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L’ora del pranzodi Silverio Guarino . Le giornate estive della nostra adolescenza erano scandite da ritmi e tempi a dir poco ripetitivi, ma che riempivano di colore la nostra vita. Tuffi, nuotate, pallavolo, tamburello. Qualche volta già con maschera, tubo e pinne a fare “snorkeling” (ma chi sapeva che si sarebbe chiamato così?), tra i massi della scogliera, sempre rigorosamente all’interno e sotto l’occhio attento dei grandi. Al momento giusto, mamma invitava me o Luisa a verificare che ora fosse, arrivando a vedere l’orologio del comune allontanandoci dalla sabbia e andando verso il lanternino. Ore 12.30: papà (all’ombra fino a quel momento per ripararsi dai dardi infuocati del sole) usciva all’aperto dal Caffè Tripoli e si dirigeva lentamente verso Il rifugio dei naviganti (dove adesso c’è Il pacchero di Rita), allora osteria di mia nonna Fortunata e di mia zia Concettina, dove si pranzava tutti i giorni. Era il segnale che era l’ora di rientrare e che nonna si preparava a calare la pasta. Senza indugio dalla spiaggia solertemente ci preparavamo al ritorno. Ricordo tanta luce ed una refola di vento che veniva da dietro casa, gonfiando le tende e che usciva dall’ingresso dell’osteria, per rinfrescare i commensali accaldati. Il “De brevitate vitae” l’avevamo già messo da parte. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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