Ambiente e Natura

I sentimenti degli animali

di Silverio Guarino

 

L’“homo sapiens” ha a disposizione, oltre ai movimenti del corpo, i muscoli del volto, le parole e la tonalità della voce (ognuna diversa dall’altra), per esprimere i propri sentimenti. Senza dimenticare le lacrime, sua prerogativa.
Sentimenti di rabbia, di amore, di piacere, di dolore, di gioia.

I quadrupedi un po’ di meno; scodinzolii della coda e mugolii per esprimere il piacere; orecchie spianate e peli arruffati per la paura; denti digrignanti per l’aggressività. Ogni animale, con il verso (uguale per ogni specie) che la natura ha concesso alle sue corde vocali, riesce a manifestare i suoi sentimenti, con variazioni che di volta in volta esprimono gioia, rabbia, dolore, piacere. No lacrime. Modificando l’intensità, la durata e la ripetitività del suono emesso dalla loro bocca.

I volatili sono a-mimici e non manifestano sul loro viso i sentimenti che li governano; il solo timbro della loro voce (uguale per ogni specie) può modificarsi, per manifestare stati d’animo quali la paura, la gioia, il dolore, la felicità. No lacrime.

Gli abitanti delle acque non solo sono a-mimici, ma anche completamente muti (tranne rare eccezioni). Non riescono a esprimere nessuno stato d’animo. Nascono, vivono e muoiono senza manifestare alcun sentimento. No lacrime (e come si potrebbero vedere nel mare o nei laghi e fiumi?). Quasi lo stesso concetto per i rettili.

Ora, provate a colpire un uomo, un cane, un uccello o un pesce.
Proverete emozioni diversissime fra di loro, proprio per questa graduale e costante riduzione del loro modo di manifestare la paura, il dolore e il terrore.

Sentirete i lamenti dell’uomo e del cane, dell’uomo vedrete anche le lacrime; dell’uccello solo lo stridio del loro verso e la scomparsa del battito delle ali; del pesce non vi accorgerete di nulla: a-mimico e muto in ogni caso.

Forse è anche perché non si sentono i loro lamenti che è meno impegnativo colpire un pesce o un uccello, piuttosto che un cane o un uomo.

Se gli uccelli potessero gridare il loro dolore e così anche i pesci, forse saremmo tutti un po’ più miti e comprensivi. Anche perché le orecchie non hanno palpebre e saremmo obbligati a sentire tutto, anche non volendolo, mentre gli occhi li possiamo chiudere come e quando vogliamo.

 

Aggiornamento del 16 luglio
Adriano Madonna invia la foto di un polpo ad illustrazione del suo commento:

 

5 Comments

5 Comments

  1. Sandro Russo

    14 Luglio 2017 at 00:41

    Grazie Silverio per il tuo scritto che ho trovato molto stimolante per diversi aspetti. Ho un paio di commenti da fare.
    A proposito della violenza che gli uomini fanno alla natura (caccia e pesca “sportiva” incluse) riportavo tempo fa un episodio raccontato da Enzo Maiorca in uno dei suoi libri (leggi qui).
    Il che mi porta a suggerire un’altra modalità con cui i pesci (afasici) esprimono i propri sentimenti, la paura per esempio: il battito forsennato del cuore dell’animale sotto la mano che il pescatore aveva allungato nella tana della cernia!

    Ad una mini-Conferenza tenuta a Ponza da Adriano Madonna (nella sala dell’ex-Scuola Media) con la presentazione di foto e argomenti sui cambiamenti in atto nel Mediterraneo, ricordai questo episodio e chiesi appunto al professore se per passare da pescatore subacqueo a studioso degli organismi marini avesse avuto una “folgorazione” simile a quella di Maiorca.
    La sua risposta mi deluse un po’ perché disse un pesce sparato si mangia una volta sola, mentre se lo lasci vivere e ti segnali il posto puoi andarlo a rivedere (o a studiare) tutte le volte che vuoi. Molto pratico, ma mi era piaciuta di più la “conversione” alla Maiorca come ho sentito raccontare da alcuni cacciatori. Fulco Pratesi per esempio, prima che gli occorresse un certo episodio…
    “« …Tanti anni fa io ero un cacciatore. Un giorno, mentre mi trovavo a caccia di orsi nei boschi della Turchia, ho assistito ad una scena che mi ha cambiato la vita: un’orsa con i suoi tre cuccioli, a pochi metri da me. In una manciata di secondi ho capito che stavo facendo una follia. Sono tornato in Italia, ho venduto i fucili e, con un gruppo di amici appassionati di natura, ho fondato il WWF Italia. (…)”.

    L’altro commento una prossima volta.

  2. Sandro Russo

    14 Luglio 2017 at 15:05

    Una scimmia che singhiozza e piange prima di morire.
    E’ il secondo commento che volevo aggiungere al bell’articolo di Silverio, non per confutarlo, semmai per arricchirlo.
    Non so se sia vero: è a metà tra la vita e la letteratura, ma è stato scritto, e colpisce al cuore!

    Nella prima scena del libro Albero di fumo (Tree of Smoke), un romanzo di guerra del 2007; 727 pp.; Mondadori ed. 2010), fluviale capolavoro sulla guerra del Vietnam dello scrittore statunitense Denis Johnson – c’è un giovane marinaio diciottenne di nome Bill Houston che si aggira sbronzo e annoiato nella giungla di un’isola filippina, imbracciando un fucile calibro 22. Improvvisamente si imbatte in una scimmia. Senza pensarci mira e spara, colpendo l’animale alla schiena…
    La scimmia cade dolcemente. Il marinaio, sconvolto, si avvicina e la prende in braccio come un bimbo:
    «Si accorse, dapprima rapito, poi orripilato, che l’animale stava piangendo. Aveva il respiro rotto dai singhiozzi e le lacrime gli sgorgavano dagli occhi a ogni battito di palpebre. Guardava qua e là senza mostrare un particolare interesse per il marinaio.
    “Ehi” disse Houston, ma la scimmia non pote’ sentirlo. Mentre la teneva in braccio, il suo cuore cessò di battere. Houston la scrollò, ma capì che era inutile. Ebbe la sensazione di essere colpevole di tutto».

  3. Biagio Vitiello

    15 Luglio 2017 at 08:08

    Caro Sandro
    Ho letto con interesse la tua seconda risposta all’articolo di Silverio Guarino.
    Io credo che l’autore del libro che citi, scriva cose un po’ inventate. E sai perché? Un cacciatore serio non entrerebbe in una foresta tropicale con un fucile di piccolo calibro come il 22. Mi domando, cosa voleva cacciare con questo calibro? Non penso che sia andato a caccia di scimmie! Ho sempre saputo che solo gli indigeni si cibano di carne di scimmia (io non sarei mai capace di uccidere una scimmia!).
    E pertanto penso che sia un racconto un pò inventato, ma è solo la mia opinione.

  4. Adriano Madonna

    15 Luglio 2017 at 13:34

    Conosco molto bene il racconto di Enzo Maiorca e del cuore della cernia che sentì battere terrorizzato sotto la sua mano: fu, infatti, il tema di una delle sue rubriche, tanti, tanti anni fa, quando ero redattore del periodico “Il Subacqueo”, e, come tale, tra i miei incarichi c’era anche quello di ripassare i pezzi dei collaboratori e farli entrare negli spazi previsti per l’impaginazione.
    L’aneddoto, lo ricordo, mi toccò profondamente, poi Enzo (eravamo molto amici) ebbe modo di raccontarmelo di persona, e ci mise tutta l’anima, come era sua abitudine quando raccontava. In verità, io non ho mai avuto modo di fare un’esperienza simile, quando ero cacciatore subacqueo, quindi più di 50 anni fa.
    Ma mi è accaduto dell’altro: ad esempio, ricordo che un giorno capitai su un fondale roccioso pieno di buchi e anfrattuosità e in ognuno di questi c’era un polpo morente. Feci allora l’ipotesi che i polpi, come gli elefanti, vadano a morire in luoghi particolari e infatti laggiù ce n’erano centinaia: le loro carni erano stracci privi di forza, ma i loro occhi, molto rossi, mi guardavano con un’espressione che mai più dimenticherò, quando mi affacciavo alle tane e le illuminavo con la lampada. “Il cimitero dei polpi” mi commosse e quando mi capita di parlarne, come adesso, lo faccio sempre volentieri.
    Con questo voglio dire che se un pesce mi può fare pena, un polpo mi dà sensazioni forti, perché mi sembra che con quei suoi occhi terribilmente espressivi riesca a comunicare molto di più, specialmente quando è vicino alla morte. Nonostante sia un mollusco e non un vertebrato, quindi filogeneticamente abbastanza più lontano da Homo sapiens, mostra delle assonanze molto simili a quelle umane. Ciò non avviene con nessun altro philum di animali marini, tranne che con i mammiferi (delfini, balene, otarie etc.) e con rettili come le tartarughe marine, i cui occhi parlano addirittura.

  5. Adriano Madonna

    16 Luglio 2017 at 09:09

    Invio la foto di un polpo ad illustrazione del mio commento.

    Annessa all’articolo di base, a cura della Redazione

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