proposto da Sandro Russo
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Segnalato dal mio Gruppo di riferimento per le cose serie, “Dialettica” (grazie Paolo), questo articolo su La Stampa di ieri 17 giugno 2022, pag. 32, a firma Piergiorgio Odifreddi.
La guerra finisce solo col disarmo e il Papa ha il coraggio di dirlo
di Piergiorgio Odifreddi da La Stampa del 17 giugno 2022
Un papa argentino sa bene quanti Paesi dell’America Latina non hanno soltanto sentito «l’abbaiare del vicino alle porte», ma spesso ne sono stati azzannati, dilaniati e martoriati. Le sue parole nel messaggio Urbi et Orbi del giorno di Pasqua («Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?») erano una citazione dal Manifesto Russell-Einstein del 1955.
Papa Francesco è tornato a parlare della guerra, con toni che stupiscono gli occidentali. Ha usato, ad esempio, un’espressione come «l’abbaiare della Nato alle porte della Russia», che non sarebbe mai uscita dalla bocca di un papa polacco antirusso come Giovanni Paolo II, ma che è invece naturale su quella di un papa argentino anti-americano come Francesco.
Noi europei non riusciamo a capire come qualcuno possa odiare i nordamericani, ma i sudamericani non riescono invece a capire come li si possa amare. Non c’è praticamente un Paese del loro martoriato subcontinente che, anche in tempi non lontani, non abbia subìto interventi diretti dell’esercito statunitense, o non abbia visto i propri dittatori appoggiati indirettamente dai governi degli Stati Uniti: Messico, Guatemala, Nicaragua, Panama, Cuba, Brasile, Perù, Cile e Argentina sono tutti paesi a sovranità limitata, che non hanno soltanto sentito «l’abbaiare del vicino alle porte», ma spesso ne sono stati azzannati, dilaniati e martoriati.
Papa Francesco dà voce anche a questi sentimenti, ma il suo messaggio va ben oltre, e affronta il grave problema degli armamenti. Già nel messaggio Urbi et Orbi del giorno di Pasqua aveva detto: «Chi ha la responsabilità delle nazioni ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?».
La citazione era presa dal cosiddetto Manifesto Russell-Einstein del 9 luglio 1955, che è passato alla storia per vari motivi. Primo, perché fu l’ultima presa di posizione pubblica fatta da Einstein prima di morire. E secondo perché quel manifesto costituì il seme da cui nacque nel 1957 il Movimento Pugwash degli scienziati contro l’atomica.
Nel 1995, quarant’anni dopo il manifesto di Russell-Einstein, il premio Nobel per la pace andò dal Movimento Pugwash e dal suo storico segretario, Józef Rotblat, che era stato il più stretto collaboratore di Russell in entrambi gli eventi. E che fu anche l’unico scienziato atomico che rifiutò di continuare a lavorare a Los Alamos alla bomba atomica, dopo che nel 1944 i servizi segreti britannici fecero sapere agli americani che erano ormai sicuri che i nazisti non la stavano costruendo. Rotblat fu trattato da traditore e disertore da tutti i suoi colleghi di Los Alamos, ciascuno dei quali trovò le proprie motivazioni politiche o scientifiche per continuare a costruire le bombe che nel 1945 furono usate dagli americani a Hiroshima e Nagasaki.
Comunque, non c’è bisogno di essere pacifisti (come lo fu Russell durante la Prima Guerra Mondiale, quando passò sei mesi in galera in Inghilterra per propaganda anti-bellica) per affermare che la produzione di armi è da tempo fuori controllo. Persino un militare di carriera come il presidente Eisenhower, nel suo discorso di addio del 17 gennaio 1961 mise in guardia la nazione: «Dobbiamo stare in guardia contro l’acquisizione di un’ingiustificata influenza del complesso militare-industriale. Non dobbiamo permettere che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici».
Settant’anni dopo, i dati del SIPRI (Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma) aggiornati al 2022 dicono che al mondo si spendono ogni anno 2.000 miliardi di dollari in armamenti. Di questa enorme cifra, il 40 per 100 (800 miliardi) lo spendono i soli Stati Uniti, e il 16 per 100 (320 miliardi) le nazioni europee. La Russia, che oggi viene spesso presentata come una superpotenza militare, ne spende in realtà soltanto il 3 per 100 (60 miliardi): quasi 20 volte meno dei paesi della Nato!
Ciononostante, negli ultimi tre mesi abbiamo assistito a una frenetica corsa agli armamenti dei Paesi europei, compreso il nostro. Già oggi l’Italia, da sola, spende in armi la metà della Russia. Non parliamo dell’Inghilterra, della Germania e della Francia, ciascuna delle quali già spende all’incirca
quanto la Russia. La disparità di armamenti è comunque visibile anche a occhio nudo, nella debolezza dimostrata dall’esercito russo sul campo ucraino.
Il vero problema è che la Russia ha molte armi nucleari. Se non le avesse avute, probabilmente non esisterebbe già più. Ma poiché le ha, è inutile aggiungere altre armi alle nostre polveriere, perché servirebbero soltanto a farci fare un botto più fragoroso. Forse è meglio fermarsi prima del baratro, e meditare con papa Francesco sulle parole di Russell e Einstein.
In ritaglio immagine e il formato .pdf in fondo:
La Stampa del 17.06 2022.. Odifreddi.pdf
Nota della Redazione
Sul tema, leggi e ascolta sul sito un articolo di Michele Serra sul “Collezionismo” delle armi