Politica

“Perché sono ancora antifascista”: le risposte di Michele Serra ai lettori

segnalato da Sandro Russo

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Personalmente e su questo sito teniamo in gran conto le opinioni di Michele Serra; nel corso degli anni abbiamo spesso pubblicato suoi scritti – folgoranti quasi-epigrammi -, di solito ripresi dalla sua rubrica “L’amaca” da Repubblica; in qualche rara occasione ci ha anche risposto, esprimendoci simpatia e ricordando una sua vacanza a Ponza.
Per il resto mi riconosco completamente nella sua vicenda culturale e politica, con piccole negligibili differenze: sono di sette anni più anziano di lui, non sono mai stato iscritto al PCI né mai tentato da cariche politiche, ma ho sempre votato “a sinistra”. Infine una perla che ho appreso leggendo questo pezzo. Anche io ho avuto un padre (anche lui prigioniero in Africa) che pur dicendo di essere “socialista” votava per Malagodi; per questo sono stato sempre sfottuto dai miei compagni di Liceo: “Lasciatelo perdere, che quello è liberale!”.
Mi fa piacere riportare questi suoi recentissimi scritti, con le risposte alle lettere di alcuni lettori, dall’ultimo
“Venerdì” di Repubblica (del 2 febbraio 2024).

Michele Serra: perché sono ancora antifascista. Al cubo
di Michele Serra – Da il Venerdì di Repubblica del 2 febbraio 2024

PER POSTA: le risposte ai lettori del Venerdì. «La prima volta che vidi Mussolini in tv chiesi a mio padre: ma chi è quel matto?»

Caro Serra,
non mi liquidi come un nostalgico: sono un boomer del ‘61 che ha conosciuto il fascismo grazie ai racconti del nonno materno e per una passione coltivata sui libri, da Renzo De Felice in giù; non ho votato Meloni (ma il duo Calenda-Renzi, povero me) e detesto le frange estreme alla sua destra. Nessuna nostalgia quindi, ma una certa insofferenza per i giudizi lapidari come il suo («il saluto romano mi fa schifo» eccetera). Mussolini non è caduto dal cielo come nello stupido film di qualche anno fa e il fascismo si iscrive a pieno titolo nella nostra storia unitaria di cui non rappresenta che una fase inevitabile, con una patina di cialtroneria non più spessa di quella dell’Italietta che l’ha preceduto e di quella che costella diversi momenti dell’epoca repubblicana (sublimata ad esempio dalle connivenze della classe dirigente con le mafie ed i terroristi di entrambi i colori).
Solo orrore per le leggi razziali e l’alleanza suicida con Hitler, ma non dimenticando che guerre d’aggressione sono state dichiarate, oltre che dalle più solide democrazie occidentali, anche da nazioni dominate dell’ideologia comunista, in nome della quale Togliatti ed eredi hanno giustificato i peggiori crimini. Odiose discriminazioni razziali sono state mantenute negli Stati Uniti ben oltre la metà del secolo scorso, ma sembrano dimenticate. Insomma, giudichiamo la nostra storia con obiettività, senza vergognarcene.
Stefano – Vercelli

La risposta di Michele Serra
Caro Stefano,
è un tema grande come il Novecento, rispondere in poche righe è un’impresa disperata ma ci provo. Non credo che il fascismo sia stato una fase “inevitabile” della storia italiana. È stata una risposta violenta e locale ai moti socialisti e poi comunisti di inizio secolo, ben foraggiata da agrari e industriali.
Ha potuto prevalere per la grande gracilità della nostra borghesia, incapace di costruire, come in Francia, un’idea di Nazione laica e democratica. Dovremmo qui risalire, forse, al micidiale impedimento, in funzione anti-moderna, costituito dal secolare potere temporale della Chiesa, ma devo essere breve. Al netto della grande fatica ideologica che tutti condividiamo, il confine tra democrazia e dittatura, tra libertà e costrizione, mi sembra ancora molto chiaro. Prima e dopo il fascismo l’Italia è stata una democrazia, con tutti i suoi evidenti limiti. Durante il ventennio no, e tanto basta per dirmi antifascista.
Di più, e forse di peggio, c’è la “forma” specifica del fascismo. La sua etica e la sua estetica. Il mito grottesco dell’Impero, la retorica bellica e ginnica, la virilità da parata, la boria di cartapesta, e su tutto il mascherone tragicomico del Duce. La prima volta che lo vidi in televisione non la dimenticherò mai. Avrò avuto dieci anni. Gigioneggiava, mani sui fianchi, fez in testa, petto in fuori, sguardo roteante. In quegli anni si era abituati alle meste grisaglie e ai pallori dimessi dei democristiani. Chiesi a mio padre: ma chi è quel matto? (testuale) Mio padre (cinque anni di guerra alle spalle, tre anni di prigionia in Africa) allargò le braccia e mi rispose: purtroppo è Mussolini. Come per dire: incredibile ma vero, è da lui che è dipeso il mio destino e quello del mio Paese. E mio padre non era certo di sinistra: votava Malagodi, che era un po’ il Calenda dell’epoca. Caro Stefano, le mie due scuole di formazione (la borghesia liberale nella quale sono nato, il partito della classe operaia, il Pci, nel quale mi sono formato) sono entrambe sconfitte. Ha stravinto la piccola borghesia massificata che fu l’ossatura sociale del fascismo ed è la base elettorale della nuova destra. Sempre tenendo fede alla spericolata sintesi che mi sono ripromesso: io sono dunque doppiamente antifascista, lo sono al cubo. Come borghese e come ex comunista. Le lettere che seguono, tutte dedicate al tema, dimostrano comunque che non solo il solo a preoccuparmene.

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Andare a votare pensando ai partigiani
Caro Michele,
dal 1943 al 1945, bambino piccolo, ho vissuto sfollato a Borgomanero, ospite con mia madre di poveri parenti contadini. Di mio padre, in guerra, non avemmo notizie per quasi tre anni. Dei tanti ricordi il più forte è quello delle foto dei partigiani uccisi e torturati che i repubblichini obbligavano i negozianti ad esporre nelle loro vetrine di corso Roma, la via principale. Il buco sulla colonna è ancora lì, traccia della fucilazione di un giovane. Ricordo anche il 25 aprile quando entrarono in città lungo corso Roma i partigiani, pantaloni corti cachi e mitra in mano. Sono passati ottanta anni e mi guardo intorno: come si è potuto disperdere tutto quello che era stato conquistato con sangue e sofferenza? Qual è il futuro che aspetta le mie nipoti? Le organizzazioni dei lavoratori del secolo scorso diffondevano l’importanza della cultura, a partire dalla lotta all’analfabetismo. Questa lezione i partiti di sinistra, tutti, se la sono dimenticata, presi ad occupare poltrone.
L’ignoranza si è impadronita del popolo, e questo l’ha ripagata con la ricerca di qualcuno che pensasse al posto suo. Non so chi votare alle Europee. So che andrò sicuramente al seggio per rispetto a quelli che sono morti per darmi questa possibilità, e poi? Voterò turandomi il naso o metterò una fetta di salame nella scheda?
Carlo Mattacchini

Serra
Scelga il meno peggio, caro Mattacchini. Ci sono periodi storici drammatici e però di limpida eloquenza, come quello che lei ha evocato, e periodi mediocri come quello che ci tocca vivere. È più difficile scegliere da che parte stare adesso, rispetto a prima. Si rischia molto di meno: ma se rinunciamo a votare rischieremo, presto, molto di più.

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Gli antichi romani non salutavano così
Gentile Serra,
mi sembra di ricordare, per insegnamenti scolastici, che il saluto romano era un simbolo di incontro pacifico in cui la mano alzata e aperta mostrava l’assenza di ogni mezzo utile ad offendere. Non mi sembra che nell’adottarlo il fascismo abbia inteso la stessa cosa, e quindi è improprio chiamarlo“‘saluto romano“. Sarebbe più semplice chiamarlo “saluto fascista“, o sono in errore?.
Valentina – Certaldo (Firenze)

Serra
Secondo l’antropologo Desmond Morris l’idea che il saluto romano fosse proprio dell’antica Roma è “un errore storiografico diffuso”. Pare che non esista alcuna prova documentale o iconografica che i romani salutassero così. Si tratta quasi certamente di una pura invenzione del fascismo per attribuirsi radici romano-imperiali, nell’illusione, rivelatasi tragica, di trasformare un Paese più arretrato e meno scolarizzato del resto dell’Europa in una “nuova Roma”.

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La prevalenza del cretino obbediente
Caro Serra,
dai diari di Galeazzo Ciano apprendiamo che quando Mussolini nominò Starace Ministro per la Propaganda, Ciano gli disse: «Duce, ma Starace è un cretino!». E il duce: «Lo so, ma è un cretino obbediente». Spero che a qualcuno fischino le orecchie.
Silvana Moffa

Serra
Difficile che a un cretino fischino le orecchie. Sente solo il suono delle campane a festa e pensa che siano in festa per lui.

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Porto in scena Brecht. Arriverà la Digos?
Caro Serra,
fra una settimana terrò un concerto-reading su Bertolt Brecht e Kurt Weill : secondo lei devo aspettarmi la Digos?
Adria Mortari

Serra
Per adesso no, ma ci tenga informati

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In file .pdf: La pagina doppia di Serra, dal Venerdì del 2 febbr. 2024

Tra genocidio e antisemitismo
di Michele Serra – 25 Gennaio 2024

 

1 Comment

1 Comment

  1. Sandro Russo

    7 Febbraio 2024 at 06:28

    Dimenticavo tra le mie affinità (e analogie) con Serra, la sua scelta di andare a vivere in campagna, avere quindi un contatto diretto con l’ambiente e la natura intorno.
    Da qualche parte ha scritto (oppure ho letto) che per quanto gli è possibile vive in campagna, in una valle dell’Appennino emiliano, ha per contigui i boschi, per vicini (scomodi) i cinghiali; ha preso la patente per guidare il trattore; sa che ‘la terra è bassa”.
    In alcuni cose che scrive, è evidente questa scelta di vita, perché il mondo sensoriale ne è modificato. Non dico da un breve trafiletto, ma da tutto quello che si scrive trapela il mondo in cui si vive ogni giorno, l’attenzione alla natura intorno, al ritmo delle stagioni, agli animali insieme a cui viviamo, tutto quel che si vede, ascolta, annusa, gusta e tocca giornalmente.
    È un’esperienza che anche chi vive su un’isola può capire bene, con sfumature differenti: il vento, il mare, la salsedine, i sapori. Differenze di poco conto con la vita in campagna, molto maggiori con la vita in città.

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