da “Isole e acque”
1977
Poesie
di Tommaso Lamonica
dedicate a Ponza
Trittico ponziano
Curvo sull’ umido solco
in una balza del Fieno
all’umile lavoro
il contadino è intento.
Si staglia contro la muriccia
come un tronco contorto
che pare voglia
alla terra ritornare.
E’ debole la sua vista
e non può scorgere
presso Palmarola
il fratello che affida
la sua vita ad un guscio
sulle onde del mare viola
che non è sempre placido
che a volte è troppo avaro
nei suoi doni
Tuttavia non siete soli:
nella miniera a Le Forna
dove è sempre notte fonda
e la vita malsicura
suda un altro fratello
fra bentonite e caolino
umile come voi
e come voi tenace
nel suo lavoro.
Acquarello
Occhi di cielo
cesii limpidi
fra bambagie
di nuvole rosa
si sgranano
sulle spiagge
sulle case
sulle colline
che dal mare
si elevano
variopinte
luminose.
Ponza circea
densa di colori
che nelle cale
dolcemente
si disfano!
Bianche vele
danzano
sullo specchio
dell’acqua
silenziose
farfalle
di sogno.
L’universo in Te
In quel pittoresco colle della Guardia
ci sono i colli di tutto il mondo.
In quella sovrastante torre borbonica
ci sono le torri di tutto il mondo.
Il quel cimitero aggruppato si terrazze
ci sono i cimiteri di tutto il mondo.
In quel sicuro porto lillipuziano
ci sono i porti di tutto il mondo.
In quella poca terra entro le coste varie
ci sono le terre di tutto il mondo.
In quel mare azzurro e verde di ogni gamma
ci sono i mari di tutto il mondo….
In te c’è l’universo intero,
o Ponza, perla del Tirreno.
Le Forna
Spesso venni a vivere
le miti albe di maggio
nella tua giocondità georgica,
Le Forna, sponda opposta
e genuina di Ponza.
L’astro diurno, a quell’ora,
i colli appena ti indora
e il mare è una festa splendente
di calìe di oro e di argento.
Prima che allo zenit sia dell’isola
si trattiene l’ombrìa,
nemica ai volatili di passo,
fra le macchie basse
di dirupi e anfratti
da Treventi a Forte Papa,
sicché l’aria talora
echeggia lugubremente
ai latrati di segugi
e ai colpi micidiali
di cacciatori in agguato.
Chiaia di Luna
O Chiaia di Luna
seno di mare ermo e falcato,
nelle acque tue limpide
i sogni dei nostri cuori si specchiano
e tu li culli
con il lene murmure
delle onde.
La parete a picco
levigata a varia del colle
come in preziosa aliòtide
il nostro amore custodisce e voi,
mare arenile
passeri nel vespero
canori.
E’ arcana malìa
tra intense fragranze marine
in tanta solitudine
lasciar librarsi nell’azzurro immenso
del desiderio
di essere un solo essere,
mia Traude.
Frontone
Suoni colori ombre !
Crocidanti stormi
di albi gabbiani
volteggiano pazienti
fissi al mare.
Frulli di uccelletti fuggenti
fra le ginestre ed i pinastri
delle aspre rocce
come i giochi di chiaroscuri
fra i bassifondi scogliosi.
Cuore di Ponza
e dell’esistenza mia,
irresistibilmente a te mi reco
nelle aurore della primavera
e mi materio
di serenità.
Canicola nel porto
Remeggia e plana adagio
un gabbiano
ampiamente rotando
e scrive
una storia occulta
in ghirigori fugaci
sull’abbagliante
specchio di acqua del porto
silente e statico.
E’ l’aria
un tremulo luccichìo
ascensionale
che abbarbaglia gli occhi.
E’ negli orecchi
un incessante ronzìo
come di api in bugno.
Gli scogli distanti
e Gavi, Zannone….
dileguano fra i vapori
in riflessi perlati.
Sempre più vanescente
diventa la natura
sempre più fugace
come i ghirigori
del gabbiano.
Moto di vita
tu lanciavi, o mio fratello
appena settenne,
piatti ciottoli dalla riva
sulla superficie tranquilla
del mare di Giancos
ed esperto ne traevi
eleganti rimbalzelli
e il plauso degli astanti.
Adesso navighi lunghe rotte
sui vasti oceani
ufficiale di macchina ventenne
e continui quel prorompente
moto di vita
fra momenti di pausa.
Compagno di viaggio
Veniva da lontano
ora alzandosi ora abbassandosi
per sfruttare il gioco delle correnti
con le piccole trepide ali.
Volava quasi in gara con la nave.
A volte si calava tanto
che sembrava fosse sul punto
di cadere in mare stremato.
Ne tremavo nell’ intimo.
All’ improvviso si levò più in alto
del fumaiolo e sorvolò la nave.
D’ istinto puntò diritto all’ isoletta
di Palmarola che appariva
nitida e non lontana a destra.
– E’ un usignolo ! – disse mio cugino
che mi sedeva accanto
su un sedile sopra coperta
– E speriamo che non trovi ad accoglierlo
una qualche trappola ! –