Dai Farnese ai Borboni
dal libro di Ernesto Prudente
“Biografia di un Paese”
Nel 1541 il papa Paolo III° regalò al proprio nipote, cardinale Alessandro Farnese, le isole ponziane perché si adoperasse “affinché l’isola e il porto di Ponza non siano il ricettacolo e la dimora di pirati e di altri ladroni del mare che depredano i lidi marittimi fino alle foci del Tevere”. Il cardinale Alessandro Farnese, a sua volta, diede le isole in enfiteusi al proprio padre, Pier Luigi Farnese, duca di Parma. Nel documento di trasmissione della proprietà si legge: “Perpetua censuazione delle isole e del monistero a favore del duca Farnese, coi legittimi discendenti mascolini; obbligato il censuario a fare per colonia riabitare con le altre la stessa Ponza; munire la preesistente Torre, restaurare il porto e fortificarlo, ed ogni altra novità necessaria per allontanare da detti luoghi il ricovero di pirati; nonché di potervi trar vantaggio dalle cave di pietre, miniere di argilla, vetro di rocca, salnitro, rame oro e argento; come pure fare scavi per antiche statue, immagini e cose preziose, che senza dubbio vi sono sepolte; similmente ogni diritto per la pesca sul mare di coralli e pesci; caccia di volatili”.
Gli eredi di Pier Luigi Farnese dimostrarono poco impegno nel presidiare le isole che rimasero covo dei pirati.
La proprietà delle isole passò nelle mani dei vari eredi Farnese fino a giungere ad Elisabetta, ultima del ramo.
Elisabetta sposò nel 1715 Filippo V° di Borbone, re di Spagna. Della sua dote personale, oltre al Ducato di Parma, fecero parte anche le isole ponziane. Ciò sollevò le ire della Chiesa che pretendeva di rientrarne in possesso per l’enfiteusi concessa dal papa Farnese (Paolo III) al nipote cardinale Alessandro che imponeva il passaggio della proprietà agli eredi: “solo maschi e legittimamente discendenti per via mascolina”.
Un guazzabuglio difficile da districare tanto che intervennero diverse potenze europee. Nacquero intrighi di ogni genere per accaparrarsi e assicurarsi alleanze e domini. Il fatto certo è che le isole rimasero ad Elisabetta e che, dal suo matrimonio con il re di Spagna, ebbe due figli: Carlo e Filippo. Quando il primogenito divenne re di Napoli con il nome di Carlo III° ebbe dalla mamma tutti i cespiti farnesiani comprese le isole ponziane.
L’arcipelago faceva parte del patrimonio privato del re.
Siamo ai nostri trisavoli. Infatti re Carlo nel 1734 inviò a Ponza un gruppo di famiglie ischitane per la colonizzazione dell’isola. Sbarcarono gli Scotti, i Conti, i Tagliamonte, gli Albano, i Mazzella, i Migliaccio, gli Onorato, i Sabatino, i Sasso, i Califano, i Guarnieri, i Coppa, i Cuomo, i Mattera, i Curcio, i Colonna, i Patalano, i D’Atri, i D’Arco, I De Sio, i Galano, I Cimino, i Califano, i Cuomo.
Essi si impiantarono nella parte centromeridionale dell’isola, dalla Rotonda della Madonna ai Conti, intorno al vecchio porto romano, prendendo possesso delle varie grotte già scavate da cui ricavarono le loro abitazioni.
La nuova Ponza non nacque come luogo di deportazione. Lo divenne poi quando sbarcarono le maestranze per eseguire i lavori di costruzione del porto, della Chiesa, degli edifici necessari per l’alloggiamento della truppa, occorrente per la difesa del territorio, degli uffici pubblici, delle fortificazioni e dei caseggiati per chi ancora era senza casa.
Le maestranze erano state prese dalle patrie galere ed erano sottoposte a severe pene disciplinari.
Nel 1772 giunse a Ponza un altro scaglione di famiglie che presero possesso della parte nord-occidentale dell’isola, l’attuale Le Forna. Erano i Vitiello, i Sandolo, i Romano, i Morlè, i Rivieccio, i Di Giovanni, gli Aprea, i Balzano, gli Avellino, i Di Meglio, i Feola, gli Iodice.
Questo secondo gruppo di famiglie proveniva da Torre del Greco.
Le due comunità etniche erano differenti per usi, costumi e parlata.
In questo periodo vennero fatti imponenti lavori: il porto venne costruito sull’antico porto romano e a monte del porto vennero costruiti tutti i caseggiati che si affacciano su via Pisacane, che allora venne chiamato Corso Farnese. Questa strada è opera di quel periodo come lo furono la Via del Corridoio e più in alto Via Parata e Corso Umberto. E a quel periodo appartiene l’attuale Piazza Pisacane che per portarla al livello attuale venne riempita di terra dopo aver eretto il muro che è l’attuale balconata. Quel muro come quelli di tutte le opere che formano la parte corona del porto, dal torrione del Lanternino al caseggiato soprastante la scalinata che dalla banchina porta in Piazza Gaetano Vitiello, hanno le loro basi sulla roccia che è stata messa recentemente allo scoperto durante i lavori della rete fognante. Le pietre usate sono di basalto. Scardinarle è un problema serissimo.
I lavori si svilupparono su progettazione dell’ing. del Genio Antonio Whinspeare coadiuvato dall’ing. Franesco Carpi.
Nell’immagine in evidenza si può vedere la pianta del progetto, della parte storica dell’isola, quella che va dalla Dragonara alla Rotonda della Madonna. Detta pianta è conservata nell’Archivio storico di Napoli.
Vennero costruiti bastioni e fortificazioni per la difesa dell’isola, i locali per la guarnigione militare e per gli uffici che sono quelli attualmente occupati dalle Forze armate che stazionano sull’isola.
Venne costruita anche la Chiesa con il cenobio.
Vennero realizzate tutte quelle strutture di cui noi, oggi, a circa trecento anni, ne abbiamo il godimento. Penso che il ponzese abbia il diritto di poter dire: “Meno male che ci sono stati i Borboni”!
Molte di queste opere sono state erette su antiche costruzioni romane per cui è facile ritenere che oggetti artistici di valore storico-archeologico, appartenenti a quel periodo, sia stati asportati e portati a Napoli o finiti nelle mani di privati. Hamilton, ambasciatore inglese a Napoli, docet.
Il terreno, incolto, boscoso o boschivo, venne ripartito e confinato tra i colonizzatori. Ognuno diventò proprietario di un appezzamento di terreno, ben distinto, secondo la consistenza familiare. Essi lo dissodarono e lo trasformarono in terreno di coltura.
Venne tracciata e aperta la strada Ponza centro-Le Forna che, attraversando Santa Maria, passava per i Conti e proseguiva fino a Campo Inglese da dove scendeva per Le Forna. Il tratto fino a Campo Inglese è ancora usato mentre il restante tragitto èin buona parte scomparso nella macchia che cresce a sua volontà.
L’attuale strada camionabile, la provinciale Ponza centro –Le Forna, è stata realizzata nel 1926 dopo alcuni anni di lavoro. Essa, dopo la galleria di Santa Maria, venne innestata al troncone realizzato dai romani e a cui avevano dato il nome di Via Circea che venne tramutato in Via Nuova.
Una curiosità: la galleria scavata dai romani, nell’ultimo tratto verso Giancos, aveva l’uscita verso il mare ancora oggi ben visibile sia all’esterno che all’interno del traforo. Nell’ultima sistemazione, iniziata nel 1924, si procedette a rendere rettilineo il condotto sotterraneo scavando il tratto di immissione, proveniente dalla zona portuale, di circa cinquanta metri.
Ernesto Prudente