentale di San Severo al Pendino in Via Duomo, 286 a Napoli, a pochi passi da San Gregorio Armeno

(2)La Smorfia è il libro dei sogni, usato per trarre dai vari sogni i corrispondenti numeri da giocare al lotto. In ogni smorfia un vocabolo, un evento, una persona o un oggetto è trasformato in uno o più numeri, attraverso una codifica anche abbastanza precisa che prevede un numero diverso a seconda del contesto: per esempio “giocare” fa 79, ma cambia se si gioca ai cavalli (81), al lotto (33), a calcio (50), a carte (17), a scacchi (22) e così via.
La smorfia è tradizionalmente legata alla città di Napoli, che ha una lunga tradizione nel gioco del lotto. È spesso stata fonte di ispirazione anche per il cinema, diventando talvolta protagonista di dialoghi e sketch ideati e proposti soprattutto da attori napoletani (nota a cura della Redazione)

Tratto da Renato Ribaud – Napoli, tradizione e folclore; edizioni del Delfino; 2019; pagg. 59 e segg.

Per un precedente scritto sulla tradizione napoletana del Natale; leggi qui

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top