di Renzo Russo
Aspettavo la fine della scuola con impazienza, perché sapevo che per tre mesi avrei vissuto a Ponza in totale libertà.
Forse definirla totale libertà è un po’ esagerato, in quanto mia madre mi affidava alle amorevoli cure delle sue due sorelle, zia Olga e zia Rosaria, che, forse perché senza figli e caricate di tanta responsabilità, riversavano su di me tutte le loro attenzioni e paure.
Però, rispetto alla vita piatta e monotona che trascorrevo a Cassino per nove mesi, arrivare a Ponza rappresentava una felicità enorme. Sapevo che oltre ai nonni e alle zie avrei trovato anche Antonio, l’amico di sempre.
Renzo e Antonio a Chiaia di Luna, nei mitici anni ’60
Lo definisco così, perché non ricordo il momento in cui ci siamo realmente conosciuti – forse non c’è mai stato – ma abitavamo talmente vicini che mi è sembrato di conoscerlo da sempre, come crescere con un fratello. Anzi, rispetto al mio vero fratello Sandro, di sette anni più grande di me e con il suo giro di amici, con Antonio eravamo quasi coetanei.
Da destra: Renzo e Sandro Russo e Antonio De Luca, sulla spiaggia di Sant’Antonio
I nostri caratteri, però, erano molto diversi: tanto io ero riflessivo e giudizioso, quasi noioso, tanto Antonio era istintivo e irruento. Ma forse proprio per questo andavamo d’accordo, come a completarci, rendendo un po’ più frizzante la mia indole e un po’ più mansueta la sua.
Dal giorno seguente al mio arrivo iniziava per me la nuova vita: la mattina bagno a Sant’Antonio, che ancora non era il deposito di barche e gommoni di adesso, oppure se Antonio poteva prendere la barca dello zio, andavamo a fare il bagno oltre Frontone o verso la Scarrupata.
Il pomeriggio, se riuscivo ad eludere l’ordine tassativo delle zie di non uscire durante la “controra”, ci ritrovavamo sulla spiaggia di Sant’Antonio per giocare a pallone con gli altri amici. Tra il sudore e la sabbia, tornavo su a casa simile a una cotoletta, e lì iniziavano i rimproveri delle zie misti al borotalco per asciugare il sudore e far staccare la sabbia. Sarà per questo motivo che ora, il solo odore del borotalco mi dà la nausea…
Le partite sulla spiaggia culminavano con epiche sfide con la squadra di Le Forna.
Il fatto è che Antonio, da sempre tifoso del Milan, forse per aver chiamato la sua squadra “A. C. Gianni Rivera”, era riuscito a farsi mandare da qualche ricco Milan Club, un set completo di divise da gioco, bianche con una fascia diagonale rossonera sulla maglietta.
Io mi ero autoescluso per manifesta incapacità calcistica, unico caso di “oriundo” a non trovare posto in una squadra italiana, ma non volevo gravare con la mia inconsistenza sportiva sulla già difficile trasferta. E già, perché di trasferta si trattava… Si giocava, infatti, sul campo di Cala Caparra, poco più che una pietraia, ma dalle dimensioni quasi regolari.
La squadra avversaria, a vederla da fuori una vera e propria Armata Brancaleone per la promiscuità nell’abbigliamento, era capitanata da un ragazzo grande e grosso, forse anche di qualche anno più grande di Antonio e i suoi compagni, dal nome che già metteva soggezione: U’ Russ’.
La sua struttura fisica, probabilmente, derivava da anni di pesca per mare.
In realtà era lui l’uomo-squadra, il lider maximo, essendo gli altri già più alla portata di Antonio & C., salvo “u’ frat’ d’u’ Russ”, anch’egli molto robusto, solo di qualche taglia più piccolo del fratello, ma altrettanto aggressivo e calcisticamente motivato.
Non ricordo l’esito finale di quella prima sfida, perché altre ne seguirono e tutte con risultati tutt’altro che scontati, perché non valeva sul campo la disparità di abbigliamento tra le due squadre.
***
Tornando alla vita quotidiana di noi ragazzi nel periodo tra i 10 e i 15 anni, ricordo con simpatia le accese dispute con Antonio per decidere come andare a pescare.
Io, da buon mezzo-cittadino, proponevo sempre di andare alla punta del molo o al massimo su una paranza a pescare con la cannella; Antonio questo tipo di pesca lo odiava e ne proponeva, invece, altre che, ora da adulto, definirei sicuramente più autentiche e adatte allo spirito libero che Ponza trasmetteva.
La pesca da lui preferita era quella ‘a pperchie, ma presupponeva la sveglia all’alba e la fatica di raggiungere lo Scoglio Rosso o Le Formiche a remi, senza considerare la strenua opposizione delle zie, che vedevano ogni iniziativa di Antonio come sicura fonte di pericolo.
Un’altra pesca che lui spesso proponeva era quella ‘a màrmul’, con il catino smaltato legato alla vita tramite uno spago per tenere la lenza e le esche; pesca in cui eccelleva Ninando, nostro vicino di casa. Pescare in questo modo andava bene anche alle zie, perché si praticava sulla spiaggia di Sant’Antonio con l’acqua alla cintola e potevano controllarmi facilmente dalla terrazza. Era, però, una pesca un po’ noiosa e non sempre i risultati erano soddisfacenti.
Un metodo che invece metteva tutti e due d’accordo era quella c’u’ buccaccie, versione infantile della pesca con le nasse. Consisteva in un banale barattolo di vetro, la cui apertura era chiusa da una pezza bianca bloccata e tesa da un elastico, su cui praticavamo un foro di un 2-3 centimetri di diametro. Bastava metterci dentro un po’ di farina, riempirlo di acqua di mare, agitarlo per rendere il tutto torbido e lasciarlo 1-2 minuti in mezzo metro d’acqua. Quando allo scadere del tempo, con azione rapida andavamo a tirarlo su, trovavamo sempre vari cefali all’interno e la soddisfazione era garantita.
Crescendo, poi, i nostri interessi per la pesca progredirono insieme a noi. Antonio aveva ricevuto dal nonno una rete ancora pienamente efficiente, così la mattina all’alba partivamo con la sua barca a remi e andavamo a ‘calarle’ oltre Frontone. Dopo qualche ora trascorsa a fare il bagno, tornavamo sul posto e con nostro stupore tiravamo su piccoli scorfani di scoglio, seppie e altre varietà di pesci.
Foto in barca, già più che adolescenti: Renzo con Antonio De Luca (che pulisce dei ricci di mare). Al centro, il fratello di Antonio, Mariano
Un’altra volta partimmo alcuni giorni per Palmarola insieme ad altri amici, sempre con la barca di Antonio, ma stavolta con un motore da quattro cavalli e mezzo…!
Gli altri erano più autonomi, ma io riuscii a strappare l’autorizzazione dalle zie solo grazie alla presenza di Silverio Guarino, di parecchi anni più grande di noi, che si era unito al nostro gruppo perché amante della pesca e perché curioso di condividere con noi quei giorni insieme. Facevamo pesca subacquea e la sera ci nutrivamo con i pesci pescati durante il giorno. Dormivamo nelle grotte scavate nella roccia e fu un’esperienza indimenticabile!
Ripensando ora a quei momenti felici, rivedo nitidamente tutti quegli episodi che rimarranno sempre nei ricordi della mia adolescenza trascorsa a Ponza e ringrazio Antonio di aver condiviso con me quel periodo.
Purtroppo l’estate non durava in eterno e mi toccava ripartire per Cassino con l’idea di ritornare l’anno seguente a godere di nuovo di quella libertà che solo Ponza, con la complicità di Antonio, riusciva a darmi.
Renzo Russo
[Quei mitici anni ’60 …e oltre (1) – Continua]