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Thalatta, tra isole e terre sconosciute fonte di vita e veicolo di cultura per i naviganti di Pithecussaidi Isabella Marino
Pubblichiamo l’articolo che ci è stato segnalato in Redazione, ripreso integralmente da www.quischia.it Giungevano sempre dal mare. Guidati dal sole e dalle stelle verso l’isola accogliente. Approdo sicuro prima di altre partenze e di altri arrivi. Luogo dì incontro, di contatto e di scambio con altri popoli, altri usi, altre culture. Senza porsi limiti, oltre quelli frapposti dalla natura, che pure cercavano di superare. Il loro contributo all’evoluzione culturale delle popolazioni del mondo antico le isole cominciarono a darlo fin dal V millennio a.C., quando genti venute dal mare cominciarono a considerarle luoghi favorevoli per insediarsi. Dal 1500 a.C. furono i Micenei a fare base sulle isole del golfo, da cui interagirono con altre civiltà. A fissare le tappe di un percorso snodatosi attraverso i millenni sono i reperti, da cui l’archeologia attinge le informazioni e i riferimenti necessari alle sue ricostruzioni. E dunque la cosiddetta Coppa di Exekias (il ceramista che l’ha firmata), conservata a Monaco di Baviera, accompagna alla grande barca a vela nera che giganteggia nel mare rosso la figura di Dioniso, sdraiato a bordo. A raccontare storie di naviganti nell’antichità contribuiscono due straordinari reperti pithecusani. Uno di essi, il meno noto, anzi misconosciuto ai più, è il frammento di un cratere di produzione locale databile alla fine dell’VIII secolo a.C. All’esterno ha una decorazione a farfalla o a doppia ascia tipica della ceramica corinzia. Ma ciò che lo rende speciale è l’incisione all’interno che raffigura la costellazione Bootes, citata da Esiodo ne “Le opere e i giorni” perché i marinai la seguivano durante la navigazione e i coltivatori per la potatura delle viti. Dal cratere di Bootes al cratere del naufragio, altro pezzo di enorme pregio del patrimonio storico-archeologico della nostra isola che, ritrovano nella necropoli di San Montano, non faceva parte però di uno specifico corredo funerario. Altri riferimenti alla tradizione marinara dei pithecusani si trovano nel corredo della tomba 1087, che comprende ami e pesi per la pesca a tramaglio, conosciuta e praticata già 2700 anni fa. E ci sono poi le barche della Stipe di Pastola, oggetti votivi sacrificati alla dea Era, venerata come divinità della buona navigazione anche in Eubea, nel santuario di Perakora. E poi c’è il corredo della cosiddetta Fattoria di Punta Chiarito, dove è stato ritrovato un set da banchetto con tutti gli oggetti utilizzati per mescere il vino durante il simposio, oltre ad oggetti per la pesca, tra cui ami e pesi per le reti. Ma chi erano allora gli abitanti di quella casa, peraltro inserita in un comprensorio con altre abitazioni? Semplici contadini, ricchi proprietari che lì avevano la casa di campagna o altro? Per don Pietro Monti poteva trattarsi di pirati e quegli oggetti di lusso potevano essere il bottino di atti di pirateria. Che erano piuttosto usuali nel mondo antico, dove tutti i marinai assalivano le navi ostili per impadronirsi del loro carico. La pirateria era parte integrante di un’economia di sussistenza, che sfruttava tutte le risorse possibili sia a terra che a mare. L’epoca ellenistica vide un forte incremento dei rapporti con la Spagna, che già nell’VIII secolo intratteneva relazioni commerciali con trovata a Pithecussai, testimoniato dalla ceramica isolana ritrovata a Huelva. All’epoca ellenistica appartiene la ceramica spagnola – ampuritana e “sombreros de capas” – soprattutto recipienti per trasportare il miele. E sempre con la Spagna intratteneva rapporti commerciali Aenaria, attraverso la plumbaria di Gneo Atellio che importava i metalli da lavorare dalla Penisola iberica. Ancora in età romana l’isola è un riferimento importante nella rete dei commerci via mare che ha il suo fulcro nel porto di Pozzuoli, il porto di Roma, tra i principali scali del Mare Nostrum. Dove fervono non solo gli scambi commerciali, ma anche quelli culturali tra Roma e le popolazioni rivierasche. Un ruolo, quello di Aenaria, che sta ancora emergendo dalla ricerca archeologica in corso in questi ultimi anni. Purtuttavia, è già evidente quanto la cultura è stata centrale nel rapporto tra gli isolani e il mare nelle diverse epoche storiche, nell’antichità. Mare che ha unito, oltre ogni differenza e particolarità. Mare che ha facilitato contatti, relazioni, conoscenza. Mare che ha realizzato sogni e donato opportunità. Oltre ogni barriera. Guidati dal sole e dalle stelle verso vecchi e nuovi approdi.
Immagini: da www.quischia.it Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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