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Natale: festa delle zeppole, dei turtanielli col vino cotto, del sanguinaccio.
Nonna Tummetella ha già fatto l’impasto in un capiente recipiente: ‘na scafarea; lo ha coperto con molte e pesanti coperte, ha messo nelle vicinanze ‘nu’ rasiere. Verso le tre del mattino si alza e si mette a friggere. Nell’oscurità sento battere il pendolo.
Non riesco a stare nel lettone, anche perché, nonostante le pesantissime coperte, all’improvviso è diventato freddo. Annuso il buon odore che proviene dalla piccola cucina. Seguo lui ed il piccolo fascio di luce del lume a petrolio che si insinua tra le assi della porta che la mette in comunicazione con la stanza attigua.
Li seguo scalzo o, per meglio dire, avendo ai piedi le calze di lana, piuttosto ruvide, che nonna ha confezionato, sferruzzando, seduta su una cassa, sotto la finestra della stanza. Sentendo aprire la porta, nonna si gira e mi apostrofa: Uagliò, vatténne a durmi’, fa fridd’!.
Ma Cardogna, il volpino, fa festa: scodinzola senza abbaiare come se volesse indurmi ad essere complice ed io volentieri accetto il suo “gioco”; benché assonnato,infatti, strofinandomi leggermente gli avambracci, mi avvicino al focolare.
Nonna, vedendo che il suo ordine è stato disatteso, velocemente prende una scialletta e me la pone sulle spalle, unendola, sul davanti, con una spilla da balia; poi riprende il suo “lavoro”.
Con molta maestria, alza la pasta bianca, filante e la fa cadere nell’olio bollente. Intorno alla pasta si formano, immediatamente, una miriade di bollicine.
Quasi contenta, si gonfia assumendo forme un po’ strane: una pancia gonfia con punte più scure sui lati. La vota pesce esegue egregiamente il suo dovere: solleva la “pancia” e la pone delicatamente in un piatto. Immediatamente una manina si allunga, afferra quella piccola pagnotta, prendendola, tra l’indice ed il pollice, da una di quelle punte e la fa rimbalzare da un palmo all’altro per poi portarla alla bocca; prima soffiandoci sopra, poi soffiando nella bocca stessa mentre la schiaccia sotto i denti. Il caldo scottante che produce le bolle sotto il palato, non riesce a vincere sulla gola! Nonna mi guarda e dice: “Nepo’, aspetta, mo’ ce mett’ u’ zucchero”.
– Ma che zùccher e zùccher! Quelle sono belle calde e morbide! Mettono all’interno un tepore che rallegra non solo lo stomaco ma anche e soprattutto l’animo.
Un leggero vapore acqueo inumidisce e rende opachi i vetri della finestrella. Con la mano faccio un piccolo varco e schiaccio il naso contro il vetro.
E’ Natale: il freddo è relegato fuori, sulla bianca “curteglia”.
Il buio avvolge la notte scura e le case colorate. Un cane abbaia ad una piccola falce sognante, rivolta a ponente che si accompagna a stelle ancora vive e tremolanti sulla cima del Pagliaro.
Qualche gallo, forse infastidito, si è svegliato e risponde a modo suo alla voce della notte. Nessun’altro risponde.
Ritorno al caldo buono che permea le bianchi pareti, gli assi di legno, ‘u scalandrone” che porta ‘ncopp ‘u mezzanino”.
Un tepore soffuso si spande dappertutto. Ascolto in silenzio la serenità dall’animo e mi attraversa un brivido contento.
Spiriti e “munacielli” restano fuori e, infreddoliti, vanno a trovare riparo in qualche grotta. Non me ne curo.
Mi tiene compagnia Cardogna; scodinzola contento e mi guarda piegando or di qua or di là il piccolo capo. Gli lancio un pezzetto di pasta fritta e lui tenta di prenderlo a volo. A volte vi riesce con un sordo rumore di denti, a volte no, ma immediatamente lo raggiunge e lo mastica avidamente, poi, contento, ritorna a raccogliere le mie carezze.
Zio Aniello tarda a scendere dal “mezzanino assonnato”. Preferisce crogiolare nel letto; non è ancora l’ora di uscire con la pecora: è presto.
Quando cestini e piatti sono colmi, nonna spande lo zucchero, dove più dove meno, a seconda a chi devono essere portati; poi, ancora buio, esce e scende le bianche scale d’a curteglia” per andare ad accudire gli animali mentre io, non senza qualche sbadiglio, mi rifugio di nuovo sotto le pesanti coltri.
Mi giro e mi rigiro, non riesco a dormire. Quando sento che zio Aniello scende le scale dello scalandrone, mi riaffaccio nella stanza attigua. Mi accoglie con un largo sorriso e mi chiede se voglio andare con lui nella grotta della pecora. Nonna è già rientrata dalle sue mansioni e sul tavolo troneggia una fetta di panettone. Accanto a questa c’è colei che attira immediatamente la mia attenzione: la mostarda. E’ lei la causa del mio diniego alla richiesta dello zio. Ho dato la mia priorità. Tralascio la mastodontica fetta di panettone, che sembra voler primeggiare, per addentare quel minuto quadratino. La pasta, anche se non più morbida, cede sotto la forza dei denti.
Nonna mi avverte: Nun te ne mangià assaie: te fanne venì u’ mal e’ panz’.
Ve ne sono parecchi di quei quadratini, ma per me sono sempre pochi. Comunque qualcuno di quelli si intrufola in una tasca dei pantaloni. Non ne lascio nemmeno uno. Nonna lo sa, per questo ne ha messi soltanto una certa quantità. Gli altri li tiene ben riposti in una cassa. Ormai è giorno e, con la prima “mappatella”, mi avvio verso casa.
A casa di zia Sabettina, che sta sulla destra, nella prima curva dei Conti che piega a sinistra nella discesa, trovo sempre i turtanielli c’u vine cuott’ e non manca mai il “sanguinaccio”. Labbra e mento si colorano di rosso scuro. Mi inzacchero le mani anche se zia, per i turtanielli, mi raccomanda di usare la forchetta.
Al termine dell’inzaccheramento, zia mi dà un’altra mappatella e mi raccomanda di fare attenzione mentre cammino per la strada sconnessa. Non so se quella raccomandazione era per me o per ciò che portavo! Fatto sta che cercavo di far arrivare il tutto a casa integro. Se, infatti, “per puro caso” qualcosa non fosse arrivata “integra”, anche l’altra parte avrebbe dovuto temere per la sua integrità!
I mezzi a disposizione di Babbo Natale, per giungere dal lontano Nord, sono ancora del tutto inadeguati: la slitta è ancora sgangherata a causa del recente conflitto mondiale; per la mancanza di cibo, dovuta al medesimo conflitto, le renne sono denutrite, scheletriche e quindi troppo stanche. Il Vecchio non può adoperare neppure altri mezzi di trasporto perché le navi non possono che essere alcuni vecchi bastimenti di legno che, trasportando merce indispensabile per l’uomo, non hanno posto per i “ fronzoli” dei bambini né possono essere utilizzate le vecchie, spartane e malconce “liberty” , molto insicure e molto lente nel cammino. Qualche marinaio, però, per amore del proprio bimbo riesce a riporre in un angoletto uno di questi “ fronzoli” e già assapora la gioia e vede riflessa nei propri occhi la luce degli occhi del suo bimbo. Gli aerei, poi, sono piuttosto piccoli per tutti i regali che dovrebbero trasportare per accontentare tutti i bambini del mondo ed inoltre non sono ancora affidabili per il prezioso carico.
Detto per inciso, ancora oggi, purtroppo, in molte zone del mondo questi velivoli non possono né atterrare – perché non esistono colà piste di atterraggio neppure polverose – né possono paracadutare i piccoli regali perché essi o si perdono nel deserto oppure non riescono a raggiungere il terreno a causa di alberi altissimi e contorti che, imbrigliando nelle folte chiome i pacchi, impediscono alla piccole mani di stringere sul cuore queste realtà sognate. Sarebbe auspicabile, a mio avviso, che elicotteri “Apache” invece di distribuire per il mondo quel carico che tutti conosciamo, distribuissero un lampo di gioia nei piccoli occhi spalancati, atterrando ai margini di questa foresta; sottraendo, quindi, ad essa la capacità di arraffare ciò che non le appartiene.
Il povero vecchio, quindi, deve restare ancora lì, al freddo, in attesa degli eventi. Al suo posto arriva la Befana che, essendo povera, ha gli abiti a brandelli; volando, poi, su una scopa – mezzo non certo ampio e capiente – con un sacco rattoppato, non può far altro che offrire poche cose: qualche caramella, qualche cioccolatino, surrogato, e qualche pastetta.
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[Il Natale di Pasquale.(1) – Continua]