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Il colosso di Rodi, ovvero le immagini del nulla (1). 1) I doveri e i diritti A me piace esternare il mio pensiero soprattutto attraverso simboli, metafore e allegorie: come dire sono un semplice “esternatore” che, guardandosi intorno, constata ciò che lo circonda. Ognuno di noi, guardandosi dentro e soprattutto con un po’ di pazienza, potrebbe autodefinirsi: narratore, scrittore, poeta, filosofo, storico oppure presuntuoso, civile, arrogante, timido ed altro e, all’occorrenza anche imbecille e cretino specialmente quando o non riesce a raggiungere un obiettivo, sebbene semplice, oppure commette errori banali, oppure si accorge di aver litigato per stupidaggini. Solo dopo aver espletato i propri doveri, si possono accampare i diritti. Pare, invece, che il dovere non appartenga mai a noi ma sempre agli altri o a qualcosa che sta al di fuori di noi; che a noi spetti soltanto il diritto. Tra le tante cose, invece, che gironzolano intorno come zanzare punzecchianti, la prima cosa che colpisce colui che scrive è che, nonostante si viva nel XXI secolo, si cerchi ancora qualcuno che, dall’alto, abbia il dovere di porgerci qualcosa e soprattutto ciò che vogliamo. È un retaggio antico. Credo, invece, come fanno alcuni piccoli di uccelli, che ognuno di noi abbia il dovere di beccare, dal basso, sotto il collo del genitore per far rigurgitare il cibo: ne va della vita! Così come è antico retaggio pensare che la colpa dei padri debba ricadere sui figli: il padre o il congiunto ha una sua identità, il figlio ne ha un’altra. A meno che la colpa non sia collegata ad ambedue. Perché se così fosse, in caso contrario, dovrebbero essere esaltati gli uni e gli altri. Di norma non serve lavarsi le mani dopo che si è entrati e si è usciti da una cabina elettorale. Gli eletti e soprattutto gli elettori dovrebbero agire come se ci fosse una campagna elettorale permanente. Ognuno, pertanto, dovrebbe essere costantemente in ascolto delle esigenze degli altri ed anche dei luoghi, perché anch’essi parlano o per meglio dire sussurrano. Ognuno dovrebbe, quindi, da una parte camminare tra la gente oltrepassando lo steccato del proprio orticello, dall’altra dovrebbe passeggiare ma lentamente, in mezzo ai luoghi. Meglio da solo perché i luoghi non sanno gridare, non sanno essere appariscenti, non hanno la capacità di fermare o di ostacolare del tutto le grinfie dell’uomo. Come l’onda marina, insinuandosi tra gli scogli, gorgoglia e borbotta negli incavi così i luoghi sanno soltanto parlottare; sanno sussurrare come le fronde degli alberi; sanno mormorare come l’acqua che fuoriesce dalla roccia e scivola nei ruscelli. Ascoltare gli uomini ed i luoghi fa bene allo spirito. Di conseguenza, così come accade sovente durante la campagna elettorale, bisognerebbe spesso esternare – anche e perché no davanti ad una pizza -, il proprio pensiero e ascoltare quello degli altri perché ciò corrobora la mente, fortifica lo spirito e soprattutto lo rinfranca perché ci si accorge che non si è da soli.
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