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Zattere…
Ancora oggi le zattere sono utilizzate, in molte parti del mondo, per la pesca e il trasporto. E’ comunque sempre un mezzo per muoversi sull’acqua molto rudimentale, ma proprio per questo l’unico e il solo che molte popolazioni povere si possono permettere.
Le immagini che seguono mostrano l’impiego delle zattere, con varie finalità, presso molti popoli nel mondo.
La costruzione di una zattera di salvataggio
Pesca con il cormorano da una semplicissima zattera sul fiume Li, a Guilin (Cina)
Cina, Yangshou. Una zattera double face: giunta a terra, si trasforma in banco di vendita, con facilità di trasporto su ruota; gruppo elettrogeno al seguito
Zattera di bamboo, in Bangladesh
Si possono incontrare di legno leggero o di bambù, lungo i fiumi della Malesia o su quelli del Borneo; altre grandi e solide, munite di tettoia a capanna. Numerose sono le zattere indocinesi con vele triangolari e remi di forma europea e interessante è, in Cina, la zattera concava a quattro remi con vela rettangolare.
Costruite ancor oggi in gran numero sono le zattere americane, ingombre di ceste e attrezzature varie per la pesca mentre sul Rio Grande s’incontrano lunghi zatterini di bambù con i turisti seduti a poppa mentre un uomo manovra, sul davanti, una lunga pertica tra la vegetazione lussureggiante.
Ancora semplicissime e primitive, sono le zattere usate in Kenia, formate da cinque tronchi corti e tozzi. A queste zattere è richiesto soltanto il requisito della galleggiabilità.
Zattere tra le rapide del rio delle Amazzoni, nel film “Aguirre, furore di Dio”, di Werner Herzog del 1972, interpretato da Klaus Kinski
Tipica imbarcazione singalese (qui nella laguna di Negombo), con scafo molto sottile, bilanciere e vela quadra
Fin qui ho presentato una “sfilata” di zattere, molto sintetica e mi piace chiuderla nominando anche quei lunghi treni di zattere sul fiume Ogouè, nel Gabon, che trasportano il legno pregiato delle foreste dell’interno verso il mare. Sono zattere lunghissime e su di esse vengono costruite le capanne per i boscaioli che devono mantenere il convoglio sul filo della corrente.
Movimentazione dei tronchi sul fiume Ogoué in Gabon (immagine dal sito sottoindicato)
Per una interessante trattazione etnografica sulle zattere, dalla preistoria a oggi, leggi qui
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Ma non si può parlare di zattere senza ricordare l’antropologo, archeologo e scrittore norvegese Thor Heyerdahl (1914-2002), che con l’impresa del Kon Tiki nel 1947 dimostrò la possibilità della colonizzazione della Polinesia da parte delle popolazioni del Sud America, mediante l’impiego di una semplice zattera del legno più leggero che ci sia: quello di balsa (Ochroma pyramidale). Il tragitto compiuto fu di 4300 miglia marine.
Kon Tiki 1947. Expedition across the Pacific
Sempre di Heyerdahl sono le due spedizioni successive del RA (1969) e del RA II (1970), imbarcazioni più che zattere; in papiro la prima, secondo le tecniche costruttive degli antichi Egizi) e in giunco il RA II (costruita dalle popolazioni native del lago Titicaca, tra la Bolivia e il Perù) al fine di dimostrare la fattibilità tecnica, già nell’antichità, di viaggi dal vecchio verso il nuovo mondo.
L’imbarcazione RA II, presso il Museo Kon Tiki di Oslo
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“Mantenere il convoglio sul filo della corrente…”. E’ sempre una questione di equilibrio, non c’è alcun dubbio.
Certamente la ricerca di un equilibrio interiore, è cosa ardua e lunga e a volte non basta una vita intera. E’ però anche un cammino sorprendente che ci si sbalordisce per le tante cose si sono tralasciate e che con lo sguardo della maturità occorre invece guardare più attentamente e in ogni dettaglio.
Bisogna partire dal riconoscere i vecchi schemi, presenti nella parte più primitiva del nostro cervello e cambiarli, imparando a riflettere prima di agire ad esempio o andare avanti – anche con difficoltà – senza scoraggiarsi, valorizzando i piccoli passi fatti. Accettare anche i propri limiti ma con la forza di rialzarsi e di continuare ad andare avanti con lo sguardo diritto verso la meta.
Quando poi la spinta va oltre la visione materialista dell’esistenza, allora i passi saranno da gigante e si arriverà alla conquista dell’autostima: solo allora, secondo me, si riuscirà a star bene con gli altri ma anche con se stessi e la solitudine non farà più paura.
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Pi, il personaggio della storia da cui siamo partiti, ha sperimentato ogni cosa. Nel viaggio verso l’isola si sono svegliati in lui gli istinti primitivi mentre in quello di ritorno è animato da una più forte e alta spinta, spirituale si può dire, che lo riporta nel mondo delle relazioni inter-umane.
Si sente forte della capacità che ha avuto nel superare gli ostacoli e l’autostima che ne ha tratto gli permetterà la realizzazione di sé. Che cosa gli importa se qualcuno penserà che la storia che lui racconta può essere falsa?
A me stessa rispondo che forse sopra l’equilibrio di Pi c’era un Dio ma sotto, senza ombra di dubbio, una ‘solida’ zattera…