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Stiamo vivendo un lungo periodo nel quale, costretti in casa, veniamo continuamente sottoposti da parte dei mass media ad una dose da cavallo di notizie che hanno come epicentro la questione coronavirus. Ed è inevitabile che sia così. Soprattutto quando giustamente si esaltano esempi veramente eroici di quanti in prima fila, come medici ed infermieri, con il rischio della vita, che spesso sacrificano al bene comune, stanno prodigandosi per curare la massa enorme di pazienti che affluiscono quotidianamente negli ospedali. Una situazione inedita che vede tutti noi assolutamente impreparati. Questo però non ci deve impedire di cercare di capire cosa sta avvenendo sotto l’effetto shock della pandemia, soprattutto nel campo della comunicazione pubblica e non solo.
Nel nostro piccolo, come sito, stiamo dando informazioni sulla situazione isolana sulle cautele e prevenzioni che sono state adottate, ma non rinunciamo ad approfondire questioni molto importanti come l’Europa in panne, i problemi dell’economia e del lavoro che subiranno dopo questa terribile esperienza un inevitabile calo in Italia e nella nostra isola. E ci chiediamo quali possano essere gli strumenti più utili per parare il colpo. Quesiti ai quali tutti dobbiamo cercare di dare un contributo.
Quello che mi spaventa di più in questi giorni, però, è la totale o quasi scomparsa dalla comunicazione ufficiale di notizie che riguardino altri problemi che pure ci toccano da vicino: le guerre ai nostri confini, l’emigrazione, la sostenibilità del nostro sistema produttivo, il numero crescente di poveri che sommano alla loro precedente precarietà un ulteriore e imprevisto default, i danni economici che sconteremo, la crisi turistica che sarà devastante anche per Ponza.
Ho la sensazione che vivendo nella tempesta ancora non ci rendiamo conto della vastità dello sconvolgimento. Mai come in questo periodo la comunicazione, storicamente sempre condizionata dal potere di turno, è diventata monocorde, limitata, incompleta, deficitaria di notizie e di dati dei quali pure necessitiamo per cercare di orientarci nel momento che viviamo.
Assistiamo anche nei talk show a “visioni” monocordi, e non vediamo più un dibattito dove si possano confrontare opinioni diverse. Anche ad una visione spaventata e superficiale sembra di assistere sempre allo stesso film. Siamo passati da “non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo” a “se non sei d’accordo non ti do la possibilità di esprimere la tua opinione”. Questo ha a che fare, non so se ce lo ricordiamo più, con la libertà di stampa tutelata, tra l’altro, dall’articolo 21 della nostra Costituzione.
Qualche barlume di diversità lo si può cogliere in alcuni siti, o trasmissioni private, nei quali aspetti per niente approfonditi nei mass media ufficiali, vengono trattati e analizzati. In tutto questo, poi, sta venendo fuori l’idea, pericolosissima per la nostra stessa libertà, che per avere informazioni corrette bisogna rivolgersi solo, è stato scritto, ai professionisti della comunicazione, e tutto questo per evitare le fake news.
Ora sono almeno venti anni che attraverso i social ognuno esprime liberamente anche se spesso inopportunamente quello che gli passa per la testa, senza per questo suscitare scandalo. Lo stesso Umberto Eco ci ricordava “i social danno voce agli imbecilli”, e può essere anche vero, ma tocca a noi valutare e scegliere liberamente a chi dare credito e non ad una apposita commissione.
Anche perché quelle che si rivelano come fake news nelle quali sono ravvisati dei reati ci pensa il codice penale.