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Il meglio dai media (16). Un primo bilancio: positivo

Segnalato da Tano Pirrone

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Non sono mai stato un fan dell’Elefantino, ma gli ho sempre riconosciuto l’acuta intelligenza capace di cogliere motivi ancora non palesi, prendere decisioni sgradite, scandalose, andare controcorrente, non tener conto del profitto immediato del consenso. L’articolo che introduco parla con emozione dell’Italia che pur sovraccarica di tutti i suoi difetti, ritardi, presunzioni, e priva come non mai di forze adeguate ha vinto la prima battaglia contro la pandemia. Altri, grossi, presuntuosi, tracotanti NO (in Inghilterra e negli Usa, tanto per fare un esempio). Potremmo esserne orgogliosi una volta tanto, che dite?
Tano Pirrone

Sistema che regge, paese che reagisce. L’Italia, un miracolo!
di Giuliano Ferrara

Il grande miracolo italiano infine arrivò. Decine di migliaia di morti fra i più vecchi e fragili. E non solo, sono un lutto e una fonte di dolorosa tristezza: non è andato tutto bene. Ma poteva?

Medici, farmacisti personale tecnico dei settori sensibili, volontari: chi non si è tirato indietro in molti casi ha pagato con la malattia e la vita. Squilibri, paure, terrore, perdite di identità e di reddito, solitudini bestiali, noia, spaesamento, difficoltà ad immaginare un futuro per tanti: non poteva andare tutto bene, ma quella cantilena “andrà tutto bene” è stata per contrasto un misterioso incoraggiamento ai molti che per ora ce l’hanno fatta. Al bombardamento ansiogeno delle notizie negative, ecco, ora succede il distillato di quelle appena meno negative o positive. Il sistema sanitario ha retto, tranne che negli avamposti tragici delle Rsa, e il contagio minaccioso è stato circoscritto, limitato, comincia piano piano a decrescere dopo avere risparmiato in larga misura gran parte del centro e del mezzogiorno.
Non tutto è risolto, lo sappiamo, e l’insoddisfazione circola, circolano paure nuove, l’economia è a pezzi, non ci fossero la tecnologia, e la finanza e la solida Europa saremmo con le pezze al culo peggio di quanto siamo.

Paragonate l’Italia con gli altri paesi e vedrete che il paese più debole, più esposto, più sfortunato, è risultato un nucleo unitario e resistente, un immenso gruppo popolare disciplinato e teso verso l’obiettivo, e un sistema in grado di produrre gli anticorpi della politica, delle norme, dell’informazione. Condividiamo con gli altri errori e buone scelte, ma non era detto che da noi la risorsa della conoscenza e della politica avrebbe funzionato. La catena di trasmissione del cibo ha resistito, i servizi essenziali non sono mai mancati, in generale e per la grandissima maggioranza dei cittadini, e il ciclo dell’assistenza e della carità ha fatto cose divine per alleviare la sofferenza sociale dove era più intensa e crudele. Lavoro e insegnamento a distanza hanno fatto supplenza, a scuole chiuse, a fabbriche e uffici e altri lavori in piena disdetta, gli insegnanti hanno pensato che fosse loro dovere insistere e le famiglie sono state in molti casi all’avanguardia per impedire l’annullamento del tempo dell’infanzia in un incubo oscuro e ombroso.

Non è questione di Conte, di Boccia, di Arcuri, di Gualtieri, delle task force, dei tecnici e scienziati, non è questione dei funzionari pubblici, del pigro settore bancario, del privato dimezzato e duramente colpito, il piccolo in particolare, dell’Inps o di quello che volete: è questione di sistema. Più abbiamo usato in passato quell’espressione da ludibrio: “sistema Italia”, meno ci credevamo, Sapevamo che era una pacchianata retorica abusiva, che proprio quello mancava, un sistema di raccordo tra economia, politica, istituzioni, pubblica amministrazione, sindacati, industria e finanza. Invece, miracolo!, d’un tratto il paese che siamo non si è riconosciuto nei suoi celebrati vizi nazionali, e abbiamo potuto nutrire fiducia nella nostra incapacità, come diceva Longanesi con uno dei suoi più felici calembour. Simpatie, antipatie, ribellismi, radicalismi, perfezionismi, indignazioni, ché quelle si sobbollono e evaporano in continuazione, niente può cancellare il fatto che abbiamo scelto al tempo giusto, forse bisognava anche fare prima ma ad impossibilia nemo tenetur, di confinare nell’emergenza libertà imprescrittibili nell’ordinario, e ci siamo sottomessi, sacrificando titanismi e dignità in quel momento inutili, a un regime di miseria mortificante che un conduttore cretino di una tv inglese aveva bollato da subito, imprudente e auto ritorsivo come un boomerang, come la solita pennichella all’italiana.

Qualcosa invece ha incredibilmente funzionato. Lo abbiamo sentito tutti. Anche i più riottosi a capirlo. Dalle ultime elezioni abbiamo avuto due governi di risulta, entrambi non scelti dagli elettori, soluzioni pasticciate di tipo parlamentare, legate a circostanze assolutamente eccezionali (l’inesistenza di una vera maggioranza di programma, la richiesta del Truce dei pieni poteri, il no grazie di Pd e grillini). Abbiamo la classe dirigente, salvo rare eccezioni, più inesperta e non collaudata d’Europa, un’opposizione spesso grottesca, tutto della tradizione politica e statuale italiana è stato gettato alle ortiche nei lunghi anni della demagogia antipartito e infine nella grande ondata populista e post populista. Eppure, anche con gli asini che volano, le cose hanno fondamentalmente funzionato, i fondamentali di una vita civile nell’emergenza hanno retto, si è realizzato il grado possibile di protezione e di cura di un paese lacerato dal dissenso e inibito dalla ricerca spasmodica del consenso facile. Miracolo, appunto. E sarebbe un secondo miracolo se la cosa senza partigianeria, senza vanteria, senza birignao, fosse riconosciuta, semplicemente accettata di buon auspicio.

[Di Giuliano Ferrara da Il Foglio del 15 maggio 2020]

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