Ricorrenze

Il Natale com’era… La tradizione napoletana (1)

di Renato Ribaud

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Si dice che il Natale della tradizione è finito, sopraffatto dai tempi e dal “consumismo del Natale”. Se è così non possiamo che prenderne atto, oppure chi può, chi ancora sente quei valori di rinascita e speranza, li può coltivare nel suo cuore o nel suo gruppo, familiare o allargato.
Quel che possiamo fare – a me ha fatto piacere – è riproporre alcuni quadretti del Natale della tradizione napoletana – quella più vicino a noi di Ponza (chi più, chi meno) – raccontati da un testimone d’eccezione, l’amico Renato Ribaud (*), napoletano verace e appassionato, nonostante il cognome e il fatto che viva a Roma da più anni di quanti ne ha passati a Napoli (per altri suoi scritti, digitare Ribaud in “Cerca nel sito” o nell’indice per Autori).
S. R.

Mo vene Natale cu’ ’a maschiata

Mo vene Natale

Mo vene Natale
nun tengo denare
me fummo ’na pippa
e me vaco a cucca’.

A mezzanotte
se sparano ’e botte
me metto ’o cappotto
e m’è vaco a vere’!

Ma come? Le botte si sparano a Natale e non a fine anno?
A chi si fa questa domanda, v’è una pronta risposta. E quindi, dato per scontato che a Napoli, più che altrove, le fragorose bombe vengono fatte esplodere, nonostante i severi divieti, alla mezzanotte dell’anno che se ne va, v’è da spiegare vengono fatti tuonare particolarmente, e solo nella città partenopea, alla vigilia e nello stesso giorno di Natale.
Inquadrando la cosa dal punto di vista puramente religioso, è chiaro che si vuol rendere omaggio alla nascita del Bambino Gesù, di colui che sarà il Salvatore del Mondo. Però… andando a ritroso nel tempo, al periodo del dominio della dinastia borbonica, le fonti storiche riportano che ogni qualvolta in casa reale nasceva un erede al trono o comunque un figlio maschio, per festeggiare l’avvenimento, dai bastioni del Forte Sant’Elmo, come dagli altri castelli della città, venivano sparate cannonate a salve. In segno di giubilo per la nascita del bambino tuonavano così le cannonate di quella che veniva definita ‘a maschiata.
Con l’arrivo dei Savoia fu ripresa la tradizione delle cannonate a salve, in occasione della nascita di Vittorio Emanuele, avvenuta a Napoli il 12 febbraio del 1937. La famiglia reale al completo, si affacciò al balcone di Palazzo Reale, per darne l’annuncio, mentre tuonavano cento colpi da Forte Sant’Elmo.
Di lì a qualche anno il cannone tuonò nuovamente, e non certo da Forte Sant’Elmo, per i bombardamenti della seconda guerra mondiale: stavolta non fu giubilo, ma fu strage.
Ma poiché le tradizioni restano inscindibili dalla storia, negli anni Sessanta del secolo scorso, il sindaco Achille Lauro, oltre ad agire col piccone per lo sventramento e la ricostruzione del Rione Carità, non disdegnò i putipù dei festaioli, e così, dopo la ripresa della folkloristica Piedigrotta volle che riprendesse pure l’uso della maschiata.
Nella notte della vigilia di Natale il neonato al quale rendere onore non sarebbe stato un erede al trono, ma
il Re dei Re cioè Gesù Bambino. Per la sua nascita non si sarebbero dovute sparare cannonate dal Forte Sant’Elmo, ma si sarebbe svolta tra i maggiori quartieri, una gara di razzi pirotecnici, affidata a fuochisti di provata esperienza. Colui che alla fine dell’esplodere della Santa Barbara avrebbe riportato la camicia bianca — indossata per l’occasione — con più bruciature, sarebbe stato acclamato come il più coraggioso. E così è stato!

Preparanno ‘o Presepe
In alcuni presepi si usava sistemare le singole scene su ruote ad incastro che nel venire girate da una manovella situata sotto il tavolo, dava l’idea del movimento.
Questo presepio meccanico veniva definito ’o presebbio – in napoletano presepio diventa presebbio – ’o presebbio ca se fricceca, ovvero che si muove. Uno sfriccicare che dà quasi l’idea del pesce che guizza e salta nell’olio bollente della padella.
In ogni espressione del Presepe vi è un continuo adattarsi all’ambiente vesuviano…
Ed ecco apparire tanti personaggi di spiccata fantasia. Sullo sfondo in lontananza sono posti i pastori più piccoli, e nel gergo dei figurari questi minuscoli pastorelli vengono chiamati ’e muschille.
Poi tra le montagne se ne sta sistemato a sparare ’o cacciatore, altro assurdo personaggio, quest’ultimo, poiché alla nascita del Salvatore di polvere pirica neppure se ne parlava!
Ai bordi del ruscello di carta stagnola o con l’acqua che scorre a mezzo di mille artifizi, c’era ‘o piscaturiello. Ed anche per questo c’è un espressivo simbolismo a indicare le anime che vengono pescate per volere divino, traendole in salvo dai flutti del peccato.
Il pastore che sorridendo al balconcino mostra il paniere con ricotta e salame, viene poi chiamato Core cuntento a’ loggia in ricordo di quelle Logge dei pisani e genovesi
che erano a Napoli centri mercantili di florido commercio dove si acquistava sempre a buon mercato.
Ci stava, e ci sta tuttora, il carrettiere tra le botti, che in retaggio di una divinità pagana — napoletanizzata per l’occasione viene definito Ciccibacco ’ncopp ’a votte. E c’è il pastore che se ne sta estasiato a guardare la cometa e che viene chiamato ’o pastore ’a maraviglia.
Ed i soprannomi proseguono ancora con la statuina, mano alla bocca, che annuncia la nascita di Gesù Bambino e che viene definito: ’o chiammatore.
Il pastore che col braccio teso indica agli altri la grotta, viene detto l’appresentatore. I pastori che stanno all’osteria a chiacchierare sul miracoloso evento vengono indicati come ’e curiuse. I suonatori che precedono i Re Magi con organetti e chitarre, quasi si trattasse di un complesso a plettro d’una osteria nostrana, vengono soprannominati ’e musicante.
Il solo pastore che conserva il suo nome, squisitamente ebraico, è Benino, che si rifà a Beniamino. E Benino viene rappresentato, chissà perché, come uno sciocco, comme a une ca nun capisce e che beatamente se la dorme in un momento tanto meraviglioso.

Zampugnare ullero ullero
Parlando del Natale, viene spontaneo parlare degli zampognari. Nei giorni delle festività, li incontriamo per strada e ci inteneriamo nell’ascoltare le loro delicate nenie. Suonavano nella grotta di Betlemme per addolcire i vagiti del Bambinello ma approfondendo una nostra ricerca sui caratteristici strumenti a fiato sappiamo che molto prima della nascita di Cristo, già nella notte dei tempi, gli zampognari davano fiato con ullero ullero alle loro nenie, per accompagnare il travaglio e coprire i gemiti delle partorienti.
V’è poi una regola poco nota a chi ascolta questi eccezionali musicisti che raggiungono la città, scendendo dalla montagna: il più giovane doveva necessariamente suonare la ciaramella ed il più anziano la cornamusa o zampogna che dir si voglia. Il tutto a quanto pare si legava all’età di ciascuno e quindi a simboli fallici, incomprensibili o, a pensarci su… facili da comprendere!
II papà che con i figli accanto si era intanto dato da fare per preparare il presepe; ad opera ultimata, si poneva al balcone in attesa che, come ogni anno, passassero per la sua strada gli zampognari. Una volta che li aveva avvistati li invitava a salire, per suonare, davanti al suo capolavoro d’arte: – Tu scendi dalle stelle, o re del cieeeloo… eseguito dai bambini, in un cantilenante coro, interrotto dalla madre che gridava loro: – Mo lasciate perde ’u Presepie e venite a vede’ l’albere, che l’aggie appena fernute!

Nota
(*) – Renato Ribaud
è nato a Napoli, in quella via Toledo, che con i suoi antichi palazzi aristocratici e i personaggi che vi hanno abitato è stata fonte di ispirazione di tutti i suoi libri. Per “Il Mattino” ha redatto, in oltre vent’anni, una rubrica quotidiana di eventi cittadini e, inoltre, è eccellente autore di testi teatrali di satira e cabaret. È stato corrispondente per settimanali e periodici ad ampia tiratura. Ha retto inoltre le sorti dell’ufficio stampa di una delle più diffuse associazioni umanitarie, quale inviato in missione di pace nei Paesi belligeranti. L’Ordine dei Giornalisti gli ha consegnato la targa d’argento quale riconoscimento dei suoi cinquant’anni di carriera. Ha fondato un sito web ad aggiornamento mensile, dal titolo “Redazione Cultura News”, che cura quale critico teatrale.
Approdato alla redazione politica del “Il Mattino” a Roma, vive lì tuttora, portando sempre nella mente la sua Napoli.

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