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L’anello di diamanti (1)di Emilio Iodice . Al tavolo da gioco d’azzardo, non esistono padri e figli Prefazione Per quasi un secolo le loro esistenze furono confinate in un quartiere di quattro chilometri quadrati, nel sud del Bronx che divenne noto come “Little Ponza”. Persone di ogni genere camminavano in quelle strettoie di cemento, pervase dall’aroma del caffè italiano, formaggio e pesce sotto sale. Ognuno recava con sé qualcosa di buono o di cattivo. Soprattutto, essi furono artefici di eventi e lasciarono dietro di loro leggende. Su quei marciapiedi affollati della Little Ponza, passeggiavano uomini che indossavano vestiti pregiati con orologi d’oro e, alle dita, anelli con pietre preziose. Erano noti come “Gente che la sa lunga”. La rete capillare di Cosa Nostra Siciliana penetrò nel cuore del Sud del Bronx. Questi individui senza scrupoli, gestivano centri del vizio, abili truffatori, teppisti e bulli, con la violenza e l’omicidio. Nessuno osava sfidarli e per la gente di Little Ponza essi non esistevano, se non come decorazione del quartiere, addobbi dell’albero di Natale, coi quali non c’era alcun contatto, né si aveva nulla a che fare. *** Silverio Iodice era in piedi vicino al tavolo verde, macchiato da gocce di alcol e pieno di buchi per le bruciature provocate dalla cenere dei fumatori. In quell’aria densa e grigia del bar, maleodorante a causa delle sigarette e della birra, si respirava a malapena. Gli uomini sbuffavano, emettendo dalla bocca soffi di fumo bianco e marrone, mentre neri sigari toscani pendevano dalle loro labbra. Ai vari angoli del tavolo c’erano alcune sputacchiere. Il classico “piatto” sul tavolo verde, con banconote da cento dollari e spiccioli Guardò in faccia i suoi amici e cugini mentre erano concentrati sulle loro carte da gioco. Scrutò i loro occhi. Scorgeva nel loro cipiglio la preoccupazione, tra qualche abbozzo di sorriso, nel frattempo al centro del ring dei giocatori di poker, la pila di dollari e monete diventava sempre più alta. Ciascuno di loro lavorava nelle costruzioni nella città di New York. Parte del loro salario e dei risparmi sarebbe finito nelle tasche di altri uomini. Per ammazzare la noia, si dedicavano al gioco per ore e per giorni. Altri lo facevano per assaporare l’emozione e l’esperienza del gioco d’azzardo. Fortunatamente molti erano abbastanza accorti a spedire il denaro alle proprie mogli e familiari a Ponza, prima che l’indemoniata vita di città consumasse loro e i pochi dollari che riuscivano a guadagnare col sudore. Ora, nel freddo inverno amaro del 1934, i luoghi di lavoro subirono una battuta d’arresto, poiché la Grande Mela si congelò a causa della neve e dell’aria gelida. Il gelo arrivò dal duro Atlantico e, con raffiche di venti impetuosi, dalle province del Canada che imbiancarono il Nord Est dell’America con bufere di neve e pioggia gelida. I marciapiedi della Little Ponza, nel sud del Bronx, erano avvolti da coltri di cristallo di ghiaccio. Falci di ghiaccio pendevano dalle finestre e dalle vie di fuga antincendio. La neve si era accatastata lungo le strade e i viali, rallentando il traffico e il trasporto merci. I lavoratori vivevano con i loro risparmi e aspettavano la primavera per tornare ai lavori di scavo delle fondamenta e delle costruzioni dei grattacieli della città, da molti definita “Il Centro dell’Universo”. Nel 1934 Silverio aveva 21 anni. Era venuto dalla sua isola nel 1929, arrivando nel porto di New York da solo e senza un soldo. Sbarcò il giorno dopo il crollo della Borsa di Wall Street, che scatenò la “Grande Depressione”. La sua prima impressione della “terra del latte e miele” fu assistere a uomini che saltavano dagli edifici di Manhattan e la gente che li osservava applaudendoli. C’erano mediatori di borsa che avevano acquistato, venduto e investito in titoli per i loro clienti che ora erano sul lastrico. Vignetta: “Mi sembra che appena ieri ho investito in questa compagnia! In pochi minuti, appena scoppiò il panico per la vendita delle scorte, i risparmi di una vita di una generazione furono spazzati via. I prezzi calarono così in fretta da rendere inutili gli investimenti. Miliardi di dollari di capitale svanirono. Milioni di persone persero il loro lavoro. Nel giro di alcune settimane, il mondo intero sarebbe stato trascinato nel peggiore declino economico della storia. In coda per una zuppa calda Per cinque lunghi anni, gli uomini di Ponza rimasero senza lavoro. L’edilizia si fermò dappertutto appena le banche chiusero i battenti, e la ricchezza evaporò con tale rapidità che dal 1931 un quarto degli americani era per le strade in cerca di lavoro. Donna emigrante con bambini La gente sopravviveva grazie al sussidio governativo e alle mense dei poveri. Le case furono perdute. I risparmi accumulati nel corso di decenni di fatiche, svanirono appena le istituzioni finanziarie chiusero le porte da un angolo degli Stati Uniti all’altro. Silverio entrò a far parte del settore alimentare, sopravvisse ai colpi di scena e all’andamento dell’economia, dal momento che la gente aveva sempre bisogno di mangiare. Riuscì ad accumulare abbastanza soldi da donare la prima statua di San Silverio in America, che fu sistemata nella chiesa di Nostra Signora della Pietà nella Little Ponza. Lavoratori su un’impalcatura Dal 1934 la vita migliorò. Il lavoro riprese appena il New Deal creò innumerevoli posti di occupazione in tutto il continente. Sorsero tunnel, ponti, dighe; furono create nuove strade. Nei lavori di costruzione del Centro Rockefeller a Manhattan e Jones Beach a Long Island, c’erano uomini di Ponza. Erano fresatori, escavatori, mattonatori, idraulici, carpentieri ed elettricisti. Gli operai specializzati guadagnavano oltre un dollaro all’ora. Gli scavatori di fondamenta erano pagati molto meno per il lavoro di frantumazione del terreno col piccone e la spalatura. Eppure, a quel tempo era considerato un buon salario. Silverio, nel fissare i giocatori di poker, si rese conto che la maggior parte dei soldi guadagnati dai suoi amici e parenti di Ponza, stava svanendo in un gioco a carte. Gli ricordava una famosa partita di poker a Torre del Greco, vicino Napoli, dove il figlio di una delle famiglie più ricche di Ponza scommise i tesori di famiglia. Perse tutto. I suoi genitori morirono di crepacuore. Navi e case furono messe all’asta per pagare i debiti, tutto ciò a causa del gioco d’azzardo. Fu una tragedia ripetutasi ogniqualvolta gli uomini hanno messo il loro futuro nelle mani del destino. Il bar era di proprietà di un ponzese, cugino di Silverio. Lo chiamavano “Blackie” a causa della sua carnagione scura, voce baritonale e brusco nei modi. Fuori dall’esercizio c’era un’insegna: Ponza Social Club – Ingresso Riservato ai Membri. Le finestre erano dipinte di nero e la porta era sempre bloccata. La polizia di quartiere non visitò mai il posto, anche se il gioco d’azzardo era vietato. Di fronte a tali vizi, le autorità si voltavano dall’altra parte, essendo state ben pagate per agire così. La porta era munita di spioncino. Se bussavi, qualcuno dall’interno lo avrebbe aperto per vedere chi volesse entrare. Dentro c’era un lungo bancone da bar in mogano ben lucidato che, probabilmente, proveniva da un saloon del selvaggio west. Era intarsiato con pomelli e aveva un poggiapiedi in ottone. Al centro c’era uno specchio, affiancato da foto del porto di Ponza coi bastimenti a vele spiegate al sole. Ai bordi vi erano appuntate cartoline postali con le immagini dell’isola. Vicino al registratore di cassa c’erano foto sbiadite di genitori e nonni, come a tenere d’occhio i profitti. In conformità del 18° Emendamento, nessun liquore inebriante sia consentito nei locali Per tredici anni, quel posto fu uno Speak Easy (Mescita clandestina – NdT) ) dov’erano serviti clandestinamente whiskey, birra e vino. In effetti, fin dal 1920 era in vigore il divieto di vendere alcolici. [L’anello di diamanti (1) – Continua] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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