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I moti della terra e del cuoredi Gabriella Nardacci
In questi giorni ho ritenuto doveroso e rispettoso stare in silenzio e vicina a tutte quelle persone che hanno perso i propri cari e la propria casa nel brutto terremoto che ha colpito le regioni appenniniche del centro Italia. Stanze sventrate e appese a qualche brandello di muro, peluche tra i sassi e tetti sull’asfalto spaccato: uno scenario che ricorda vecchi filmati di città distrutte dalle guerre o dalla violenza di altri elementi della natura. Qualcuno avrà fatto la lista della spesa per l’indomani, altri avranno pulito tutta la casa per gli ospiti che sarebbero venuti in occasione della festa, altri ancora avranno fatto dei progetti… La disperazione non ha età né razza e neanche è facile da spiegare. E’ un po’ come la mancanza: si può solo percepire. E poi i funerali con la pioggia …che già è tristissimo con il sole un funerale… La prima scossa è stata la più forte! Sentir tremare forte quella casa che aveva rappresentato fino allora un rifugio sicuro, di certo, avrà fatto sobbalzare il cuore! Si pensa ai propri cari… I superstiti aguzzano la vista e l’udito. Piangendo chiamano forte… qualcuno risponde e partono gli aiuti per la salvezza. I cani amici annusano e abbaiano e i vigili del fuoco con i volontari, con mani esperte riescono a trovare alcuni bimbi vivi, altri che non ce l’hanno fatta e cominciano a contarsi i morti. Certo sì, sono tanti… forse si poteva evitare questo scempio se solo le case fossero state costruite a regola d’arte e meno male che la scuola era chiusa mentre, a guardia di un cimitero di case, sta quella vecchia torre che pare si regga sulle lancette dell’orologio che segnano le ore 3 e 36… Le autorità dello Stato dicono che i soldi ci sono e che la ricostruzione avverrà nel più breve tempo possibile. Intanto si allestiscono le tendopoli ed si spera che non diventino permanenti. Siamo nelle zone appenniniche e lì, l’inverno è rigido; la neve potrebbe scendere anche prima di Natale… E’ tutta una speranza ora… I paesi colpiti e abbattuti, torneranno in vita con le stesse strade e le stesse piazze ma certi discorsi delle donne affacciate alle finestre sono rimasti a metà così come le rivincite a scopa dei nonni nei tavolini davanti al bar… Certo la storia rimane, le radici saranno le stesse ed io spero che i nuovi muri e tetti, regalino al cuore di chi li abiterà, una tenera consolazione.
Certamente tornare in tenda su strade polverose con il sole e di fango con la pioggia, non è una gran cosa. Forse persone dello sport e dello spettacolo avrebbero potuto fare donazioni sostanziose… Forse un po’ più di partecipazione da parte di chi può… E a proposito di questo mi è venuta in mente una poesia di Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto 1888 – Milano 1970) che ben si adatta a questo sfacelo che ne ricorda altri e che ricorda la guerra.
San Martino del Carso Mi è parsa una poesia capace di riflette davvero i sentimenti di tante persone. Due fatti mi son sembrati poetici, teneri, positivi: tre vasi di gerani rossi, rigogliosi e belli, in un balcone appeso a un muro. Sono certa che se qualcuno è rimasto di quella casa si sarà preoccupato di salvarli per curarli ancora e poi portarli nella nuova abitazione… Tra le macerie è stato celebrato, a cielo aperto, il matrimonio di una ragazza nella data prestabilita. Quella ragazza ha pensato di salvare il suo abito da sposa… Bellissima immagine… Un nuovo stato, un nuovo tempo e magari dei nuovi nati in un paese nuovo più forte e sicuro per regalare a tutti la speranza in un domani migliore. Nessuna retorica… Spero di aver interpretato i sentimenti di molte persone. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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