di Francesco De Luca
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Un sapore d’altri tempi. Di quelli di quando le bancarelle di san Silverio comparivano come un dono inatteso. In un momento dell’anno debordante di motivi per rimpinzare la mente di esperienze impressionanti.
Chiusa era la scuola. Si lasciavano i quaderni e si prendevano i ‘giornaletti’: Tex, il Grande Blek, il Piccolo Ranger. Se ne acquistava uno e se ne leggevano dieci. Attraverso lo scambio. Con Enzo u figlio d’u matunaro, con Giovanni Matrone, col figlio ultimo del notaio De Martino (non ricordo il nome).
E la Caletta per il bagno giornaliero: ’u scoglio d’u uaglione, ’u scoglio d’u giovane, ’a scugliera, i patelle reale.
’A cuntrora era dedicata al gioco ’a primma luna monta. Di corsa a vestirsi per la novena di san Silverio. E mamma e papà che confabulavano: “che mangiammo a san Sirverio!”
Papà desiderava l’aragosta. Mamma era restìa per il prezzo. Si campava con la sola pensione. Papà si imbatté in una condizione favorevole: nelle gabbie ancorate dove adesso attracca la motonave erano racchiuse le aragoste. Alcune di esse morivano e venivano vendute a meno. Papà ne approfittò.
Dopo la processione, defatigante ieri come oggi, ci si sbracava, liberi dai vestiti ‘buoni’. Il sugo con l’aragosta emanava il suo profumo. E noi della famiglia ne rimanevamo soggiogati.
No, non è questa l’interpretazione corretta. O meglio. Oggi non mi appare questa l’interpretazione da accogliere. Gli spaghetti all’aragosta, il risalto mostrato da papà, la ritrosìa accennata da mamma facevano da contorno ad un sentimento che in essi trovava anche un legame. Per stringerci assieme, per abbracciarci.
Pochi effusioni plateali, scarne lodi, accennate carezze, eppure la famiglia era saldata in mura inscalfibili. Non il ‘sangue’ il collante, e nemmeno l’ossatura ideologica. E’ il sentimento che si partecipava, che ci inglobava e ci saldava.
San Silverio, per noi, è un momento dell’anno in cui taluni sentimenti riemergono dall’intimo. Per noi Ponzesi che ci gioviamo dell’occasione per rinnovare i vincoli d’ appartenenza.
A chi apparteniamo? Non so rispondere per tutti. Tutti rispondono per me. Lo hanno fatto ieri – 20 giugno 2023. In una fantasmagoria di ‘tipi’, di ‘personaggi’, di persone. Americani di ritorno, tronfi come sempre, ma fraterni; anziani con cui si è giocato a pallone, si è cantato in coro, ci si è separati politicamente. Donne curve, uomini zoppicanti, visi pudichi come sempre e altri sfrontati (come sempre). Tutte foto di me, di noi, del nostro essere stati, e del nostro essere oggi.
L’orchestra ha smesso di suonare, uno sparo lancinante avvisa di tenere il viso in alto perché i fuochi pirotecnici impazziranno. Così è. Il cielo tumultua di stelle, stelline, lampi, infiorescenze luminose.
Il viso al cielo e i piedi sull’acciottolato, in mezzo alle bancarelle. Torrone, dolcetti, cianfrusaglie, giocattoli e …mennule ’nterrate (mandorle tostate ricoperte di zucchero caramellato).
D’istinto ne ho acquistato un sacchetto. Per portarlo a mamma. Lo facevo da piccolo e l’ho rifatto, ieri sera. Ma mamma non c’è.