di Lino Catello Pagano
Cicerenella teneva ’nu culo / Ca pareva ’nu cufanaturo
[Cicerenella: canzone popolare del ’700, con numerose varianti]
Per mia nonna il giorno di bucato era una giornata importante: non guardava in faccia nessuno, dava ordini come un comandante di nave; mia mamma e mia zia erano i marinai, eseguivano senza discutere. Abitavamo dove ora vivono i miei cugini, era una grande casa e lì si abitava assieme agli zii e ai cugini; io vivevo con la mia adorata nonna, mentre mia mamma e mio padre vivevano nella casa di Chiaia di Luna.
Sveglia prestissimo e tutti giù dai letti, le lenzuola e le federe erano da lavare, di roba da lavare ce n’era e pure tanta. Le donne si mettevano di lena a riscaldare l’acqua con un fuoco di pennecilli (i sarmenti delle viti – Ndr) nel pentolone di rame, preparavano le bagnarole con l’asse di legno, scanalato apposta per lavare – ti ci consumavi le dita -, si mettevano fuori, vicino alla cisterna d’acqua, dove il secchio saliva e scendeva alla velocità della luce e noi bambini rompevamo le scatole; qualche volta volava pure lo schiaffo, zitti e con la coda fra le gambe andavamo a giocare sotto l’albero di gelso con l’altalena, costruita dal nonno per farci star buoni.
S’iniziava: mia madre era addetta a lavare lenzuola, la nonna la biancheria più delicata, e mia zia a tirare acqua dalla piscina; si aiutavano quando dovevano strizzare, una girava a destra e l’altra a sinistra, si ammucchiava quando tutto era lavato, si prendeva ’u cufanature (*), si metteva sopra uno sgabello, si tappava con cura e si cominciava a sistemare le lenzuola.
La nonna dava ordini, essendo la più vecchia: i panni bianchi, lavati, venivano accatastati uno sopra l’altro con simmetrica precisione, perché se si sbagliava non entravano i chierchie ’i legn’, che servivano a mantenere il panno di tela grezzo a mo’ di copertura, con il bordo per mettere la lisciva fatta di sapone di Marsiglia e cenere setacciata. Il rito si compiva quando il composto bollente veniva versato sopra il panno e scendeva solo il liquido, mentre i residui di cenere venivano trattenuti dal panno di tela grezzo. Si lasciava lì tutto il giorno e la notte; l’indomani era un altro giorno di fatica: si tirava via il panno con la cenere, si tirava il tappo e si recuperava l’acqua di lisciva, le lenzuola venivano risciacquate in acqua fresca due volte, strizzate bene e sistemate dint’ i cunchetelle, dopodichè si andava a stendere.
Precedentemente il nonno aveva tirato una fune lunghissima lunga quanto ’a catena ’i terra, cu’ i furcine per tenere tutto su.
Era spettacolare: queste lenzuola che andavano al vento, di un bianco persino fastidioso per il riverbero che creavano…
La nonna ci diceva di stare lontani dal bucato… e noi subito obbedivamo, giocando a nascondino tra un lenzuolo e l’altro. Qualche volta arrivava la cutuliata, era tipo bastoncino fine lungo e flessibile (da cùtulo, il nome dialettale del pioppo – NdR), faceva un male bestiale, solo così noi bambini riuscivamo a capire quanta fatica le donne avevano fatto per lavare tutta quella roba; e, se una cutuliata non bastava, quando si rientrava ci davano anche il resto…
Il sole aiutava molto e in un attimo era tutto asciutto – altro che le asciugatrici moderne -, per tenerci buoni la nonna ci diceva di prendere ’u canist cu’ i cannole, così avremmo aiutato le “lavandaie” a recuperare tutte le mollette da terra.
Recuperato tutto il bucato, veniva il momento della stiratura.
Avevamo due ferri a carbone che d’inverno venivano usati come scaldaletto; le donne preparavano la carbonella fatta dal nonno con i rami delle viti e delle potature varie, riempivano i ferri e con mano veloce facevano la stiratura, in due piegavano e la terza continuava a stirare senza perdere il ritmo, un paio d’ore e tutto era in ordine. Ho ancora nelle narici il profumo dei panni stirati di allora, sistemati nei comò, contro le tarme mettevano le foglie di alloro e spicandossa (Lavanda spica, Fam. Lamiaceae – NdR).
Quando mettevano le lenzuola pulite nel letto, ti accorgevi dal profumo che emanavano qualcosa di speciale.
Ricordo che con l’acqua di lisciva le donne si lavavano i capelli, li rendeva forti e lucidi, infatti avevano delle capigliature meravigliose mia madre e mia nonna e mia zia, avevano i capelli lunghissimi e una aiutava l’altra ad intrecciarli e a fare ’u tuppiss’ …
Ricordi meravigliosi di bambini.
(*) Nota – Il cufanaturo è parente, etimologicamente, del cuófano, cesto di legno fatto da assicelle di castagno intrecciate, dalla forma semisferica, dotato di due manici, adoperato dai muratori e dai contadini per il trasporto a spalla.
Lino Catello Pagano