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Gianni Di Gregorio. L’importanza di chiamarsi Astolfo

di Pino Moroni

Gianni Di Gregorio. L’importanza di chiamarsi Astolfo
di Pino Moroni, il nostro inviato alla Festa del Cinema di Roma. In condivisione con www.artapartofculture.net  – Del 18 ottobre 2022

La scena simbolo di tutto il film Astolfo (il paladino che va sulla luna per ritrovare quello che si è perduto sulla terra) è quella di Gianni Di Gregorio, di notte al buio, davanti ad una finestra con sullo sfondo la luna, che cerca di far ritornare il senno ad una umanità sperduta.

In un momento in cui film e serie stanno creando chimere di scienza e distopia, di arcaismo e tecnologia, impastando un tempo impazzito (tra passato, presente e futuro) e luoghi ideali ed assurdi, fuori di ogni realtà, in un caleidoscopio di storie ed immagini sempre più confuse ed incomprensibili, il regista De Gregorio, unico nel panorama attuale, sta facendo un valore della semplicità e linearità. E fortunatamente questo è ancora apprezzato. Ne fa testo il grande successo del suo film alla Festa del Cinema di Roma.

Il tema di Astolfo è sempre quello di una persona gentile, tranquilla, mite, disponibile, ironica che vive in solitaria ma che gli eventi portano alla socialità, alla solidarietà con chiunque abbia necessità fisiche o psicologiche di comunicazione e di sopravvivenza in un mondo di furbi ed egoisti. Un uomo all’antica, aperto, trasparente, onesto con una innata signorilità (oggi sostituita dalla grettezza).
Un personaggio che attira gli umili, i bisognosi, gli emarginati, basandosi su principi sani, senza riuscire a fermare però il peggio che avanza e ad opporsi, in quanto buono, ai prevaricatori, ai prepotenti, ai poteri anche istituzionali diventati invadenti, corrotti e corruttori.
Questa identificazione con l’uomo comune nelle sue difficoltà di vita quotidiana è stata da sempre la cifra del suo realismo magico e del suo successo. Ed è evidente l’identificazione a contrario di quella parte di società ancora sana con il suo personaggio, che parla di quello che abbiamo perduto e non abbiamo più e di come non possiamo più cambiare le cose storte.

Di Gregorio parla di persone ‘normali’ (in tempi di supereroi e di influencer) che vivono con coraggio la loro difficile giornata. Italiani ‘minori’ con le loro necessità primarie di avere un tetto, un pasto e stare bene insieme.

Può sembrare quasi un film post neorealista, film semplice su gente semplice come gli italiani degli anni ’50 (Pane, amore e fantasia che si vede in televisione, Poveri ma Belli, Le ragazze di Piazza di Spagna, Padri e figli, ecc) che però passavano il tempo in pace con sé stessi e gli altri. Recuperando anche (nella attuale oppressione dalle necessità superflue) momenti idilliaci nella natura, nel buio della notte, nella bisbocciata con gli amici, nella memoria di una poesia… nell’amore.
Ed è proprio questo l’elemento nuovo del film Astolfo. “L’amore non ha età” come refrain principale di un film anche romantico.

Astolfo che è ritornato al suo paese natio, sulle colline laziali, dove possiede ancora una casa nobiliare del 1600 dei suoi avi, la troverà senza luce, con crepe alle pareti ed acqua dal tetto, con già un poveraccio abusivo che si è installato lì da tempo, Astolfo aprirà la sua casa anche a due altri bisognosi, scoprendo che sindaco e prete si sono impossessati di parti della sua proprietà. Tutto ciò diventerà positivo per una rinascita dei suoi interessi per la vita, aprendosi al mondo.
Tramite un amico d’infanzia che si reputa un conquistatore di donne, conosce una bella e simpatica signora, Stefania (Stefania Sandrelli), prova attrazione e si apre anche all’amore.

Astolfo malgrado tutti i dubbi sulla possibilità di un nuovo rapporto alla sua età (70 anni) corteggerà ‘all’antica’ Stefania. Emblematici e divertenti sono i momenti in cui, secondo le mode di oggi, la sua conquista è accompagnata, dal bisogno di creare immagine, realizzata con la coupé rossa dell’amico per portarla a spasso, con camicie colorate pret a porter, e dalle chiacchiere della famiglia di Stefania su quanto guadagna un pensionato (ex professore) e sulle sue mire sui beni della donna.
Al gossip si aggiunge anche il prete, che vede un pericolo nella generosità di Astolfo verso i diseredati e collabora con il Sindaco ad intimidire, attraverso i carabinieri, quella spontanea comune di poveri solitari.

Di Gregorio ha scritto una sceneggiatura acuta ed attuale, piena di notazioni puntuali e dialoghi scoppiettanti ed originali sulla vita di provincia, sulla presa di coscienza di un uomo sulle vere scelte anche amorose, e su una società che non aiuta certo i buoni.

Con una musica garibaldina che ha tenuto il ritmo dell’evoluzione del personaggio (Ratchev & Carratello) ed una fotografia solare e rigorosa (Maurizio Calvesi). Bravi oltre la Sandrelli e Di Gregorio anche i comprimari che hanno meritato i tanti applausi e le congratulazioni personali del pubblico. Vero bagno di folla felice e commossa.

4 Comments

4 Comments

  1. Sandro Russo

    22 Ottobre 2022 at 12:17

    Ho visto Astolfo, il film recensito dall’amico Pino Moroni con cui di solito concordo nei giudizi sui film, e ne sono uscito fortemente irritato.
    Gli ho immediatamente scritto:
    “In nome di un presunto minimalismo dei sentimenti il film mette in scena un’acquiescenza al potere che trovo insopportabile. E dal punto di vista di sceneggiatura e regia non un’idea forte, un guizzo di fantasia… Ci consoliamo con la testa di Stefania sulla spalla e nessuna speranza di punizione degli odiosi “poteri forti” (nel loro piccolo), o di futuro? Si attende così la quieta estinzione di una generazione di contestatari?
    Scusa, ma non mi è proprio piaciuto”.

    Poi stamattina ho saputo che anche Lorenza ed Emanuela lo avevano apprezzato. Allora ho ripensato alla mia decisione di non pubblicare la recensione di Pino e ho considerato un’altra lettura.
    E se il film proprio quello volesse suscitare? L’avversione, il disgusto per la tracotanza e la sopraffazione a danno dei miti, che si fanno venire una crisi ipertensiva invece di opporsi ai soprusi?
    Sullo stesso genere, ricordo un film di Ficarra & Picone L’ora legale del 2017, ambientato in una piccola cittadina immaginaria della Sicilia, in cui anche, il tema veniva svolto in chiave comico-ironica, ma vivaddio, in modo meno frustrante per lo spettatore.

    La relativa locandina nell’articolo di base

  2. Lorenza Del Tosto

    23 Ottobre 2022 at 05:45

    Grande Pino, concordo in pieno con la tua recensione. Buffo che la mattina dopo aver visto il film, mentre sorridevo tra me ricordando certe scene, sia arrivato sul telefono il messaggio di Sandro: – Non andare a vedere Astolfo!
    Ma come?!? Il regista abita vicino casa mia, lo incontro spesso, ci salutiamo e i suoi gesti, i suoi modi, il suo sorriso, la signorilità sono gli stessi del suo personaggio.
    Difficile definire la fonte del calore. Non è solo gentilezza. Soprattutto non è rassegnazione, né buonismo tanto di moda nel cinema italiano odierno. Non è distacco giapponese dalle cose. Non è frugalità. Non si fa opprimere dai potenti, nel senso che non consente loro di amareggiargli la vita. Non permette neanche ai disperati di farlo sentire in colpa per quello che lui ha e loro no.
    È il segreto della leggerezza. I suoi film sono sempre brevi, ma questo mi è sembrato più breve degli altri. Avrei avuto voglia di seguirli ancora, di pedinare la macchina bianca, di assimilare a fondo, anche senza capirla del tutto, la lezione segreta di quest’uomo.

  3. Emanuela Siciliani

    24 Ottobre 2022 at 08:04

    Come Lorenza abito a Trastevere e con lei e mia cugina Eliana abbiamo tanto gustato Astolfo da commentare, all’uscita dalla sala e quasi all’unisono: – E quando esce il prossimo film?

    L’ho incontrato pochi giorni fa, seduto in Piazza San Cosimato che attendeva la moglie uscisse dalla farmacia. E se ci fosse stata una troupe a riprenderlo non mi sarei meravigliata perché l’uomo seduto, il regista e l’attore sembrano essere proprio la stessa persona. Una sorta di trinità in carne ed ossa che aggiungerei volentieri al mio personale pantheon di dei che scelgo da qualsiasi iconografia religiosa con cui entro in contatto. Lui si manifesta a Trastevere ed incontrarlo è come essere entrati in chiesa o in sinagoga ed avervi trovato la risposta ai dubbi ed ai problemi che ci affliggono. Semplicità leggerezza un bicchiere di vino e la pasta e fagioli. La bontà. Quell’esser Signore. Mi/Ci conquista. La gentilezza. Il saper come si narra una favola. Come abbandonare la rabbia, che tanto spesso proviamo e che fa male.
    Questa è la lezione che apprendo vedendo i suoi film. E per strada, quando ho la fortuna di incontrarlo.

  4. Sandro Russo

    24 Ottobre 2022 at 08:43

    Cara Emanuela
    Ho sempre considerato il tuo pantheon una specie di lucida follia che – mi darai atto – ho sempre rispettato, dal momento che ti aiuta a vivere meglio.
    Ma nello specifico. Questo Buddha o arcangelo Gabriele ad un certo punto esce dal santino e fa un film. Che impatta con la sensibilità di ogni singolo spettatore. Ecco: a me il suo messaggio di acquiescenza (che voi chiamate leggerezza) ha dato fastidio e solo per rispetto a voi ho cercato di darmi un’altra chiave di lettura.
    Per non dire poi dell’irrealtà del contesto (come si conviene ad un apologo o a una favola moderna): lui può anche scordarsi per quarant’anni di un latifondo in paese, con querceto e relativo castello, ma l’Ufficio Distrettuale delle Imposte non lo avrebbe sicuramente dimenticato.

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