di Emilio Iodice
– (traduzione di Silverio Lamonica)
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Al tavolo da gioco d’azzardo, non esistono padri e figli
(proverbio cinese)
Un gentiluomo è un uomo che pagherà i suoi debiti di gioco, perfino quando sa d’essere stato ingannato
(Leone Tolstoj).
E’ difficile abbandonare una mano vincente, perfino più difficile lasciare il tavolo quando stai perdendo
(Cara Bertoia).
Giocando, perdiamo sia il tempo che il nostro tesoro; due cose molto preziose per la vita di un uomo.
(Owen Feltam).
Uno sciocco e il suo denaro vengono presto separati
(Thomas Tusse)
Pensava di ottenere qualcosa dal niente; invece, da qualcosa non ha ottenuto niente
(Emilio Iodice).
Prefazione
La vita è piena di avventure, di sfide e di eventi inaspettati che tessono un mosaico di storie che definiscono chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Ogni storia ha elementi di realtà e finzione, tali da suscitare emozioni e significati, trasmettendo saggezza e comprensione. Era questo il caso della gente che proveniva dall’isola di Ponza in Italia e che aveva deciso di conquistare il Nuovo Mondo.
Per quasi un secolo le loro esistenze furono confinate in un quartiere di quattro chilometri quadrati, nel sud del Bronx che divenne noto come “Little Ponza”. Persone di ogni genere camminavano in quelle strettoie di cemento, pervase dall’aroma del caffè italiano, formaggio e pesce sotto sale. Ognuno recava con sé qualcosa di buono o di cattivo. Soprattutto, essi furono artefici di eventi e lasciarono dietro di loro leggende.
Uomini e donne comuni lottavano per sopravvivere e per allevare i propri figli. Non parlavano inglese, eppure lavoravano per sei o sette giorni alla settimana e vivevano in minuscoli appartamenti di storici caseggiati multipiano, condividendo i bagni con altre famiglie; dimoravano in stanze scarsamente illuminate, gelide o bollenti d’inverno e soffocanti d’estate.
Mandavano la loro gioventù alle scuole cattoliche. Preti e monache sembravano fari di luce, erano onorati e rispettati. L’educazione e la fede erano la chiave che avrebbe aperto le porte dell’America ai loro figli, rendendoli liberi. Negozianti, politici, uomini e donne in uniforme, dottori e avvocati, tutti facevano parte della vita di quest’oasi di New York, dove la lingua principale era “il ponzese”.
Su quei marciapiedi affollati della Little Ponza, passeggiavano uomini che indossavano vestiti pregiati con orologi d’oro e, alle dita, anelli con pietre preziose. Erano noti come “Gente che la sa lunga”. La rete capillare di Cosa Nostra Siciliana penetrò nel cuore del Sud del Bronx. Questi individui senza scrupoli, gestivano centri del vizio, abili truffatori, teppisti e bulli, con la violenza e l’omicidio. Nessuno osava sfidarli e per la gente di Little Ponza essi non esistevano, se non come decorazione del quartiere, addobbi dell’albero di Natale, coi quali non c’era alcun contatto, né si aveva nulla a che fare.
Questo mix di personaggi fa da sfondo alla nostra semplice storia, che accadde all’incirca un secolo fa. Eppure oggi il suo messaggio è reale, così come lo era allora.
***
Silverio Iodice era in piedi vicino al tavolo verde, macchiato da gocce di alcol e pieno di buchi per le bruciature provocate dalla cenere dei fumatori. In quell’aria densa e grigia del bar, maleodorante a causa delle sigarette e della birra, si respirava a malapena. Gli uomini sbuffavano, emettendo dalla bocca soffi di fumo bianco e marrone, mentre neri sigari toscani pendevano dalle loro labbra. Ai vari angoli del tavolo c’erano alcune sputacchiere.
l giovane immigrato dall’isola di Ponza, Italia, osservava il gioco e i giocatori.
Il classico “piatto” sul tavolo verde, con banconote da cento dollari e spiccioli
Guardò in faccia i suoi amici e cugini mentre erano concentrati sulle loro carte da gioco. Scrutò i loro occhi. Scorgeva nel loro cipiglio la preoccupazione, tra qualche abbozzo di sorriso, nel frattempo al centro del ring dei giocatori di poker, la pila di dollari e monete diventava sempre più alta. Ciascuno di loro lavorava nelle costruzioni nella città di New York. Parte del loro salario e dei risparmi sarebbe finito nelle tasche di altri uomini. Per ammazzare la noia, si dedicavano al gioco per ore e per giorni. Altri lo facevano per assaporare l’emozione e l’esperienza del gioco d’azzardo. Fortunatamente molti erano abbastanza accorti a spedire il denaro alle proprie mogli e familiari a Ponza, prima che l’indemoniata vita di città consumasse loro e i pochi dollari che riuscivano a guadagnare col sudore.
Ora, nel freddo inverno amaro del 1934, i luoghi di lavoro subirono una battuta d’arresto, poiché la Grande Mela si congelò a causa della neve e dell’aria gelida. Il gelo arrivò dal duro Atlantico e, con raffiche di venti impetuosi, dalle province del Canada che imbiancarono il Nord Est dell’America con bufere di neve e pioggia gelida. I marciapiedi della Little Ponza, nel sud del Bronx, erano avvolti da coltri di cristallo di ghiaccio. Falci di ghiaccio pendevano dalle finestre e dalle vie di fuga antincendio. La neve si era accatastata lungo le strade e i viali, rallentando il traffico e il trasporto merci.
I lavoratori vivevano con i loro risparmi e aspettavano la primavera per tornare ai lavori di scavo delle fondamenta e delle costruzioni dei grattacieli della città, da molti definita “Il Centro dell’Universo”.
Nel 1934 Silverio aveva 21 anni. Era venuto dalla sua isola nel 1929, arrivando nel porto di New York da solo e senza un soldo.
Sbarcò il giorno dopo il crollo della Borsa di Wall Street, che scatenò la “Grande Depressione”.
Ebbe l’effetto di una bomba ad orologeria che distrusse letteralmente l’economia americana.
La sua prima impressione della “terra del latte e miele” fu assistere a uomini che saltavano dagli edifici di Manhattan e la gente che li osservava applaudendoli.
C’erano mediatori di borsa che avevano acquistato, venduto e investito in titoli per i loro clienti che ora erano sul lastrico.
Vignetta: “Mi sembra che appena ieri ho investito in questa compagnia!
In pochi minuti, appena scoppiò il panico per la vendita delle scorte, i risparmi di una vita di una generazione furono spazzati via. I prezzi calarono così in fretta da rendere inutili gli investimenti. Miliardi di dollari di capitale svanirono. Milioni di persone persero il loro lavoro. Nel giro di alcune settimane, il mondo intero sarebbe stato trascinato nel peggiore declino economico della storia.
In coda per una zuppa calda
Per cinque lunghi anni, gli uomini di Ponza rimasero senza lavoro. L’edilizia si fermò dappertutto appena le banche chiusero i battenti, e la ricchezza evaporò con tale rapidità che dal 1931 un quarto degli americani era per le strade in cerca di lavoro.
Donna emigrante con bambini
La gente sopravviveva grazie al sussidio governativo e alle mense dei poveri. Le case furono perdute. I risparmi accumulati nel corso di decenni di fatiche, svanirono appena le istituzioni finanziarie chiusero le porte da un angolo degli Stati Uniti all’altro.
Silverio entrò a far parte del settore alimentare, sopravvisse ai colpi di scena e all’andamento dell’economia, dal momento che la gente aveva sempre bisogno di mangiare. Riuscì ad accumulare abbastanza soldi da donare la prima statua di San Silverio in America, che fu sistemata nella chiesa di Nostra Signora della Pietà nella Little Ponza.
Per sessant’anni quell’immagine del suo santo patrono, sarebbe stato il cuore delle processioni e delle celebrazioni religiose negli Stati Uniti, onorando San Silverio e la gente di Ponza che decise di realizzare, con coraggio, il sogno americano.
Lavoratori su un’impalcatura
Dal 1934 la vita migliorò. Il lavoro riprese appena il New Deal creò innumerevoli posti di occupazione in tutto il continente. Sorsero tunnel, ponti, dighe; furono create nuove strade. Nei lavori di costruzione del Centro Rockefeller a Manhattan e Jones Beach a Long Island, c’erano uomini di Ponza. Erano fresatori, escavatori, mattonatori, idraulici, carpentieri ed elettricisti. Gli operai specializzati guadagnavano oltre un dollaro all’ora. Gli scavatori di fondamenta erano pagati molto meno per il lavoro di frantumazione del terreno col piccone e la spalatura. Eppure, a quel tempo era considerato un buon salario.
Silverio, nel fissare i giocatori di poker, si rese conto che la maggior parte dei soldi guadagnati dai suoi amici e parenti di Ponza, stava svanendo in un gioco a carte. Gli ricordava una famosa partita di poker a Torre del Greco, vicino Napoli, dove il figlio di una delle famiglie più ricche di Ponza scommise i tesori di famiglia. Perse tutto. I suoi genitori morirono di crepacuore. Navi e case furono messe all’asta per pagare i debiti, tutto ciò a causa del gioco d’azzardo. Fu una tragedia ripetutasi ogniqualvolta gli uomini hanno messo il loro futuro nelle mani del destino.
Il bar era di proprietà di un ponzese, cugino di Silverio. Lo chiamavano “Blackie” a causa della sua carnagione scura, voce baritonale e brusco nei modi. Fuori dall’esercizio c’era un’insegna: Ponza Social Club – Ingresso Riservato ai Membri. Le finestre erano dipinte di nero e la porta era sempre bloccata. La polizia di quartiere non visitò mai il posto, anche se il gioco d’azzardo era vietato. Di fronte a tali vizi, le autorità si voltavano dall’altra parte, essendo state ben pagate per agire così.
La porta era munita di spioncino. Se bussavi, qualcuno dall’interno lo avrebbe aperto per vedere chi volesse entrare. Dentro c’era un lungo bancone da bar in mogano ben lucidato che, probabilmente, proveniva da un saloon del selvaggio west. Era intarsiato con pomelli e aveva un poggiapiedi in ottone.
Blakie era il barista – proprietario. Una vistosa immagine di San Silverio pendeva sulle bottiglie di whiskey, gin e distillato di segale (vodka).
Al centro c’era uno specchio, affiancato da foto del porto di Ponza coi bastimenti a vele spiegate al sole. Ai bordi vi erano appuntate cartoline postali con le immagini dell’isola. Vicino al registratore di cassa c’erano foto sbiadite di genitori e nonni, come a tenere d’occhio i profitti.
In conformità del 18° Emendamento, nessun liquore inebriante sia consentito nei locali
Per tredici anni, quel posto fu uno Speak Easy (Mescita clandestina – NdT) ) dov’erano serviti clandestinamente whiskey, birra e vino. In effetti, fin dal 1920 era in vigore il divieto di vendere alcolici.
Nel 1933, quando fu eletto Presidente Franklin Roosevelt, ci fu un cambiamento. Ora, nel saloon di Blakie la birra e i liquori scorrevano a fiumi. Di tanto in tanto, si poteva prendere un gallone del loro vino fatto in casa, ciò era consentito purché non interferisse con il consumo ed il gioco. Il proprietario prendeva pochi dollari dalla posta in gioco, mentre la partita di poker procedeva. Quel che accadeva non aveva importanza, lui vinceva sempre.
[L’anello di diamanti (1) – Continua]