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Scrivo de “la Repubblica” e rispondo a ‘Vincenzo’di Tano Pirrone . Ho letto e riletto, dopo una parca e casta pennica, un lungo e colto saggio, lungo quanto una pagina di uno – se non l’unico -quotidiano che esce ancora nel formato “lenzuolo” – l’antico formato inglese broadsheet -, scomodo da usare, soprattutto se si è da anni utenti delle edizioni online. Comode queste ultime (ti arrivano a casa appena pronte, in confezione asporto) ma asettiche. Ritaglio vignette, articoli, interi o a pezzi, smembrandoli con le comode app disponibili per conservarle o inviarle dal divano agli amici, quando il cielo è appena sbiancato ed il merlo comincia a cantare estenuate canzoni d’amore. Quale fosse il giornale e di chi fosse l’articolo lo confesserò davanti ad un piatto di pesce a Ponza – all’Oresteria, lungo la via che porta alla punta Bianca -, agli ormai affezionati personaggi che leggo ogni giorno e che spero ogni tanto mi leggano, tacendo del mio spesso ruvido effluvio. Guidato da un sesto senso innato (l’occhio cieco del Ciclope?) o dal fiuto da cane cirneco, ho acceso il mio fido e strapiatto Notebook e ho fatto balenare sullo schermo ponzaracconta.it, piazza ormai nota, in cui spesso m’attardo a leggere di morti, di nascite, di fari, di navi che tardano ad arrivare e dei generi più vari, legati tutti da un sottile filo di ragno, un fil rouge, che rosso non è, ma ha il colore della luna sul mare ponziano. Ho letto la filiera che comincia con l’articolo di Sandro e parla di la Repubblica, del cambio di proprietà (leggi qui). Sto per concludere – contento (nella mia velata tristezza) di accomunarmi ad altri, che non conosco, con cui non ho vissuto passati comuni – quando, al termine della carrellata, m’imbatto (come don Abbondio nei Bravi) nell’ultimo breve intervento di meglio non nomato Vincenzo (absit iniuria verbis). Il breve “chiusino” (provvisorio, immagino), è parso – a me ancor sonnecchiante – troppo velocemente scritto e per nulla saggiamente riletto e criticamente rivisto. Gli uomini che diedero vita al nuovo giornale “la Repubblica”, nel gennaio 1976: al centro c’è Eugenio Scalfari. Sulla sinistra (il primo in piedi) il vignettista Giorgio Forattini. Ma lei, lei sa come è nata Repubblica? …Lei sa perché è nata Repubblica? E quando e con chi l’idea si fece carta e verbo? La faccio lunga, gentile signore, perché è lunga la storia e bisogna conoscerla e comprenderla, leggerla più volte, se serve (non eravamo ai tempi di Twitter o di Facebook, per cui per scrivere e per leggere bisognava essere attrezzati); per capire… (beh, come sempre l’intelligenza non è democratica e non sempre in questo caso “uno vale uno”, ma non lo dica a Rousseau… no, non il Capo M5S… il cervello pensante, l’“uno per tutti”; …no!, neanche “il doganiere”! (****). Mi segua, per favore: parlo di Giangiak Russò, il filosofo.
Mi sto annoiando, Signore, sto cercando di rispondere con argomentazioni a frasi fatte, stantii stilemi propagandistici, idee “sempliciotte” più che semplici. Come quelli che certi giovinotte e giovinotti mitragliano davanti alle telecamere per rendere nota al colto e all’inclita “la Linea”; che è talmente confusa, complicata, che pure il Profeta Genovese sì è stufato di darla. Esco dalla comune… (che non è quella di Parigi!)
Note (*) – Mungibeddu. Mongibello. Nome dialettale (in disuso) del vulcano Etna. Composto tautologico (ripetizione dello stesso termine) di monte e gebel (in arabo, monte).
(**) – Padre Burrafato. Era un vecchio prete della Chiesa Madre di Francofonte, cui puzzava immondamente l’alito, tenendo noi ragazzi a rispettosissima distanza; come la maggior parte dei preti, aveva poca confidenza con gli scherzi, l’ilarità, le arguzie. Preso come paradigma, con affetto, perché Padre Burrafato era, al contempo, la persona più innocente che abbia conosciuto.
(***) – Gruppo 63. È una sigla di comodo dietro alla quale c’era un movimento spontaneo suscitato da una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie: opere magari anche decorose ma per lo più prive di vitalità. Furono l’ultima fiammata del neorealismo in letteratura, fioca eco populista della grande stagione cinematografica dei Rossellini e dei De Sica.
(****) – Il doganiere. Henri Julien Félix Rousseau (Laval, 1844 – Parigi, 1910), pittore, quasi “iniziatore” dello stile naïf. Detto il ‘doganiere’, per il lavoro che fece per tutta la vita nell’ufficio comunale del dazio di Parigi.
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Io caro Tano non ti do del lei, anzi mi piacciono le persone che cacciano gli attributi per difendere la loro fede. Ma caro Tano non sono stato io ha coniare il termine di “Razza Padrona”; è stato il “Fondatore” Eugenio Scalfari. Lui fin dall’inizio disse e scrisse: “che non c’è vera autonomia quando l’editore ha interessi in altri settori imprenditoriali. Che non si può giocare un ruolo realmente indipendente quando si è in qualche modo dipendenti da quel mondo di finanzieri” che bollò appunto come “razza padrona”. Era il 19 marzo 1985 l’editoriale del direttore intitolava “Mani forti sulla stampa italiana”.
È da lì che muore il sogno di una stampa indipendente. Nel ’92 in poi anche lo Stato Italiano ha perso la sua indipendenza.
Libera stampa, libero Stato, libera Europa sono sogni e rimangono tali nelle aspettative dei FONDATORI. Quel che conta oggi sono gli AFFARI e questo lo sanno anche i bambini.