Ambiente e Natura

Il traversone

di Silverio Guarino

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Spesso le caldissime “controre” estive e le prime ore del pomeriggio, le trascorrevamo giocando a carte. Il “traversone” era il nostro preferito, si chiamava così, o “tressette a perdere”.

Seduti ai tavolini del ristorante Zi’ Capozzi, Franco (Zecca), Sandro (Russo), Fausto (Capozzi) e io, giocavamo al “traversone”. A volte si aggiungeva a noi un giocatore di gran lunga superiore a noi, nella persona di Mimì De Luca (Mimì ’u barbiere, per qualche motivo che non ho mai conosciuto soprannominato nel giro Papielle Papote).

Le carte erano quelle “napoletane”, i punti e i valori delle carte erano le stesse del “tressette”, ma il gioco consisteva nel fare meno punti possibile.

Bisognava essere leali perché vigevano delle regole precise, come quella che di “rispondere” mettendo in terra una carta che fosse dello stesso segno. Tale condizione causava spesso acquisizione di punti (decisamente non voluti) che ti facevano andare avanti e perdere, ovviamente.

A meno che non si era “a piombo”, nel senso che non si avevano più carte di quel seme e si potevano “scaricare” al malcapitato di turno tutti i punti e i carichi che avevamo in mano e che non ci servivano proprio a nulla.
Ma attenzione, c’era una particolare condizione: “il cappotto”.
Se uno riusciva a far suo tutto il malloppo dei punti, aveva il diritto di caricare gli avversari di tutti i punti e di restare lui a “zero”.
Insomma, si vinceva se si facevano meno punti degli altri.

Ho provato a spiegare e forse può sembrare anche facile e semplice quanto vi ho appena esposto ma nella sostanza il tutto avveniva tra i lazzi e i frizzi di questa briosa compagnia; grida di sconforto, ghigni e risate di gioia erano il condimento costante di queste interminabili partite.
Che poi, non si vinceva niente. Il tempo trascorreva sereno intanto che si avvicinava il momento di preparare i tavoli del ristorante per la sera.

Zi’ Capozzi insieme a zia Lucia (mamma di Franco) già ai fornelli e zio Biagino (Zecca, papà di Franco) in grande spolvero in attesa dei clienti della cena. Le cernie di Pino Gavino facevano bella mostra di sé.

Il “De brevitate vitae” l’avevamo già messo da parte.

3 Comments

3 Comments

  1. Pasquale

    10 Maggio 2020 at 10:16

    Bel gioco il tressette. Anche quello “con il morto” o “a chiamare il compagno” (se si era in 5). Bello soprattutto perché bisognava capire ed… intuire. Si poteva accusare o meno. Con dei cenni con le carte si chiedeva all’ipotetico compagno di “lisciare” o di prendere. Io non ne ero molto pratico… anzi. Ma a me piaceva essere… spettatore. Mi piacevano soprattutto le immancabili discussioni finali, a volte molto accese, tra compagni perché non si era risposto adeguatamente alla… chiamata o perché quello non aveva capito. E l’immancabile “difesa” dell’altro. Però era bello perché subito dopo queste svanivano non appena si iniziava il nuovo giro. Tutto finiva lì, in attesa delle nuove discussioni con l’eventuale nuovo compagno. Alla fine un bel bicchiere di birra o caffè…
    Un altro gioco praticato soprattutto nelle cantine era quello del padrone e sotto. Ed era buffo vedere come chi stava “ sotto” si leccava le labbra perché il “padrone” non gli dava da bere…
    Ma quello che non sono riuscito mai a capire o per meglio dire non mi è entrato nel cervello è: “la maniglia”. Mi sembrava un misto tra tressette e briscola. Si giocava dappertutto ma io la vedevo giocare soprattutto durante le lunghe traversate… “oceaniche”, tra Ponza e Formia. Mi dava l’idea di un gioco per pescatori, per contadini, ma era soltanto una mia impressione.

  2. Franco Zecca

    11 Maggio 2020 at 07:35

    Un ricordo, quello di Silverio, che ha svegliato in me altri momenti di quel periodo.
    Quando noi del gruppetto, dovunque ci fermavamo, sia a suonare e cantare sul muretto sotto le tamerici di Sant’Antonio, sia a leggere fumetti sul muro di fronte al giornalaio di allora (dove adesso c’è Al Brigantino), sia dietro la Caletta a giocare a pallavolo, subito ci creava un centro di aggregazione; altra gente si fermava e partecipava. Nel caso del “traversone” sopra raccontato, spesso amici o conoscenti si fermavano ai tavolini sul marciapiede davanti al ristorante a commentare, a ridere con noi e comunque a rendere più vivo quel momento di giornata assolata e sonnolenta.
    Hip Hip per il gruppetto ed Hurrà per chi legge.

  3. Silverio Guarino

    12 Maggio 2020 at 00:12

    Una canzoncina “tormentone” che tanto piaceva a Fausto Capozzi e a tutti noi era: “Papà e mammà” dell’Equipe 84.
    Ci fermavamo improvvisamente per strada (tipo flash mob ante-litteram) e cominciavamo a cantarla in coro.

    “Di di di; di di di; papapapapapapapapà papaummammà: un bebé che urla ti dà gioia uh; è un richiamo che fa vibrare il cuore di papà e mammà…”

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