Mastuppaolo abitava dove oggi c’è il negozio “Ferramenta Laddomada”. Sulla stessa fiancata della strada c’ era una tabaccheria il cui proprietario abitava nelle stanze sovrastanti. Casa e bottega insomma. La qual cosa aveva pregi e difetti; uno di questi ultimi era il fatto che anche in orario di chiusura qualcuno esigeva le sigarette.
Così avvenne che Mastuppaolo, prima di mettersi a desinare s’accorse che era privo dei sigari. In un batter d’occhio bussò al ‘Tabacchi’ per procurarseli. Il titolare, già vicino alla tavola, con contrarietà si alzò per aprire a Mastuppaolo che gli chiese due sigari.
L’altro prese lo scatolo coi sigari. Mastuppaolo vide che quelli rimasti erano sbriciolati e sfatti: “Prendimi quelli nuovi…” , insistette.
L’altro ancor più infastidito prese uno scatolo nuovo, lo aprì, tagliò il cordoncino che avvolgeva il mazzetto dei sigari; poi si rivolse al paesano dicendo: “Piglia… t’ aggio scassato u’ mazzo vecino a te”
Mastuppaolo prese i due sigari e se ne andò. Ma l’espressione non la digerì. Ritornò sui suoi passi, entrò nel negozio e rivolto all’altro disse: “Dammene n’ati duie da u’ mazzo scassato ca tiene!”
La fonte è Luigi Ambrosino, riportato da Franco De Luca