di Francesco De Luca
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Chicchino, lo chiamavano tutti, modificando il nome datogli dai genitori: Franceschino.
Dopo che tornò dalla guerra col terrore della bomba esplosa a pochi metri, sgranava gli occhi e, nel disinteresse di tutti in piazza, gridava al vento, che spandeva il disagio per le stradine: “i recchie… recchie”. Gridava e agitava le braccia e andava via mentre il suo grido trovava eco nei compaesani intorno. Invano.
“E’ Chicchino”, ci si confortava a vicenda. Quel nome, nella sua declinazione graziosa e minuta sembrava lenire l’asperità della disperazione, della desolante solitudine dell’uomo.
Marzo marcia sicuro e porta il sole lì dove era interdetto, e il tepore apre le gemme, e gli alberi si accendono di tenui colori.
C’è quell’arancio. Aveva perso tutte le foglie dietro le busse dei venti. Ora è colmo di piccole foglioline verdi intorno ad un pallino bianco. Fra qualche giorno sarà il fiore. Quanti ne sono. E’ ammullecato (intasato), e credo non riuscirà a portarli avanti. Ma fa il suo corso. Imperterrito e indifferente alle vicende umane. Quelle che le società del mondo stanno patendo. Esse ci desolano perché non seguono le nostre aspirazioni.
C’è un abisso fra le cose umane e quelle naturali. Queste scorrono con casualità strafottente, senza piagnistei e senza eccitazioni. Le nostre sono compulsive. I vaccini, le varianti genetiche, le morti, le flessioni produttive, gli orgogli nazionali. E i politici blaterano attestazioni fondate su fandonie, e i miei concittadini alzano suppliche perché l’isola rimanga fuori dalla tragedia planetaria. Attendono, in ascolto e in attesa, le promesse di abbondanza, in contrasto con una evidenza storica: l’impegno crea il futuro e la morale fonda il valore delle azioni.
Checchino s’era perso nello scoppio della bomba. Gli aveva strappato l’equilibrio e da quella sua deficienza ci guardava come un alieno. “Poca umanità… – gridava – poca umanità”. Disperato.
vincenzo
13 Marzo 2021 at 13:50
Bello Franco.