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L’antidantedi Tano Pirrone . “Antidante” non è il participio presente del verbo “antidare”, tipo: «…ti antidò i soldi che ti dovevo…» nel senso che li sto restituendo, tutti o in parte, prima della scadenza pattuita. No. E’ invece, un sostantivo “oppositivo”, se mi si passa l’azzardo. Un neologismo di fresco conio, fatto in casa ‘ad usum scribendum’ (latino maccheronico): siamo quasi a fine gennaio dell’anno II dell’era della Pandemia e già le mostre, gli eventi e gli spettacoli per celebrare i 700 anni della morte del Divin Poeta hanno preso l’abbrivio. Saranno più di cento le commemorazioni di vario tipo che nel corso dell’anno si svolgeranno in tutta la penisola, con ovvio fulcro nella Ravenna dove l’Esule chiuse la sua esistenza nel settembre, appunto, del 1321, nella notte fra il 12 e il 13, colpito da malaria, a soli cinquantasei anni; e dove riposa, nel sepolcro eretto all’interno della Basilica di San Francesco al centro di Ravenna «[…] qui dove un’antica vita si screzia in una dolce ansietà d’Oriente», come cantò Eugenio Montale. Tante le iniziative celebrative, punto scalfite dai gravi fatti di Washington, dalla crisi di governo, dal ritardo dei vaccini e dalla tragica monotonia della scansione quotidiana dei numeri degli infetti e dei morti. Sono usciti libri interessantissimi, collane in vendita in edicola, tante iniziative per ricordarlo ed onorare la sua opera, che non fu cosa da poco: Dante è unanimemente riconosciuto come il padre della lingua italiana, essendo l’autore di quella che viene riconosciuta come massima opera in lingua italiana ed una della massime opere letterarie del mondo.
Il posto di Durante di Alighiero degli Alighieri (di cui l’affettuoso, familiare ‘Dante’ è un efficace ipocoristico), rimane indiscusso ed indiscutibile, quasi incomprensibile nella sua grandezza. Ma la mia irrefrenabile, spesso suicida, vocazione aretinesca, testarda goliardica tendenza alla dissacrazione, mi spinge a fare un appello per la soverchiante ondata di retorica. Nel frattempo (lunghissimo, il frattempo, si parla di secoli…) la novità piacque e l’influenza straniera si fece sentire: i giovani istruiti e innamorati cominciarono ad usare, per stupire le damine, la nuova lingua, e ci lasciarono straordinari esempi di eleganza e di sperimentazione linguistica.
Poi arriva Dante e non ce n’è per nessuno. Da lì in poi è un fiume di scrittura, che onora e fa grande il nostro Paese. Numerosi gli affluenti, i rigagnoli, i ruscelletti che scendono dai monti o sgorgano, chiare e fresche, acque da sorgive infrattate: i mille dialetti, che nutrono e rinvigoriscono la lingua ufficiale. L’Italia s’era franta poi in mille borghi, e man mano che le province si rinchiudevano in se stesse, i comuni si separavano dagli altri comuni, e nei comuni nascevano le ‘contrade’, l’una contro l’altra – quanto meno schierata, ottusamente contraria – man mano che si passava dall’enormemente piccolo alla trascurabile frantumazione in quartieri, a “guelfi e ghibellini”, all’esilio, al “qui comando io” micro-parcellizzato, la lingua si confermava in dialetto, e di dialetti ce ne furono uno per quartiere, ricchi e poveri al contempo. I riassetti politici, i tentativi di “riunificazione” forzata, la necessità di divenire un “popolo” richiese l’uso di una lingua comune: la lingua di Dante, e il fiorentino in bocca al romano la miglior parlata. Lo stato savoiardo dopo aver distrutto e depredato il meridione d’Italia fra i mille problemi si trovò anche quello della lingua: i soldati meridionali non capivano in gran parte l’italiano e per nulla i dialetti del nord. E viceversa.
L’unificazione linguistica avvenne pian piano negli anni sessanta tra emigrazione e ben riusciti insegnamenti a distanza. La Rai, per opera di Oreste Gasperini, Alberto Manzi e Carlo Piantoni realizzò la trasmissione “Non è mai troppo tardi”, che con grande semplicità ed inimmaginabile efficacia insegnò a leggere e scrivere a milioni di italiani e permise a circa un milione e mezzo di loro la conquista della licenza elementare. Poi arrivò il Boom. Ora la Pandemia. E tutti si lamentano della DAD, che i loro nonni, magari ad avercela avuta. Nostro padre Dante, che di carattere non doveva essere tanto pacifico, da qualche parte della sua immensa costruzione, guarda e tace… Buon per noi!
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L’articolo su Dante mi ha molto divertito. Anche io ho la “mania” o “fissa” come vogliamo definirla, di ricordare date storiche, celebrare anniversari e così via.
Per dirne una, caro Tano, nel 2007 “mi misi in testa” di celebrare il 150esimo anniversario dello sbarco di Pisacane a Ponza (1857 – 2007). Fondammo un Comitato per l’occasione e mobilitammo perfino la stupenda Banda Musicale del Testaccio (di Roma) che allietò per tre giorni, ai primi di luglio di quell’anno, i ponzesi e i graditissimi ospiti. Ci fu un convegno in Piazza Pisacane cui parteciparono illustri storici e perfino il caro Gigi Proietti che recitò “La Spigolatrice di Sapri” e lesse “Il testamento” di quell’eroe sfortunato. Fu inaugurato perfino un monumento che ora fa bella mostra di sé sul piazzale di Chiaia di Luna, un annullo postale speciale … Insomma una bella celebrazione, osteggiata però dai filoborbonici ponzesi, i quali tuttora rimpiangono il loro “Franceschiello”… tanto che subito dopo quella celebrazione, organizzarono un “contro-convegno” ad hoc, proprio a Ponza!
Ciò per dire che ogni iniziativa si espone a qualche critica.
Comunque, rivangare il passato mi aiuta molto a “distrarmi” da certe “brutture” del presente e a sperare in un futuro in cui le cose positive superino quelle negative.
Per completare “il quadro” delle “amenità” sull’anniversario dantesco, segnalo il sito: https://www.facciabuco.com/idolo/dante-alighieri/
C’è veramente da divertirsi!