Ambiente e Natura

Seagull

di Silverio Guarino

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Seagull, traduzione “gabbiano”. Ma per noi era tutta un’altra cosa.
Era il nome del “fuoribordo” più rappresentativo degli anni ’60, il più economico, ma anche il più brutto e il più indistruttibile. British nella sostanza, ma molto poco British nella forma.

Descrizione tecnica: motore marino monocilindrico a due tempi, cilindro in ghisa, testa e carter della trasmissione in lega di alluminio.
Era proprio un po’ come il brutto anatroccolo, con il suo serbatoio orizzontale, di metallo lucido nero, con un “tappo” con un forellino centrale che ne permetteva lo sfiatamento. Con un imbuto si poteva riempire il serbatoio (un litro?) di miscela (al 2%?) che veniva preparata al momento, con una certa improvvisazione.

L’acceleratore era movimentato con un cordone di acciaio legato ad una levetta che poteva girare attorno ad un perno che era posizionato sul manico che fungeva da timone. Non c’era il “folle” e si partiva direttamente a presa diretta; la messa in moto era garantita da una corda che veniva letteralmente avvolta attorno ad un elemento a forma di “carrucola” orizzontale. Tirando con forza a sé la corda, facendo attenzione a che questa non ti arrivasse in faccia o addosso, il motore si metteva in moto e il “fuoribordo” cominciava a spingere l’imbarcazione; una candela ed un magnete.

Vi assicuro che il rumore non era poco, ma la spinta era molto efficace.
Ma l’aspetto ancora più curioso era il gambo del motore: un vero e proprio “tubo” di metallo che scendeva dritto in acqua, con un’elica a 5 pale, decisamente brutta ma altrettanto efficace. Raffreddamento ad acqua.

Il motore veniva legato a poppa con due morsetti e veniva anche legato con una corda alla barca per evitare che, staccandosi, potesse affondare nel mare.
Che poi… diventando quasi una leggenda metropolitana, si diceva che quand’anche fosse andato a fondo, una volta riportato in superficie, con una piccola sciacquatina in acqua dolce, si sarebbe potuto metter in moto da subito.
Come dire: immortale.

C’erano il Seagull da 2,5 5 7,5 e 12 cavalli, se non ricordo male. Tutti simili tra loro, con la sola differenza di grandezza e di peso.

Pericoloso era accostarsi al motore con le mani o con qualche altra parte di pelle, in quanto era scoperto e ci si poteva ustionare toccando la testata che era in movimento.
Per montare il motore sulle scialuppe di legno (destinate ai remi), era necessario inventarsi dei supporti a poppa dove poter mettere i morsetti.


Per spegnerlo? Bastava ridurre al minimo l’afflusso della miscela e poi con il palmo della mano chiudere l’ingresso dell’aria dal carburatore. Empirico ma efficace.

Carletto Sandolo (mio grande amico) ne possedeva uno da 2 cavalli e mezzo; sapeva farlo funzionare soltanto lui; tra un moccolo e una maledizione per metterlo in moto, con i “cicchetti” di benzina per farlo partire e con il rischio di farlo ingolfare.
Ma di candele da smontare e da pulire ce n’era una sola, per fortuna.

 

1 Comment

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  1. Biagio Vitiello

    4 Giugno 2020 at 10:58

    Anche io posseggo ancora un Seagull ma, da tempo, ho smesso di usarlo. Per due motivi: a causa della messa in moto con la cordicella che quasi sempre frustava chi mi stava vicino e per l’alimentazione che prevedeva una miscela con olio al 10%, quindi un po’ cara. Ricordo che alla banchina Mamozio c’era Silverio Feola che affittava le barche tutte con questo tipo di motore.
    Ricordo anche che, prima di questo motore, ne esisteva un altro, sempre inglese, ma a 4 tempi. Era il Lawson. Anche di questo ne posseggo uno di 3 cavalli e mezzo. Il costo era molto elevato per l’epoca ma economico nel consumo in quanto andava solo a benzina e, poi, era a 4 tempi, una novità assoluta per quegli anni.
    Ricordo che mio padre, con un serbatoio di un litro e mezzo, riusciva quasi ad andare e tornare da Zannone. Arrivava praticamente fino all’altezza dello scoglio rosso di fronte alle Grotte di Pilato. I Lawson, motori a raffreddamento ad aria, a quei tempi li avevano, oltre mio padre, il maestro Tagliamonte, il maestro di Frontone, Luigi Murolo e Silverio Mazzella (detto il Gallo)

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