di Pasquale Scarpati
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Una volta gli animali della savana tennero concilio.
Poiché la natura mostrava notevoli cambiamenti, sia gli erbivori sia i carnivori ritennero di indire un’assemblea per discutere le cause di tali rivolgimenti.
I primi erano preoccupati per la carenza di erba là dove di solito andavano a pascolare dopo una lunga migrazione, i secondi erano preoccupati perché gli erbivori non transitavano più per gli antichi sentieri per cui si sarebbero dovuti spostare in territori sconosciuti o forse pericolosi.
Per dare lustro o per attirare quanti più partecipanti possibili fu indetto anche un banchetto, a buffet. Così ognuno avrebbe potuto portare il proprio contribuito sia “materialmente” che “moralmente”.
Pertanto il leone emise alti ruggiti di richiamo a cui risposero molti animali. Ma non tutti.
Molti animali, infatti, finsero di non sentire, altri, forse, non sentirono. Di quelli che risposero volentieri all’appello, ci furono alcuni che fecero soltanto capolino e, dopo aver dato uno sguardo fugace, forse nauseati dal cibo o forse pensando che tirasse una brutta aria, subito andarono via. Altri stettero un pochino in assemblea poi se ne andarono, salvo poi ritornare per un momentino forse perché avevano avvertito un “odorino” di loro gusto. Quando, però, si ritennero sazi, scomparvero e non si videro più. Secondo alcuni erano andati via del tutto, della serie“passata la festa, gabbato lo santo” oppure, come disse l’arguto: “Erano intenti a schiacciare un… pisolino perché: pancia piena cerca riposo”. Secondo altri non si erano allontanati del tutto ma si erano nascosti nelle vicinanze per osservare tra le fronde l’evolversi degli eventi. Molti invece rimasero, abbarbicati come patelle sugli scogli, convinti che fosse un gran bene stare in un’assemblea ed esprimere a chiare lettere il proprio pensiero senza offendere nessuno.
Come avviene in tutte le assemblee, prima di aprire la discussione, si costituì l’ufficio di presidenza: il presidente, il vice presidente, il segretario verbalizzante. Il leone divenne presidente, come vice precedente la iena, come segretario verbalizzante il leopardo. Qualcuno subito contestò, dicendo che quell’ufficio di presidenza era in realtà una finzione perché i suoi componenti non avevano chiesto il parere a nessuno ma si erano semplicemente… auto-proclamati.
Siccome gli altri animali protestarono poiché, chiaramente, non tutti erano rappresentati, si decise di formare un Consiglio detto, sulla scia di quello della Serenissima, Minor Consiglio. In esso confluirono anche alcuni erbivori (pochi in verità rispetto al loro cospicuo numero) e qualche tipo di scimmia che o per paura o perché era abituata, preferì rimanere su un albero nelle vicinanze.
Dopo che si misero tutti d’accordo, il presidente dichiarò aperta la discussione.
Però, invece, di parlare delle cause che portavano gli animali a non percorrere gli antichi sentieri (solo lo gnu ne fece timido accenno), la discussione si accese su come incanalare i “migranti”.
Ognuno fece delle proposte di cui si riportano solo alcune: le più originali e/o bizzarre.
Uno disse che bisognava incanalare i migranti in stretti sentieri delimitati da alte staccionate.
Ma, prima ancora che questa proposta fosse approvata, immediatamente si aprì una violenta discussione che non di rado sfociava in un alterco. Verteva di quali materiale sarebbero dovuto essere erette le suddette staccionate. C’era chi le voleva composte da un’alta rete di ferro (a maglie larghe o strette), chi di legno, chi di cemento, chi di plastica. Ognuno adduceva i suoi motivi.
Ma, prima ancora che finisse quella discussione, se ne riaccese un’altra: se “la pista” avrebbe dovuto essere rettilinea per la maggior parte o con numerose curve. Anche qui ognuno adduceva le proprie motivazioni, tutte valide ma spesso non del tutto disinteressate.
“Sono discussioni oziose” – osservò l’aquila reale che se ne stava da sola sull’albero più lontano – “Non è stato, infatti, ancora deciso niente in merito: è letteralmente una perdita di tempo!”.
Un altro propose di deviare il corso del fiume, nonostante la feroce opposizione degli ippopotami e dei coccodrilli. Ma gli altri animali se ne infischiarono perché sapevano che quegli esseri, fuori dall’acqua, non erano molto efficienti.
– “Perché – come sussurrò un partecipante – spesso ciò che fa pendere la bilancia da una parte o dall’altra non è l’importanza della decisione ma è la… paura.
Anche in questo caso, ancor prima che la proposta fosse accettata, si accese la discussione su chi dovesse eseguire i lavori e quali materiali adoperare per i nuovi argini del fiume. La maggior parte propendeva per il cemento: “più economico e soprattutto sicuro” – asserivano; pochi in verità tenevano per ciò che era più naturale: la sabbia di fiume. Questa volta l’aquila, forse stanca di ripetere le stesse cose, tacque.
Ma la più originale di tutte le proposte fu quella della signora volpe che disse di mettere in lontananza, al posto dell’erba verde che oramai non cresceva più, un tappeto di erba sintetica così da trarre in inganno gli animali migratori. “Essi, infatti – diceva – vedendo da lontano quel verde, sicuramente si dirigeranno colà attraversando gli antichi sentieri. Sicuramente il tutto risulterà anche meno costoso”. Gli sciacalli a terra e gli avvoltoi appollaiati sui rami, applaudivano a tutti, dando comunque un’occhiata in giro per vedere dove fosse la maggioranza. Il suricato, invece, e gli animali più piccoli si mantenevano nei pressi di qualche buco o tronco d’albero bucato, pronti a fuggire e a nascondersi.
Ma il leone – il presidente – con un tremendo ruggito fece zittire tutti.
– “Perché – disse – quelle erano tutte chiacchiere, ciance oziose, inconcludenti: bisognava andare sul concreto”. Il tipo di ruggito, infatti, non ammetteva alcuna obiezione. La discussione, ancora una volta, si allontanò dagli argomenti originari e scivolò su ciò che stava più a cuore alla presidenza e cioè la predazione: l’inseguimento e l’abbattimento delle prede.
Il leone adduceva come pretesto che i carnivori anche se inferiori di numero, avevano il diritto di abbattere gli erbivori poiché, senza la predazione, questi ultimi sarebbero comunque morti di fame. “I carnivori – diceva – fanno la selezione e mantengono gli erbivori entro un limite accettabile. Aumentando infatti a dismisura il loro numero, l’erba non sarebbe stata più sufficiente per tutti, con la conseguenza che sarebbero morti tutti. Per questo i carnivori erano i più autorevoli di tutti gli altri animali” Chiesto il parere della iena, vice presidente, questa non faceva altro che ridere, annuendo.
Soltanto una piccola gazzella osò alzare una timida voce e dire che anche i carnivori sarebbero morti senza gli erbivori. Ma fu zittita da ruggiti, latrati, fischi e risate. Lei, poverina, ammutolì, pensando che la sua difesa consisteva nel fatto che fin dal primo anno di vita, avrebbe potuto mettere al mondo la prole e quindi rinnovare la specie; mentre il facocero pensava che i suoi geni si sarebbero tramandati per la numerosa figliolanza.
Il discorso del re, però, non piacque a molti altri animali intervenuti, soprattutto agli erbivori, perché avevano sperato, nonostante il pericolo, di trovare nell’assemblea, qualcosa di concreto anche per loro. Essi sapevano bene che la loro era una vita pericolosa ma ugualmente avevano sperato di migliorarla perché nessuna vita è scevra da pericoli e nessuna strada è sicura in assoluto né si conosce con esattezza come va a finire quella che è stata imboccata.
L’elefante, con alti barriti, andò via; la giraffa con indolenza si diede a brucare le foglie in alto di un alto albero che stava lì vicino. Il bufalo alzò la testa in segno di sfida, mentre lo gnu e la zebra rinculavano per non dare “le spalle” a quelli che stavano assisi sul piedistallo. Le scimmie, gridando, sparirono tra gli alberi.
Ad un certo punto rimasero solo quelli della presidenza ed alcuni loro amici come i necrofagi e qualche serpentello velenoso. Visto che si era rimasti in pochi, il leopardo verbalizzante disse che era stanco di scrivere e che i suoi artigli si erano talmente assottigliati che non sarebbe stato più in grado di arrampicarsi sugli alberi. Qualcuno, malignamente, bofonchiò perché secondo il suo parere, quella del leopardo era “una scusa” dal momento che aveva visto allontanarsi le prede. Così l’assemblea fu sciolta. Non solo non si era concluso nulla ma ognuno aveva ripreso la propria strada pensando di risolvere i problemi a modo proprio senza una visione d’insieme e soprattutto senza trovare alcuna soluzione al grave problema che si affacciava all’orizzonte.
“E’ naturale che, tra gli animali, non ci possa essere identità di vedute” – commentava amaramente il gufo – “Ma è brutto quando attraverso discussioni su discussioni non si giunge a niente di veramente importante”
“Cioè – disse l’ippopotamo, buttandosi allegramente in acqua – va tutto a p… “Ma è ancora più brutto quando qualcuno, pur ammantandosi di democraticità, in modo subdolo o apertamente non lascia spazio ad una libera discussione, anzi tende e vuole sentire solo e soltanto ciò che più gli aggrada.” – gli fece eco l’uccellino tessitore che conosceva bene come intrecciare vari elementi per costruire il suo magnifico nido.
Ma al licaone non importava nulla né della discussione né degli antichi sentieri; lui aveva ripreso da subito la caccia: poteva correre su qualsiasi sentiero poiché era un guerriero ostinato e resistente.